Nella quinta domenica della Quaresima ambrosiana pubblichiamo una riflessione dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, dedicata alla contemplazione del Crocifisso

Lungo queste settimane il nostro sguardo si è sempre più concentrato nella contemplazione di Gesù in croce. Lo abbiamo fatto attraverso la pratica della Via Crucis che accompagna in modo speciale i venerdì ambrosiani. Guidati dalla narrazione evangelica colta in profondità dalla pietà cristiana, siamo stati condotti à guardare il Crocifisso.

Nel corpo di Gesù, bloccato dai chiodi sul legno della croce ed inarcato per lo spasimo del dolore, il volto ancora si muove a cercare lo sguardo del suo carnefice: «Gesù diceva: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”». Forse lo stesso, ostinato gesto di amore con cui, qualche ora prima, si era rivolto al traditore Giuda chiamandolo “amico”; forse lo stesso gesto di misericordia con cui aveva guardato Pietro dopo il tradimento.

E noi, guardiamo a Gesù? Una fede che si ferma all’emozione è una fede che resta relegata al passato ed è destinata ad infrangersi nell’urto con la realtà, cioè con le circostanze ed i rapporti che ci sono dati, nel modo in cui ci sono dati. Diceva il grande Kierkegaard: «Se ci si pone o ci si mette sul serio accanto alla sua croce, bisogna farlo nella situazione della contemporaneità; e ciò che altro significa se non di dover soffrire realmente con lui? Pensa perciò non a Cristo, ma anzitutto e soprattutto a te stesso, di diventare tu stesso, nel tuo pensiero, contemporaneo a lui» (Esercizio del cristianesimo). Diventare contemporaneo a Cristo è far spazio quotidianamente alla Sua presenza di misericordia capace di curare ogni sofferenza, ogni prova, ogni dolore. Così il nostro cuore si fa un po’ più simile al Suo.

La vita, talora, con i suoi colpi, sembra infierire con tale violenza che ne restiamo schiacciati, impotenti a rialzarci. Ma ogni volta che cadiamo, troviamo sempre Gesù schiacciato a terra sotto il peso del nostro dolore e del nostro male. Egli si lascia spogliare di tutto. Si lascia umiliare sino all’indifferenza e al disprezzo. Non tiene per sé più niente, ma dona tutto, secondo un amore inaudito, espressione suprema della sua libertà. Infatti, che amore sarebbe se non fosse libero? E la libertà è tale, è veramente umana, solo se mette in conto la disponibilità al sacrificio. Una disponibilità che non immagina né decide da sé tempi e modi, che non cerca di diventare “protagonista” del proprio sacrificio, ma semplice collaboratore di Colui che redime il mondo.

Nel vorticoso cambiamento d’epoca che stiamo attraversando, disporsi ad imparare la mentalità ed i sentimenti di Cristo ha il sapore di una vera e propria “rivoluzione”. Una rivoluzione che incomincia dalla persona di ciascuno di noi per allargarsi, nei tempi e nei modi stabiliti dal disegno di Dio, a tutte le nostre sorelle e a tutti i nostri fratelli uomini.