Visita a Belgrado

VISITA A BELGRADO – Nel contesto della visita, che in questi giorni il Patriarca sta svolgendo alla Chiesa cattolica e al Patriarcato ortodosso di Belgrado, domenica 17 ottobre è stata celebrata la Santa Messa, presieduta dal card. Angelo Scola, nella Cattedrale della Beata Vergine Maria Assunta.

Viene proposto qui di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal Patriarca:

1. Al centro della liturgia di questa domenica è il tema della fede, la relazione buona tra Dio e l’uomo da cui discendono relazioni buone dell’uomo con se stesso e con gli altri.

«Domani io starò ritto sulla cima del colle, con in mano il bastone di Dio» (Es 17,9). Israele è in guerra con gli Amaleciti. Il bastone di Dio indica che Mosè convoca, in un certo senso, alla guerra il Signore. «Quando Mosè alzava le mani, Israele prevaleva» (Es 17,11). Il risultato non è visto tanto come una vittoria militare, ma come un avvenimento di salvezza, perché la vittoria è data da Dio. Mosè non è uno stratega, ma un intercessore e un testimone di Dio.

2. L’atteggiamento della vedova che, per avere giustizia, non si stanca di importunare il giudice disonesto ci interroga profondamente. Quando qualcosa ci sta veramente a cuore, non ci facciamo scrupolo di diventare importuni. Perché non facciamo così con Dio? È la domanda di Gesù.

Perché non lo desideriamo veramente, potrebbe essere la prima risposta, come altrove suggerisce l’apostolo Giacomo (cfr Gc 4). Non preghiamo perché non vogliamo veramente ottenere, spesso domandiamo tanto per domandare. L’incostanza della preghiera denuncia l’inconsistenza del desiderio che la motiva. Invece la preghiera tenace e indomabile della vedova al giudice disonesto dice la forza del suo desiderio: «Fammi giustizia contro il mio avversario» (Lc 18,3). Come dire: salvami dal mio nemico.

E noi sappiamo che l’unico vero nemico dell’uomo è il peccato, con tutte le sue velenose conseguenze. Se lo riconoscessimo e, soprattutto, riconoscessimo Colui che solo può liberarcene, grideremmo «giorno e notte verso di lui» (Lc 18,7). Perché dunque non lo facciamo?

Perché non abbiamo fede, ecco la seconda risposta. Da qui la domanda accorata e drammatica con cui Gesù conclude la parabola: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?» (Lc 18,8). La fede di cui parla l’evangelista è in questo caso sinonimo di perseveranza. È fortemente connessa con la preghiera, comunitaria (liturgia) e personale. Quando viene meno l’entusiasmo il cristiano è chiamato a perseverare perché sa di poggiare sulla roccia che è Cristo. La nuda volontà di perseverare nella preghiera, di pregare sempre, è genuina espressione di fede. Questo è  un compito di primaria importanza per il cristiano.

3. L’atteggiamento di Mosè in preghiera non è quello del mago che controlla il potere divino, ma quello di colui che supplica Dio, il quale risponde liberamente alla supplica. La preghiera non è infatti un gesto magico, ma l’incontro tra due libertà. Torna, ancora una volta, il tema della relazione tra l’uomo e Dio. La fede è la premessa della preghiera, senza fede non c’è preghiera. La preghiera è la conseguenza e la dimostrazione della fede. Noi sottostimiamo la preghiera perché sottostimiamo la potenza di Dio. Il che significa che sopra-stimiamo noi stessi e la nostra potenza. Noi vorremmo farcela da soli, con le nostre forze, ci secca chiedere l’aiuto di Dio. Rispunta la radice cattiva del peccato originale: poter fare a meno di Lui.

4. Mentre Giosuè combatte, Mosè prega. Così è fatta la cristianità: gli uni combattono fuori, mentre gli altri dentro – nel convento o nel «segreto della loro camera» (cfr Mt 6,6) – pregano per i combattenti. È l’indispensabile e fecondo rapporto tra azione e contemplazione. Due fattori indisgiungibili nella vita del cristiano, perché la preghiera è la linfa vitale dell’azione.

«Poiché Mosè sentiva pesare le mani… Aronne e Cur, uno da una parte e l’altro dall’altra, sostenevano le sue mani» (Es 17,12). L’uomo da solo non regge a lungo il rapporto con Dio a cui è radicalmente sproporzionato, ha bisogno della compagnia della Chiesa.

La preghiera adeguata, l’unica proporzionata al Padre è quella di Gesù. Per questo non esiste azione più grande del sacrificio eucaristico a cui stiamo partecipando, offrendo – attraverso Gesù, la vittima immacolata – tutto noi stessi. Questo è il culto ragionevole (umanamente conveniente) che dà valore e dignità ad ogni uomo, in ogni momento e condizione della sua esistenza.

5. Tanto più oggi nella cosiddetta società post-moderna, sottoposta al travaglio di trasformazioni tanto rapide quanto radicali diventa urgente, irrinunciabile il compito educativo delle nostre comunità. Ben consapevoli che educare alla fede significa educare alla piena riuscita dell’umano come descrive con efficacia incomparabile San Paolo nella Seconda Lettura parlando dell’«insegnare, convincere, correggere ed educare nella giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona» (2Tm 3,16-17). Un compito molto esigente che chiede tutte le energie – «insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento» (2Tm 4,2) -, fino al dono totale di sé, come ci testimoniano sempre più fratelli in tante parti del mondo.

6. Con l’aiuto di Maria nostra Madre, viviamo, fratelli e sorelle questo compito nella letizia. Ci accompagna infatti il Signore. «Il Signore è il tuo custode, il Signore è come ombra che ti copre, e sta alla tua destra» (Salmo responsoriale). Amen.