Pubblichiamo una riflessione dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, preparata in occasione della seconda domenica d’Avvento.

Nella prima domenica dell’Avvento ambrosiano abbiamo contemplato il volto di Cristo Salvatore come il fine e la fine della storia. Nella seconda Lo abbiamo annunciato come Colui che è venuto e continua a venire, nella sua Chiesa, in favore di tutti i popoli. La storia, quella personale e quella del mondo, non è in balìa di un fato oscuro e minaccioso, ma è sorretta saldamente dalle braccia di un Padre misericordioso e fedele. Perciò noi abbiamo la speranza certa del compimento, in Cristo che «è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli» (Rm 9,5b).

Lungo il cammino della Chiesa sorge, quotidiana e insistente, la domanda su Gesù: «Sei tu colui che viene o dobbiamo aspettare un altro?» (Lc 7,20b). Ogni uomo è chiamato a rispondervi di persona.

Lo sapeva bene Paolo che si struggeva perché lo facessero anche i suoi fratelli ebrei fino ad affermare: «Vorrei essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne» (Rm 9,3).

Come replica Gesù ai discepoli di Giovanni e a noi? «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia» (Lc 7,22). Fa appello alla loro libertà e alla loro ragione. Essi hanno visto e udito e per questo possono comprendere Chi hanno di fronte.

Ce ne dà un’impressionante documentazione la Lettura tratta dal profeta Isaia. Ciro è scelto («Dice il Signore del suo eletto, di Ciro», Is 45,1) senza che conosca il Signore, senza aver fatto precedente esperienza di Lui; ne farà esperienza dentro tutte le azioni vittoriose che compirà. C’è qui un intersecarsi delle scelte di Dio e del suo disegno di salvezza con la storia degli uomini, per cui questi possono fare esperienza di Dio anche all’interno dei loro progetti umani; e di questo Ciro diventa testimone per tutti gli altri popoli.

Il ruolo singolare di Giovanni Battista viene illustrato da Gesù mediante un confronto tra due prospettive: «fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui» (Lc 7,28). Chi si mette alla sequela di Gesù, entrando nel Regno appartiene al nuovo tempo di salvezza. Questo nulla toglie alla grandezza di Giovanni: tra tutti gli uomini resterà sempre colui che ha preparato la strada al Signore, indicandolo presente nel mondo. Volendo diminuire affinché Gesù cresca, egli è veramente il precursore di Colui che, per la nostra salvezza, si è abbassato fino alla morte di croce. La posizione umana testimoniata dal Battista è una fondamentale virtù cristiana, la povertà dello spirito. Non c’è benedizione, né privilegio ricevuto, né alcun altro dono («l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse», Rm 9,4b) che ci possa salvare (cioè realizzare fino in fondo, farci felici), senza questa povertà di cuore, che va domandata con insistenza.

La liturgia dell’Avvento ci offre in questo modo una preziosa indicazione di metodo: attendere Colui che viene è imparare a scoprirlo.