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Verso la festa del Redentore: il discorso del Patriarca del 2005

By admin 14 Luglio 2009 11 Mins Read
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Il discorso del 17 luglio 2005 si intitola: “Dalla speranza del Redentore una rinnovata laicità”.
(Per la versione integrale del testo selezionare l’apposita sezione “Discorsi del Redentore”)

1. «Io stesso… ne avrò cura» (Ez 34, 11)
(…)Con potente capacità evocativa Ezechiele scolpisce nella nostra mente il volto di questa formidabile promessa: cercherò, riposeranno, le pascerò… Il susseguirsi dei verbi al futuro fa crescere con ritmo progressivo la certezza del suo compimento. La nostra vita, personale e comunitaria, non è in balìa dell’ignoto, ma possiede un futuro certo perché poggia sulla misericordia di un Padre. Egli con grande amorevolezza ci ha permesso anche quest’anno di convenire, insieme alle nostre autorità civili e militari, che di tutto cuore ringrazio per la loro presenza, per celebrare l’Eucaristia e benedire la nostra amata città e le terre del Nord Est.

2. «La speranza poi non delude» (Rm 5, 5)
Qual è il nome della serena fiducia con cui guardiamo il nostro futuro? Essa non è certo un ottimismo ingenuo né una giovanilistica spensieratezza. È il nome che Paolo, nella Seconda Lettura, ripropone con forza: si chiama speranza e speranza che non delude (Rm 5, 5).
La speranza è il dono che lo Spirito del Signore riversa nei nostri cuori, che ci consente di guardare al futuro come ad un positivo perché è custodito, in ogni caso, dalla Sua misericordia. Questa speranza vogliamo comunicare con la Visita pastorale. (…)

3. Alle fonti della speranza
Qual è l’origine di questa indomabile positività che caratterizza la vita di un uomo capace di speranza? Il Santo Vangelo che abbiamo ascoltato ne è prezioso documento, col mostrarci il realismo con cui la misericordia di Dio opera nella storia, nella nostra storia personale e in quella mondiale: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 17). La speranza nasce dalla consapevolezza che la promessa fatta da Dio per bocca del profeta Ezechiele («Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura» Ez 34, 11) si è realizzata compiutamente in Gesù Cristo.
(…)

4. Il rischio della speranza
Proprio perché godono del dono gioioso ed inestimabile della speranza, i cristiani si riconoscono fratelli di tutti gli uomini di buona volontà e prendono su di sé il compito dell’edificazione personale e sociale. Lo fanno anzitutto nella Chiesa. Ma, con le dovute distinzioni, si sforzano anche di contribuire alla vita buona della società civile fin nella sua dimensione istituzionale.
Con il drammatico acume che caratterizza tutta la sua produzione letteraria, Georges Bernanos osserva: «La speranza è un rischio da correre. È addirittura il rischio dei rischi» .
Mossi dall’indicibile letizia che la speranza dona loro, i cristiani se ne assumono anche tutto il rischio. E così, pieni di speranza, vogliamo domandarci questa sera: qual è il rischio che oggi la festa del Redentore ci chiede di correre? Stante il noto risvolto civile di questa festa, mi assumo il rischio che penso essere di una qualche utilità di riflettere su un aspetto decisivo del nostro civile convivere in società.

5. Una contrapposizione vecchia e insoddisfacente
Le recenti vicende referendarie nel nostro paese hanno dato nuovo vigore al dibattito sulla cosiddetta “laicità”.
Senza voler entrare, in questa sede, in valutazioni relative alle varie posizioni che non cessano, più o meno costruttivamente, di confrontarsi non si può evitare un sentimento di amara insoddisfazione. Forse negli ultimi anni sono mancati interpreti della materia, laici e cattolici, così autorevoli da essere riconosciuti da tutte le realtà in campo. In ogni caso è necessario un ripensamento e, soprattutto, una pratica radicalmente rinnovata della laicità in riferimento sia alla società civile, sia allo stato. Ad imporlo, soprattutto ai paesi europei, è la rapida transizione che stiamo vivendo nel passaggio epocale dalla modernità al cosiddetto post-moderno, che ha nella globalizzazione, nella civiltà delle reti, nell’imponenza delle scoperte biotecnologiche e nel processo, spesso tragico, di “meticciato di civiltà” le espressioni più clamorose.

6. Per una rinnovata idea di laicità

I pensatori più avveduti, riconoscono che le società europee attuali si trovano in una situazione di post-secolarizzazione, conseguente al crollo delle utopie che, di fatto, sono state religioni politiche sostitutive.(…)

Sul terreno di queste linee di pensiero mi sembra possa fiorire il necessario rinnovamento della categoria e della pratica della laicità anche nel nostro Paese. Si tratta di un’urgenza resa ancor più improcrastinabile in considerazione dei recenti antiumani attentati terroristici che hanno colpito ancora una volta l’Occidente, perché di tutto l’Occidente si tratta. Senza società e stati europei plurali, ma coesi al loro interno in forza di una sana laicità, è facile che intere fasce di popolazione si convincano che non esista alternativa reale al conflitto di civiltà, finendo in tal modo con lo sperperare la speranza dell’inizio del terzo millennio e regredendo alla tragica logica moderna dello scontro estremo tra ideologie nemiche.
In questa sede vorrei offrire qualche spunto, benché, per forza di cose, non adeguatamente argomentato.

7. L’insuperabile relazione di identità e differenza: la radice antropologica del potere
(…)
Il costitutivo essere in relazione di riconoscimento del soggetto individuale con altri, che mantiene in dialogica tensione unità e differenza, dà vita alla società civile. La società non è dunque una somma di individui, perché la relazione è costitutiva della persona. Lo si vede dal fatto che nella società si esprimono i preziosi corpi intermedi primari come la famiglia e le comunità di prossimità, tra le quali spiccano quelle suscitate dall’appartenenza religiosa cui si possono equiparare oggi anche forme di solidarietà primaria concretamente agnostiche. A queste si mescolano poi i corpi intermedi, per così dire, secondari o derivati, ma anch’essi decisivi, quali le forme svariate di associazione fondate sul gratuito o su scopi (interessi) condivisi quali i partiti, i sindacati, le intraprese economiche e finanziarie. Da questo variegato insieme, amalgamato dalla lingua come radice di cultura e storia, nasce un popolo ed una nazione.

8. Laicità dello Stato
(…)
In quanto istanza superiore lo stato deve essere – secondo la terminologia ormai d’uso – “laico”. Ma è chiaro, a questo punto, che cosa debba significare laicità: la non identificazione con nessuna delle parti in causa, cioè dei loro interessi e delle loro identità culturali, siano esse religiose o laiche. Tuttavia in forza della sua stessa funzione, stato laico non è sinonimo di stato “indifferente” alle identità ed alle loro culture. Soprattutto non può essere e, di fatto, non è mai indifferente ai valori della tradizione nazionale prevalente cui esso fa storicamente riferimento, come dimostrano le diverse “storie costituzionali” degli stati.
In ogni caso uno stato democratico non può essere indifferente ai grandi valori che stanno a fondamento della stessa convivenza democratica, quali quelli delle libertà civili e politiche, della convivenza dialogica, del rispetto delle procedure per il consenso, ecc. A questi ed ad altri valori e beni comuni fa riferimento lo stato di diritto e lo stesso potere pubblico statale. Dunque lo stato democratico è laico per la sua non-identificazione con qualsivoglia “visione del mondo”, ma non è affatto “neutrale” nei confronti dei suoi valori fondanti.
Laicità dello stato in tutte le sue istituzioni (fino al consiglio di quartiere) è dunque esercizio costitutivo e reciproco di promozione e tutela (tuitio) del diritto e di positiva valorizzazione di tutti i soggetti in campo, mediante il coinvolgimento nella relazione di riconoscimento. Solo il riconoscimento rigenera continuamente le identità ponendole al riparo da ogni integralismo, mentre impedisce che le differenze portino ad esclusioni conflittuali. (…)

9. Un’ipotesi di lavoro
(…)
Un quadro di adeguata laicità deve consentire a me credente di operare nella convinzione che Dio regge ultimamente la storia, con decisive implicazioni sul vivere civile, e deve riconoscere pari diritti e doveri a chi nega questa ipotesi con tutte le fibre del suo essere. Mi sembra allora che, in una società pluralistica, una piena laicità richieda le migliori condizioni possibili per promuovere soggetti personali e sociali tesi al dialogo e al reciproco riconoscimento, in vista della più ampia ed armonica intesa richiesta dal bisogno primario della condivisione dei beni comuni (materiali e spirituali).
(…)

10. Logica democratica e superamento del vietato vietare
(…) Lo stato protegge il libero dibattito delle idee e delle proposte legislative, ma non è indifferente al risultato del confronto democratico tra le parti. Al contrario, è tenuto ad assumerlo. In altri termini, a discernere è il popolo, con la sua storia e la sua sensibilità, direttamente o attraverso i suoi legittimi rappresentanti, nel rispetto dei diritti ma anche dei doveri sanciti dalla costituzione.
Questo deve mettere in moto la virtuosa ricerca del modo migliore (compromesso nobile) di salvare il diritto di ogni minoranza, ma con il realismo di chi sa che non si dà convivenza civile senza sacrifici e che, in ogni caso, il prevalere di un certo tipo di legislazione, essendo le materie di interesse generale, limita gli interessi materiali e/o ideali di una parte. In questa logica come è adeguato esigere dai musulmani, che sono minoranza in Italia, il rispetto della costituzione, anche là dove potesse chiedere loro un ‘sacrificio’ dal punto di vista della loro ermeneutica del bene comune (ad esempio, a proposito della poligamia), così, in base a questo sano concetto di laicità, non mi pare contraddittorio chiedere qualche sacrificio ad una minoranza che pretenda un riconoscimento giuridico-legislativo rigettato dalla maggioranza, sempre fatto salvo il riconoscimento e l’esercizio dei diritti fondamentali personali.

11. Venezia e il rinnovamento della laicità
Se in questa splendida festa, ad un tempo carica di storia e di slancio verso il futuro, poniamo ora mente a Venezia e alla sua peculiare vocazione di città dell’umanità, sorge spontaneo un invito.
Venezia, in se stessa e nel suo essere simbolo universale del dinamismo innovativo di tutto il Nord-Est, diventi sempre più un luogo privilegiato e paradigmatico in cui praticare ed approfondire i risvolti di questa rinnovata fisionomia di laicità in grado di farsi carico della natura post-secolare e post-moderna del mondo attuale. La singolare attrattiva della città lagunare che la rende quotidianamente crocevia di etnie, popoli, religioni e culture, non la urge ad assumere una responsabilità creativa nell’interpretare la rinnovata fase della laicità sociale e politica così necessaria almeno in Occidente? (…)

12. Il contributo della comunità ecclesiale
A questo compito siamo chiamati tutti. Sicuramente lo sono le legittime autorità che esprimono la sovranità del popolo. Ma anche e innanzitutto i diversi corpi intermedi educativi, culturali, economici, politici… di cui vive la società civile.
La Chiesa che è in Venezia intende interagire rispettosamente con tutti per assolvere questo compito comune.
(…)
Forse qualche pregiudizio impedisce di cogliere con chiarezza l’apporto che, nella stessa direzione, la Chiesa offre attraverso le proprie opere educative. Il fatto che siano ultimamente mosse dall’intento di educare al «pensiero di Cristo» (1Cor 2, 16), non significa che non siano laiche. Esse infatti operano rispettando statuto e metodi delle scienze di cui si occupano e considerano la fede come vertice critico della ragione. Sono pertanto aperte a tutti e si confrontano a tutto raggio sul comune terreno del libero incontro delle ermeneutiche di cui abbiamo parlato. In quest’ottica lo Studium Generale Marcianum, il polo pedagogico-accademico del Patriarcato, vuol essere uno strumento a disposizione di tutti i fedeli del Patriarcato e di tutti gli uomini di buona volontà. (…)

13. «Dio ha infatti tanto amato il mondo…» (Gv 3, 16)
Un simile lavoro quotidiano, capace di dar vita ad una virtuosa, creativa e critica convivenza tra credenti e non credenti alla ricerca di una rinnovata nuova laicità, è veramente possibile? A crederlo tale noi cristiani siamo spinti non tanto dalla nostra capacità, ma dalla «speranza che non delude» (Rm 5, 5). Noi per primi facciamo l’esperienza del gratuito potere di riconoscimento che è al cuore della festa di oggi. Infatti, «mentre noi eravamo ancora peccatori» (Rm 5, 6) Dio ha mostrato il Suo amore per noi. Quando eravamo «ancora nemici» (Rm 5, 10) si è preso cura di noi ed ha inviato il Suo Figlio per la nostra salvezza.
Il Padre ha voluto così mostrare il vertice del riconoscimento, l’autentico volto del Suo potere di cui, senza alcuna pretesa, noi cristiani vorremmo testimoniare i benefici frutti anche per la costruzione della vita sociale e politica. Questo potere ha il volto tenero e forte della misericordia del Padre. Non a caso il nome di Gesù è Redentore. E oggi, commossi, noi veneziani e veneti siamo qui a celebrarlo solennemente.
(…)

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