Continua la collaborazione del cardinale Angelo Scola, con il «Messaggero di sant’Antonio». Ogni mese si rivolge ai lettori della rivista parlando di vita buona, riallacciandosi all’omonimo libro-intervista con il giornalista Aldo Cazzullo.
La libertà religiosa sta in cima alla scala delle libertà effettive, perché il diritto a professare la propria fede ricomprende tutti i diritti. Essa, però, non ha nulla a che fare con il potere, ma solo con la testimonianza. Per questo domanda il fiorire della santità di ciascuno di noi.
di Angelo Scola
«Non è giusto!». Davanti a un’insufficienza immeritata, a un castigo arbitrario, a un rigore inesistente l’esigenza di giustizia si fa sentire, chiara e dirompente, fin da bambini. A questo incontenibile bisogno di ogni uomo risponde la promessa di Gesù che ci assicura: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» (Mt 5,6).
Del resto non è un caso che la giustizia sia annoverata tra le virtù cardinali, elemento fondamentale per l’umana convivenza. Il Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1807) definisce la giustizia «costante e ferma volontà di dare a Dio e al prossimo ciò che è loro dovuto». Ogni uomo ha fame e sete di relazioni rette con se stesso, con gli altri, con l’intero creato e con Dio. Dall’inizio della modernità, però, l’ultimo «con» è stato progressivamente messo in secondo piano, fino a essere quasi dimenticato.
Da questa grave omissione, le cui conseguenze spesso tragiche sono sotto i nostri occhi, ci ha messo in
guardia Benedetto XVI proprio nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno. «Nel nostro mondo – scrive il Papa – in cui il valore della persona, della sua dignità e dei suoi diritti, al di là delle proclamazioni di intenti, è seriamente minacciato dalla diffusa tendenza a ricorrere esclusivamente ai criteri dell’utilità, del profitto e dell’avere, è importante non separare il concetto di giustizia dalle sue radici trascendenti. La giustizia, infatti, non è una semplice convenzione umana, poiché ciò che è giusto non è originariamente determinato dalla legge positiva, ma dall’identità
profonda dell’essere umano».
Il riferimento ai principi e ai valori religiosi, che fino alla generazione dei nostri padri era ancora un pilastro della convivenza civile, oggi va rapidamente scomparendo. Con il pretesto che le tradizioni religiose si mescolano, anche da noi è sempre più diffusa la tendenza a opporre all’universale concreto delle religioni il puro riferimento alle Dichiarazioni dei diritti umani, un «comun denominatore» in cui possono riconoscersi tutti. In effetti esse hanno il grande merito di formare una barriera morale e giuridica nei confronti dell’invasività del potere politico e in particolare dello Stato (pensiamo ai regimi totalitari) e di offrire un linguaggio utile al confronto tra soggetti, culture e religioni. D’altra parte, non si può tacere il limite con cui vengono oggi spesso lette queste Dichiarazioni: prescindendo dalla storia dell’uomo reale e concreto a cui si rivolgono rischiano di risultare inefficaci.
La loro universalità diventa «astratta».
In questo contesto, il ricorso alla libertà religiosa, che deve giungere fino alla libertà di convertirsi, esalta la dignità
dell’uomo, uno di anima e corpo, capace di cercare e trovare la verità. Infatti, la libertà religiosa sta in cima alla scala delle libertà effettive, perché il diritto a professare la propria fede ricomprende tutti i diritti. Dove c’è libertà religiosa – e quindi anche libertà della Chiesa – sono garantiti tutti gli altri diritti. Al bene prezioso della libertas Ecclesiae i cristiani non hanno mai rinunciato. Però dobbiamo sbarazzare il campo da ogni equivoco. La libertà della Chiesa non ha nulla a che fare con l’egemonia, ma solo con la testimonianza. Per questo essa domanda il fiorire della santità di ciascuno di noi. È una libertà che punta tutto sull’amore di Cristo per noi e sulla risposta – fragile e contraddittoria – dell’amore personale e dell’amore comunitario. Una libertà libera dall’esito come la storia della Chiesa, nonostante le contraddizioni, ci ha insegnato. Ci sono tempi di fulgore e tempi di prova. Ci sono luoghi in cui la Chiesa è stata fiorente e ora non lo è più (pensiamo al Nordafrica del III e IV secolo, e a quello di oggi). Eppure non fa differenza: l’esito è solo nelle mani dello Spirito. Nelle nostre mani è la totalità della dedizione a Cristo e alla sua Chiesa.