PADOVA – Martedì 2 marzo a Padova nel pomeriggio il card. Scola ha partecipato al Collegio plenario dei docenti della Facoltà Teologica del Triveneto. Questo il testo del suo intervento:
La vocazione ecclesiale e accademica del teologo e dei docenti all’interno di una Facoltà Teologica
Per parlare della “vocazione ecclesiale e accademica del teologo e dei docenti all’interno della Facoltà Teologica” vorrei affrontare un percorso in tre tappe: partirò dalla natura propria del sapere teologico e del nesso che lo lega alla Chiesa; quindi mi soffermerò sulla particolare vocazione di questa Facoltà con la sua specializzazione in Teologia pastorale; infine vorrei riflettere su un suo obiettivo specifico, la formazione di nuove professionalità a partire dalla teologia.
1. Teologia / Chiesa
a) Il sapere teologico, pur nella sua specificità di scientia fidei, condivide con altre scienze la necessità di rifarsi all’esperienza elementare di incontro tra l’uomo e la realtà.
È quindi un sapere che fa leva sulla capacità di abbracciare tutto il reale, tenendo conto della sua molteplicità e dei suoi nessi.
Ciò esige un principio unificatore esistenziale che colleghi ogni cosa al suo senso ultimo ed esauriente.
A questo proposito diceva il Cardinal Newman: «Non c’è vero allargamento dello spirito se non quando vi è la possibilità di considerare una molteplicità di oggetti da un solo punto di vista e come un tutto; di accordare a ciascuno il suo vero posto in un sistema universale, di comprendere il valore rispettivo di ciascuno e di stabilire i suoi rapporti di differenza nei confronti degli altri… L’intelletto che possiede questa illuminazione autentica non considera mai una porzione dell’immenso oggetto del sapere, senza tener presente che essa ne è solo una piccola parte e senza fare i raccordi e stabilire le relazioni che sono necessarie. Esso fa in modo che ogni dato certo conduca a tutti gli altri. Cerca di comunicare ad ogni parte un riflesso del tutto, a tal punto che questo tutto diviene nel pensiero come una forma che si insinua e si inserisce all’interno delle parti che lo costituiscono e dona a ciascuna il suo significato ben definito» .
Questo principio è la Persona, la storia, in una parola l’evento di Gesù Cristo nella sua polarità di passato e presente.
b) La natura della conoscenza teologica, a differenza di quella propria di altre scienze, chiama in causa la globalità dell’essere umano. Ciò dipende dal fatto che il termine ultimo di questo tipo di conoscenza non è primariamente la Scrittura, né la Tradizione, né il Magistero, né l’esperienza religiosa o mistica, ma piuttosto, attraverso tutte queste cose, è la comunione delle Persone divine, lo stesso Dio vivente.
«Tutto l’entusiasmo del sapere teologico deve, alla fine, portare a Dio stesso» (Giovanni Paolo II, Ai professori di Teologia ad Altötting-Germania, 18 ottobre 1980).
Se nasce dalla dinamica dell’incontro tra persona umana e Persone divine, la teologia recherà in sé i tratti che connotano la “drammatica” di questo incontro e coinvolgerà la totalità della persona superando in tal modo ogni rischio di astrazione (separazione) intellettualistica. Nell’esperienza dell’incontro e della relazione eucaristico-comunionale dell’uomo con Dio accade qualcosa e la riflessione teologica partecipa di questo avvenimento riflettendo in maniera sistematica e critica su ciò che è accaduto; non prendendovi parte a posteriori, quasi dall’esterno, ma scoprendo di esserne, costitutivamente, parte. L’esperienza contiene già il suo “logos” che, quale orizzonte adeguato, mette in moto la riflessione teologica .
Nell’ottica cristiana Dio è Colui che viene nel mondo e perciò si distingue da esso senza che questo escluda la possibilità di coglierlo come familiare. Per parlare di Dio «si deve azzardare l’ipotesi che sia Dio stesso ad abilitare l’uomo a divenirgli familiare. La fede cristiana vive anche dell’esperienza di Dio che si è fatto conoscere e si è reso familiare» . È necessario stabilire prima la familiarità con Dio perché Dio sia conosciuto. Allora «Dio è una scoperta, che insegna a vedere tutto con occhi nuovi» .
Il teologo che voglia approfondire la conoscenza del Mistero dell’Unitrino deve perciò invocare la familiarità con Colui che intende conoscere, nella chiara coscienza che quel che potrà conoscere sarà un dono dell’Altro e che comunque l’amore dell’Altro «supera ogni conoscenza» . Il teologo è in qualche modo costretto, al di là di ogni intenzionalità, a rendere una testimonianza ontologica: quand’egli parla di Cristo lo può fare solo mostrando Cristo che vive in lui, nella sua umanità.
L’incontro tra persona umana, (persona umana del teologo per quanto stiamo dicendo qui) e Persone divine avviene in Maria-la Chiesa, medium intrinseco, che nel suo carattere di evento sacramentale sola può garantire la permanenza dell’evento salvifico di Gesù Cristo nella storia. La ricerca teologica sarebbe vana se non poggiasse sulla vita concreta del soggetto ecclesiale che attua la logica dell’evento. Un evento infatti si può comunicare soltanto attraverso un altro evento.
• Vivere la dimensione ecclesiale all’interno della Facoltà implica pertanto:
– una effettiva comunione tra docenti e studenti quale condizione per una feconda attività sia didattica che di ricerca.
– Il porsi in ascolto fedele del Magistero della Chiesa.
2. Senso della Facoltà Teologica a indirizzo pastorale (ricerca e didattica)
Quanto detto può già fornire qualche preziosa indicazione circa il significato della vocazione pastorale della nostra Facoltà e le implicazioni che essa comporta nella ricerca e nella didattica.
Se la teologia, nella sua espressione più autentica, è incontro reale con la persona di Cristo, essa non può essere separata dalla Sua missione.
In questo senso credo vada ancora approfondito, in sede di ricerca teologica, tutto il portato del Concilio Vaticano II. Il Concilio, raccogliendo le suggestioni del rinnovamento della teologia cattolica del XX secolo, ha infatti sottolineato il carattere cristocentrico, in senso storico e non gnostico, della Rivelazione. Questo ha spinto a riformulare gli studi teologici evidenziando al loro interno il legame costitutivo che li tiene uniti all’evento di Gesù Cristo. Se si leggono unitariamente i documenti conciliari, a partire dalle quattro Costituzioni, risulta evidente il nesso che unisce la centralità dell’evento cristologico (cfr. Dei Verbum) alle implicazioni antropologiche, sociali e cosmologiche della rivelazione cristiana (cfr. Gaudium et Spes), di cui è necessario mostrare la ratio sacramentalis (FR 12-13, 94).
In questo orizzonte bisogna superare ogni indebita opposizione tra pastorale e dottrinale. La dimensione pastorale è una dimensione costitutiva della dottrina. Questa presa di coscienza ha fatto maturare, anche all’interno dello stesso ambito teologico, l’inaccettabilità dell’opposizione tra il “dogmatico” ed il “pastorale”. Ciò è andato di pari passo con il precisarsi dello statuto proprio della teologia pastorale come disciplina pratica dell’azione ecclesiale e con l’aprirsi della teologia dogmatica alla sensibilità linguistica – in senso pieno – di cui l’intendimento pastorale del Concilio voleva farsi carico (Giovanni XXIII, Discorso Gaudet mater ecclesia, 11 ottobre 1962).
Giovanni Paolo II nell’enciclica Redemptor hominis, raccogliendo l’eredità del magistero di Paolo VI sul dialogo di salvezza (questo alla fine significa “pastorale”) afferma che oggi la Chiesa si trova «più matura nello spirito di discernimento, più idonea ad estrarre dal suo perenne tesoro “cose nuove e cose antiche”, più centrate sul proprio ministero e, grazie a tutto ciò, più disponibile per la missione della salvezza di tutti» (n. 4).
3. Nuove professionalità a partire dalla teologia
È anche in virtù di questa particolare sensibilità per la teologia pastorale che la nostra Facoltà deve accogliere la sfida posta dai profondi cambiamenti in atto a livello antropologico, sociale, geopolitico e tecnologico, accettando di confrontarsi con queste problematiche. Ciò non deriva da una qualche scelta strategica, ma dalla stessa natura dell’evento salvifico di Gesù Cristo, che in forza dello Spirito Santo si fa presente al qui e ora della storia.
In questo senso la riorganizzazione dei curricula studiorum degli Istituti Superiori di Scienze Religiose, e le nuove lauree specialistiche possono aprire agli studenti la strada verso nuove professionalità (bioetica e biotecnologia, medicina e assistenza sanitaria, mediazione culturale, comunicazioni, beni culturali, educazione) entro le quali far valere i metodi e i contenuti della teologia.
Quale compito spetta allora ai docenti impegnati in questo processo?
• Per i teologi questa impresa presenta il fascino di ripensare il loro lavoro in base alle mutate circostanze storico-culturali. Non si tratta di snaturare il lavoro teologico, né nel metodo, né nel contenuto (la stessa normativa prevede che le nuove lauree specialistiche in Scienze religiose siano sempre lauree teologiche), ma di metterlo in dialogo con altre discipline, accettandone gli apporti, per aprire nuove prospettive. Questa scelta implica transdisciplinarietà che necessita il costituirsi di unità di ricerca (es.: Ca’ Foscari ha già abolito la Facoltà). La teologia potrà in questo modo affrontare, secondo il proprio metodo, tutte le espressioni e le problematiche dell’esperienza umana elementare, a partire dai suoi aspetti categoriali (affetti, lavoro, riposo).
• Per gli altri docenti, penso per esempio ai giuristi, ai sociologi, agli psicologi, ai biologi, agli esperti di arte impegnati nei nostri Istituti, si tratterà di affrontare le rispettive discipline, nel rispetto dei loro statuti specifici, senza trascurare l’apporto della teologia e tenendo conto della “pretesa” dell’evento cristologico di svelare l’uomo a se stesso (cfr. Gaudium et Spes 22).