Continua la collaborazione del cardinale Angelo Scola, con il «Messaggero di sant’Antonio». Ogni mese si rivolge ai lettori della rivista parlando di vita buona, riallacciandosi all’omonimo libro-intervista con il giornalista Aldo Cazzullo.

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Il lavoro dell’uomo è un’opera esaltante, perché eleva l’essere umano al Signore e lo rende socio del «primo imprenditore» per eccellenza.

Il lavoro dell’uomo è un’opera esaltante, perché eleva l’essereumano al Signore e lo rende  socio del «primo imprenditore» per eccellenza. Iniziamo con questo numero le conversazioni sul tema del lavoro, la seconda delle tre dimensioni costitutive dell’umana esperienza (affetti, lavoro e riposo), che ci accompagnerà almeno fino al termine del 2012. Il tema è scottante: non ho la pretesa di esaurirlo. Vorrei ripassarne in sintesi i lineamenti costitutivi, rintracciandoli nell’insegnamento della Chiesa, e suggerire qualche spunto di giudizio sulla
situazione attuale.

«Il lavoro – dice il Catechismo – proviene immediatamente da persone create a immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con le altre e per le altre, l’opera della creazione sottomettendo la terra» (CCC 2427).
Il lavoro dell’uomo, quindi, è sempre e comunque un’opera esaltante, perché lo eleva al ruolo di collaboratore di Dio, il quale è, in un certo senso, il primo imprenditore di cui l’uomo diventa socio.

Certo, il lavoro ha anche i caratteri ruvidi del dovere, come ricorda san Paolo: «Chi non vuol lavorare, neppure mangi»; e comporta sempre una fatica (labor significa, infatti, fatica). Fatica attestata fin dalle prime pagine della Bibbia, che la inserisce all’interno della maledizione inflitta all’uomo per il peccato originale: «Maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane». Eppure il lavoro non perde mai la dimensione di compito svolto insieme a Dio. Infatti, il disegno buono in cui il Padre ha introdotto l’uomo con la creazione non viene meno con il peccato, in forza della redenzione operata dal Crocifisso risorto. In questo contesto la Laborem exercens del beato Giovanni Paolo II può affermare che scopo del lavoro non è il lavoro stesso, ma l’uomo.

Oggi anche il lavoro è esposto ai rapidi cambiamenti che caratterizzano la fase di transizione che stiamo vivendo. Conoscenze e tecniche hanno una emivita molto breve: spaventarsi di questo o ostinarsi a guardare
e ad affrontare il lavoro con i vecchi schemi mette fuori gioco.
La prima risorsa per affrontare lo scenario con cui il lavoro si presenta oggi è, ancora una volta, la fede.
In altre parole: il tipo umano generato dalla fede può affrontare con fiducia anche questo aspetto dell’umana esperienza.

Vi faccio qualche esempio che spero sia utile soprattutto ai giovani, i più esposti al «terremoto» che si sta verificando in questo campo.

1) La flessibilità – non la precarietà! – di cui tanto si parla, per il cristiano è anzitutto l’attitudine di un io che non si sclerotizza, che – come dice la Bibbia – ha un cuore di carne e non di pietra.

2) Il contesto di globalizzazione in cui siamo inseriti chiede sempre più di essere aperti al nuovo. Per esempio: a lavorare in gruppo e con persone diverse da noi per lingua, cultura, etnia, religione; ad affrontare situazioni diverse da quelle per cui ci si era preparati. Insomma, quella disponibilità a imparare sempre di cui parla la Bibbia: «Erunt semper docibiles Dei» («Saranno sempre educabili da Dio»).

3) In forza del dono del battesimo siamo diventati figli nel Figlio. Come in ogni umana situazione, anche in quella del lavoro la dignità sta nel soggetto e non nell’oggetto. Ogni lavoro, se svolto nel rispetto del valore e della dignità della persona, è nobile.

4) Lo abbiamo già visto a proposito degli affetti. Dalla contrapposizione tra individuo e realtà, tra volere e dovere, noi siamo fuorviati. Se per il cristiano la vita è vocazione, quello che ci è dato, quando è assunto con libertà, proprio perché è dato da un Padre che ci ha donato suo Figlio, ci corrisponde. «Se Dio è per noi niente sarà contro di noi» (Rm 8,31).

La realtà è il dito di Dio che orienta il nostro desiderio e lo porta a compimento. Pertanto, meglio un lavoro qualsiasi che nessun lavoro. E si potrebbe continuare con molto altro… Con questo mio intervento introduttivo ho solo aperto la partita: ci sarà tutto l’anno per giocarla.