Continua, anche nel mese di giugno, la collaborazione del cardinale Angelo Scola, con il «Messaggero di sant’Antonio». Ogni mese si rivolge ai lettori della rivista parlando di vita buona, riallacciandosi all’omonimo libro-intervista con il giornalista Aldo Cazzullo.

Ogni figlio è figlio della promessa. Perciò la famiglia non può chiudersi in se stessa: come Dio l’ha aperta nella sua origine, essa deve rimanere aperta al Suo disegno.

Angelo Scola

Madri in affitto, padri/donatori anonimi, figli in provetta… Ogni giorno dai mass-media giungono notizie che hanno dell’incredibile, che lasciano inquieti anche i fanatici del progresso. Cominciamo a fare chiarezza mettendo lì un dato incontrovertibile: nessun uomo potrà mai farsi da sé, nemmeno nel caso in cui – nello scenario sempre meno fantascientifico che ci si annuncia – venisse al mondo come un prodotto di laboratorio. Sempre comunque da un altro avrebbe origine. Non sarà mai possibile «autogenerarsi». Abbiamo già avuto modo di parlarne: è il tu che fa essere l’io e lo accompagna nella crescita. è una legge costitutiva universale. Tale dinamismo oblativo è inscritto nell’essere umano – che è unità indissolubile di anima e di corpo – non per spossessarlo, ma per spalancarlo alla vita. Così l’amore tra l’uomo e la donna custodisce la possibilità di renderli partecipi della capacità generativa di Dio.
 
In barba a ogni calunnia, dalla visione cristiana l’atto coniugale riceve la massima esaltazione. Esso emerge come via della creazione. «Ognuno di noi nasce da un momento d’amore totale, da un momento d’amore arrivato al grado di non potersi nemmeno più conoscere se non con l’aiuto, l’intervento e la presenza di Dio» osserva genialmente Giovanni Testori, nell’affascinante dialogo con Luigi Giussani Il senso della nascita. Non c’è niente infatti che, come la nascita di un figlio – penso che tutti i genitori lo possano confermare –, metta di fronte all’evidenza di qualcosa che, pur venendo da noi, ci eccede da tutte le parti. Da un lato sentiamo che non c’è nulla di più profondamente «nostro». Dall’altro, altrettanto radicalmente, percepiamo che nulla è più «ricevuto». Proprio qui sta la ragione ultima del «no» salutare della Chiesa all’aborto e alla contraccezione. «Nell’amore non c’è timore» scrive, toccando una corda profonda dell’esperienza umana, l’evangelista Giovanni. Perciò nell’amore non c’è (almeno intenzionalmente) calcolo, non c’è pretesa di dominio. La logica del dono, che deve sempre accompagnare la procreazione responsabile, non ha niente da spartire con quella della pretesa. E rifiutare un dono non è mai naturale, né facile.
 
Spezzare la circolarità di amore, sessualità e procreazione conduce a ridurre la procreazione (propria dell’uomo) a riproduzione meccanica (propria dell’animale) e condanna l’io stesso ad avvitarsi su di sé in un’inesorabile chiusura narcisistica. I rilevanti successi dovuti al binomio scienze-tecnologie spesso favoriscono una mentalità ideologica che rende plausibile una sorta di imperativo categorico: «Se puoi, devi». Il fatto che «tecnicamente» l’uomo abbia il potere di disgiungere la procreazione dall’atto coniugale non significa che lo possa fare senza snaturare l’umano. Il figlio ha il diritto a essere concepito all’interno di una famiglia, nell’unione d’amore corporeo-spirituale dei due coniugi e non può essere considerato come un semplice oggetto di desiderio o di un fare tecnico. Dalla fecondità di Sara a quella di Maria la Bibbia ce lo richiama con insistenza: ogni fecondità (sia quella fisica che quella spirituale) è ricevuta da Dio. E ogni figlio è figlio della promessa. Perciò la famiglia non può chiudersi in se stessa ma, come Dio l’ha aperta nella sua origine, essa deve rimanere aperta al Suo disegno.

La riconoscenza per l’assoluta gratuità dell’amore di Dio suscita la responsabilità dell’obbedienza a esso. Ne parleremo ancora.

 

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