Proponiamo il testo dell’omelia pronunciata dal cardinale Scola il 3 dicembre 2023, IV Domenica di Avvento (rito ambrosiano), presso la cappellina della sua abitazione di Imberido.
Liturgia del giorno: Is 16,1-5; 1Ts 3,11 – 4,2; Mc 11,1-11
L’INGRESSO DEL MESSIA
IV domenica d’Avvento
IL VOLTO DELL’ATTESO È LA MISERICORDIA
1. Benedetto colui che viene!
Man mano che ci addentriamo nel tempo santo dell’Avvento, la Chiesa, come una madre premurosa, educa il nostro desiderio, la nostra attesa ed il nostro cammino, svelandoci progressivamente il volto di Colui che aspettiamo.
Chi è, infatti, Colui che è venuto e che verrà? Chi è Gesù che si presenta a noi come il fine – significato e direzione – della storia, che ci rende partecipi della Sua vita attraverso il Battesimo e la Confermazione, che si offre a noi come vero cibo e vera bevanda in ogni Eucaristia?
A questa domanda non possiamo rispondere da noi. Per conoscere Gesù non c’è altra strada se non quella che la liturgia ci ha indicato domenica scorsa: la strada della testimonianza. Possiamo riconoscere Gesù perché Egli si fa conoscere da noi.
Il Vangelo di oggi descrive l’ingresso di Gesù a Gerusalemme. L’ingresso del Messia è il titolo di questa quarta domenica dell’Avvento ambrosiano. La liturgia, rifacendosi ad un’antica tradizione, vuole – ancora una volta – farci riflettere sul ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi.
Il racconto dell’evangelista è intessuto di molti elementi dai quali si evince che Gesù presenta deliberatamente Se stesso come Messia. Egli si propone, infatti, come Colui che compie le profezie dell’Antico Testamento – lo abbiamo visto domenica scorsa. Citiamo solo qualche dato: Gesù parte dal Monte degli Ulivi, il luogo da dove, secondo il profeta Zaccaria, sarebbe giunto il Messia per entrare nella sua città. Il gesto, dettagliatamente descritto, di andare a prendere il puledro ed il suo significato, richiama, secondo gli studiosi, direttamente o indirettamente temi dell’Antico Testamento. L’ingresso in città era stato predetto in modo ritenuto assai autorevole sempre dal profeta Zaccaria: «Ecco viene a te il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio di asina». La folla che segue Gesù lo acclama con esclamazioni «regali»: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!». Infine Gesù prende discretamente possesso della città davidica e lo fa proprio entrando nel tempio, luogo per eccellenza del rapporto con Dio: «Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio».
2. Agnus Domine dominator terrae
L’ingresso di Gesù a Gerusalemme è anche il gesto con il quale egli inizia la Sua ultima settimana di vita, quella della Sua passione, morte e resurrezione. Incomincia così a svelarsi che il Messia, l’Atteso «con ardente speranza», il Re nel quale «esultano i figli di Sion», è l’Agnello immolato. Quell’agnello evocato, secondo la Volgata di Gerolamo («Emitte agnum Domine dominatorem terrae de petra deserti ad montem Filiae Sion»), dai primi versetti del cap. XVI di Isaia: «Mandate l’agnello al signore della regione, da Sela del deserto al monte della figlia di Sion».
3. Solo un Dio può salvare
Gesù è dunque il Messia che il popolo attendeva, ma non è come il popolo lo attendeva. Mentre normalmente, secondo le Scritture, i re cavalcano cavalli per dimostrare la loro dignità, Gesù – come già fecero la regina Abigail e lo stesso Davide – sceglie di presentarsi in atteggiamento umile, cavalcando un asino: «Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra».
È così pre-annunciata la modalità «scandalosa» del compimento dell’attesa messianica nella Pasqua di Gesù: il Messia è il Servo Crocifisso e Risorto.
L’attesa del Messia, come abbiamo visto nei Vangeli di queste domeniche, era vivissima. Essa era tuttavia confusa e incerta quanto al chi fosse il Messia e al come avrebbe liberato Israele. I profeti avevano individuato il cuore del problema, e cioè che solo un intervento sovrumano e definitivo (escatologico) di Dio, poteva riscattare Israele. Il problema più acutamente sentito non era tanto quello dell’occupazione romana in sé (contro cui lottavano i numerosi movimenti politici), ma la sua causa profonda: era il male accumulato lungo tutta la sua storia ad aver causato la perdita della libertà di Israele.
A questo male, lo stesso che ognuno di noi si trova talora nel cuore e di cui registriamo quotidianamente tante tragiche manifestazioni nella società, non riesce a rispondere né la conoscenza della Legge né la sua più scrupolosa osservanza. Paolo, con un’espressione molto forte, arriva a parlare di «impotenza della Legge». La redenzione della malizia umana esige un intervento radicale capace di trasformare e ricreare la stessa condizione umana. Si capisce perché gli israeliti aspettassero, in un certo senso, Dio stesso. Anche noi, uomini sofisticati del Terzo Millennio, se abbiamo un minimo di onestà con noi stessi dobbiamo riconoscere di attendere la salvezza dall’alto: «Solo un Dio ci può salvare» sciogliendo «i legami mortali del male».
4. Cristo assume la sfida del male
Il Messia che entrando in Gerusalemme prepara la sua consegna, libera e obbediente, alla morte, assume la sfida del male. E lo fa in modo del tutto imprevedibile: lo prende su di Sé. Così il suo solenne ingresso in Gerusalemme ci indica che è Lui l’Atteso, ma soprattutto mostra che Dio, attraverso un Messia giusto, umile e pacifico, risponde al male dell’uomo con la sua misericordia. Infatti, come ci ricorda il Beato Giovanni Paolo II, la «rivelazione dell’amore viene anche definita misericordia, e tale rivelazione dell’amore e della misericordia ha nella storia dell’uomo una forma e un nome: si chiama Gesù Cristo».
Il volto dell’Atteso è la misericordia. Ogni uomo lo intuisce, a partire dalle relazioni costitutive che si vivono in famiglia, tra gli sposi e con i figli: si conosce veramente l’amore solo quando si viene perdonati. Il perdono donato a chi non lo meriterebbe è l’espressione suprema della gratuità dell’amore.
I cristiani ne fanno esperienza ogni volta che si accostano al sacramento della Riconciliazione. Infatti l’uomo che smarrisce il senso del peccato si ritrova senza speranza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci ricorda che «ritornare alla comunione con Dio dopo averla perduta a causa del peccato, è un movimento nato dalla grazia di Dio ricco di misericordia e sollecito della salvezza degli uomini. Bisogna chiedere questo dono prezioso per sé e per gli altri».
5. Il vero progresso: la misericordia
La misericordia attesa, invocata e ricevuta è sorgente di vero progresso per la vita personale e per quella sociale.
Alla necessità del continuo rinnovamento della vita personale ci ha richiamato oggi l’Epistola di san Paolo: «Fratelli, vi preghiamo e supplichiamo nel Signore Gesù affinché, come avete imparato da noi il modo di comportarvi e di piacere a Dio – e così già vi comportate -, possiate progredire ancora di più». La venuta del Messia redentore, dono di misericordia, lungi dal renderci superficiali nei confronti del male che compiamo, provoca, attraverso il sacramento della Confessione, la contrizione – che consiste nel dolore per i nostri peccati, nel pentimento e nel proposito di non peccare di nuovo -, l’accusa e la penitenza (soddisfazione). Nello stesso tempo sprigiona un’energica disposizione a compiere il bene.
Ma la misericordia è fonte anche di rinnovamento per la vita sociale: essa impedisce di considerare il giudizio sui malfattori e la loro condanna – fattori questi necessari per l’ordinamento civile di una società – come la parola definitiva sulle loro persone. Il Messia infatti è venuto a riscattare i peccatori. A nessuno che si riconosca tale, lo sappiamo per personale esperienza, è negato il dono della conversione.