Saluto_Redentore_2007Il discorso pronunciato il 15 luglio 2007  si intitola: “Infrangere il tabù dell’anima per giovarci delle scienze”.
(Per la versione integrale del testo selezionare l’apposita sezione “Discorsi del Redentore”)

1. Un gesto antico e sempre nuovo
«Deboli, empi, peccatori, nemici» (Rm 5,6): sono i quattro termini con cui la Seconda Lettura, tratta dalla Lettera ai Romani, indica la condizione in cui versava l’uomo quando con un atto di amore, puro, libero, gratuito Gesù si è consegnato alla morte per noi. Senza che noi prendessimo la benché minima iniziativa Dio ci ha riconciliato con Lui e ci ha salvati. (…)

2. Il Redentore «ci salva mediante la Sua vita»
La Parola di Dio, tuttavia, fratelli carissimi, parla sempre al presente. (…)
Veneziani ed ospiti, questa sera, e parlo anche delle decine di migliaia di persone che affollano la laguna per far festa, avvertono, più o meno consapevolmente, che questa amorevole cura di Dio viene incontro alla “domanda delle domande” che muove concretamente ogni uomo ed ogni donna nel quotidiano: “Alla fine qualcuno mi ama? Qualcuno desidera la mia durata definitiva?” “Qualcuno mi assicura per sempre?” È questa una formulazione ancora più radicale rispetto a quella già pregnante del Leopardi: “Ed io che sono?”

3. A proposito di anima: infrangere un tabù
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Il Vangelo di Giovanni, che giustamente è stato definito il Vangelo della vita, afferma che questa vita è la vita eterna (ζωή) Essa, per l’evangelista, è coordinata, ma non può essere confusa né con la psiche (Ψυχή), né con il bios (βίος) che indicano quella vita naturale che terminerebbe nella morte.
(…)
Immortalità dell’anima – assunta decisamente, come già fece Tommaso riformulando radicalmente l’antropologia aristotelica, nella dottrina cattolica della Risurrezione della carne – e destino eterno della persona diventano in tal modo i pilastri e l’orizzonte della vita di colui che è stato afferrato da Cristo. Solo questa dimensione definitivamente compiuta della vita, che ingloba nella necessaria autonomia mente (psiche) e cervello (cifra sintetica del bios), assicura pienamente l’uomo.
(…)

4. Interrogativi brucianti
Qui si scoprono le ragioni ultime, dobbiamo dircelo senza infingimenti, per cui in questo vespero la Chiesa madre e maestra ci convoca in questa prestigiosa Basilica.
Diventa allora quasi scontato l’interrogativo: realmente una simile concezione dell’uomo, visto come inscindibile ed insuperabile unità duale di anima e di corpo che travalica la morte, può essere, ancora oggi, al tempo della tecnoscienza, la ragione adeguata del vivere, la cifra integrale dell’amore umano? Di quale vita e di quale morte si intende qui parlare?(…)
Infine, non è stata la teologia stessa a proporre di rinunciare all’idea di anima in quanto espressione, non autenticamente biblica ma ellenica (Culmann), di un infelice dualismo antropologico? L’urgenza di unità e di indivisibilità dell’uomo, presente nella visione giudaico-cristiana ed in contrasto col dualismo del platonismo, non suona forse anch’essa come un invito a seguire con decisione le vie delle neuroscienze?

5. Sulla vita e sulla sua storia le spiegazioni tranquillizzanti non sono più sufficienti
I cultori delle neuroscienze convinti, forse con valide ragioni, che la comprensione del cervello rappresenti la svolta epocale più radicale (una rivoluzione più grande di quelle copernicana, darwiniana e freudiana) affermano a chiare lettere non solo che la nozione di vita è assai complessa, ma anche che vita è un termine troppo generico ed applicabile ad un insieme di processi. A tal punto che “lo spirito di vita” e “la vita” sarebbero concetti «intorno a cui gli scienziati hanno cessato da tempo di interrogarsi». (…)

6. La “mente etica”
(…)
È decisamente positivo il fatto che siamo usciti dall’epoca in cui le scienze vietavano di «porre la domanda delle domande». Esse stesse non temono ormai di parlare, in qualche modo, di verità. La tecnoscienza, che non esclude di poter fornire spiegazioni per tutto il processo evolutivo, macro e micro – dal big-bang fino all’insorgere della prima cellula di vivente – sembra voler farsi carico di quelli che una volta erano i contenuti dell’etica filosofica e della “religio” cui, già dalla modernità, erano per altro state ridotte le religioni, spogliate da tutti i loro misteri e riti per essere considerate nei limiti della sola ragione. Taluni cultori delle neuroscienze affermano addirittura che «il nostro cervello vuole credere» e quindi si apre uno spazio per una religiosità riconosciuta come fenomeno di una qualche rilevanza sociale. Essi dicono: pur sapendo che «di fronte ad un conflitto morale reagiamo di fatto in modi molto simili guidati da reti neurali o da sistemi di rinforzo comuni al nostro cervello»[4], non si può evitare di confrontarsi col fatto che, almeno fino ad oggi, le persone, quotidianamente, vivono e muoiono in nome delle loro credenze religiose. Ci dividono le nostre teorie religiose e morali, ma la “mente etica” ci unirà e ci salverà!

7. La felicità come prodotto della tecnoscienza
La concezione tecnoscientifica della vita umana e della sua storia è divenuta assai rilevante nelle democrazie avanzate soprattutto dell’Occidente. Se la democrazia plurale si costruisce autonomamente solo su procedure, è però la tecnoscienza (non più le religioni e le filosofie) a volerci dire che cos’è la vita nella sua origine, nel suo svolgimento e nel suo termine. A ben vedere il fenomeno stesso della globalizzazione è strettamente dipendente dal fatto che l’Occidente sta imponendo a tutto il mondo una concezione della felicità come puro prodotto progressivo della tecnoscienza. In questa visione delle cose non v’è più posto per l’anima, la risurrezione della carne, la vita eterna.

8. La questione dell’Io (Self) e l’ampiezza della ragione
(…)Non la scienza astrattamente intesa, che giustamente non accetta regolazioni estrinseche, ma l’uomo di scienza non può però eludere la domanda: l’orizzonte della ragione umana oltrepassa o no l’orizzonte della ragione scientifica?
Esistono almeno due buoni motivi per rispondere positivamente. Anzitutto i processi umani, gli stati e le operazioni della mente quali intenzionalità, comportamento, cognizione, libero arbitrio non sono come tali oggetto possibile dell’indagine scientifica, che al più può analizzare solo le loro condizioni fisiche o psichiche. (…)
In secondo luogo esistono forme di razionalità differenti dalla razionalità scientifica. Il logos umano, infatti, pur essendo uno, si esercita ed è produttivo secondo plurime forme teoriche, pratiche ed espressive – come già affermava Aristotele – che oggi possiamo identificare in almeno cinque forme differenziate ed irriducibili di razionalità (cfr. i diversi gradi del sapere di Maritain e le diverse forme della conoscenza secondo Lonergan): teorica-scientifica (scienza), teorica-speculativa (filosofia/teologia), pratica tecnica (tecnologia), pratica-morale (etica) e teorico-pratica espressiva (poetica). Per questo Benedetto XVI molto opportunamente non cessa di invocare il rispetto dell'”ampiezza” della ragione, articolata nella pluralità delle sue capacità e funzioni, e quindi né arbitraria, né indifferenziata pena la caduta nella frammentazione del senso.

9. Un interrogativo insopprimibile
Anche quando le neuroscienze fossero in grado di descrivere il come gli stati neuronali del cervello si colleghino a tutti i fenomeni che, per intenderci, chiameremo spirituali, resterebbe intatta la questione del che cosa essi siano in realtà. Anche ammesso un rapporto di causalità tra stati neuronali ed emozioni, operazioni ed opzioni spirituali, tale confronto non potrebbe mai escludere, ma piuttosto suggerire l’esistenza di un principio che muove l’io (Self) nella sua relazione profonda verso il Sé e verso l’altro. Non è un caso, come già rilevava Aristotele, che il complesso concetto di vita indichi immediatamente un movimento spontaneo e non comunicato originantesi all’interno dello stesso essere vivente. (…)

10. Universalismo scientifico
A questo punto si è condotti a chiedersi se una concezione esclusivista della tecnoscienza non implichi una sorta di fede irrazionale. Che cosa la regge? Forse già Cartesio aveva individuato la giustificazione storico-culturale del sapere scientifico mosso nella promessa di rendere l’uomo maestro e padrone della natura: («maître et possesseur de la nature»). Pregio affascinante del sapere scientifico, che si documenta, da una parte, nel suo universalismo teorico e pratico in antitesi alla molteplicità e conflittualità delle religioni, dall’altra nell’enorme incremento di possibilità che la scienza, attraverso la tecnica, mette a disposizione del mondo. Doppia attribuzione della tecnoscienza che incentiva di fatto la rinuncia della ragione a porre le domande sui fondamenti, mentre sospinge la libertà a impegnarsi principalmente nelle realizzazioni affidate ad una tecnicità sempre più potente e perciò alla fine sempre più autogiustificantesi. Da qui l’ancoraggio pratico, prima che teorico, al culto oggettivo della scienza e alle “possibilità” concrete della tecnica (si veda il grande peso assunto dal mondo virtuale – second Life – che sollecita la fantasia ed il desiderio di una libertà concepita senza regole diverse dalla sua stessa volontà).(…)

11. L’uomo, unità duale di anima e di corpo
Per meglio profittare dei frutti buoni della tecnoscienza dobbiamo affermare la necessità di dare soluzioni appropriate alla questione di fondo: che cosa consente di rispondere adeguatamente alla “domanda delle domande”, che sempre rispunta in ogni stagione della storia umana e che anche il neuroscienziato non può non lasciar affiorare quando, nel pieno rispetto dello statuto e dei metodi delle sue scienze e delle sue tecniche, indaga sull’Io (Self)? La risposta si lascia alla fine concentrare nel riconoscimento dell’unità duale (anima/corpo) costitutiva di ogni singolo uomo, in cui si esprime quella tensione tra le componenti dell’umano che domanda stabilizzazione all’interno di un’unità che la precede, senza poterla risolvere. La natura drammatica dell’io spalanca la ragione, quale finestra aperta sul reale, in tutte le sue dimensioni, e quale conoscenza del reale come intelligibile. (…)

12. Un’irriducibile voglia di vita
(…)Un grande compito educativo si apre davanti a credenti e non credenti: accompagnare uomini e donne alla riscoperta della dimensione spirituale (anima) della umana esistenza. In proposito Venezia, per la religione, la storia, l’arte e la cultura riveste un’indiscussa universale importanza. La Visita Pastorale, soprattutto mettendomi di fronte a uomini e donne che sono nella prova fisica e morale, mi convince della necessità di quest’opera capillare. In un contesto di trasformazione sociale in cui le “due culture” sono finalmente chiamate ad intrecciarsi, tutti gli uomini di scienza debbono farsi carico di questa grande responsabilità pedagogica.
Fa ben sperare il fatto che lungo tutta la storia un innumerevole stuolo di scienziati, proprio in vista del progresso della loro ricerca scientifica, ha confidato nel Dio vivente, in Colui che non cessa di dare vita in modo sovrabbondante semplicemente perché «Dio è amore» (1Gv 4, 7).