Il discorso del Redentore pronunciato il 18 luglio 2004 ebbe come titolo:  “Una “civitas” per l’umanità. Pluriformità nell’unità”.

(Per la versione integrale del testo selezionare l’apposita sezione “Discorsi del Redentore”)

1. Uno si prende cura di noi
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Tutti noi percepiamo una forza centrifuga che sovente ci allontana gli uni dagli altri e talvolta da noi stessi. Abbiamo bisogno di essere salvati. Tanto più che i «giorni nuvolosi e di caligine» (cfr Ez 34, 12) non mancano neppure nei nostri tempi.
Eppure c’è Uno che si prende cura di noi. È appunto il Redentore, vero Dio e vero uomo, Crocifisso e Risorto per noi e per la nostra salvezza. «Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura» (Ez 34, 11). oltre la morte.

2. Liberi di agire nella storia
Quale è la garanzia che questo annuncio di redenzione è vero? Dove noi uomini del Terzo Millennio possiamo poggiare la nostra speranza perché non resti delusa (cfr. Rm 5, 5)? Come rintracciare i segni inequivocabili di questa «guarigione» per poter veramente credere in Lui (cfr. Gv 3, 15)? La liturgia risponde con il Prefazio: abbandonandoci al «potere regale di Cristo Crocifisso».
Anche noi, come i contemporanei di Gesù, siamo tentati di proiettare sul Regno di Dio l’immagine di una sorta di superpotenza mondana che finalmente sappia imporre il paradiso su questa terra. Invece la caparra della vita eterna non può essere identificata con l’istaurarsi meccanico del Regno di Dio nel nostro mondo. Il Regno certo è già presente ma non ancora in forma compiuta. Ma questo già e non ancora fa risplendere la vera natura del potere regale con cui il Crocifisso «dona all’uomo il senso della gloria rinnovando l’universo» (cfr. Prefazio). Egli propone il Suo Regno alla nostra personale libertà.
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3. Una transizione tumultuosa
La caduta del muro di Berlino che ha segnato simbolicamente la fine dell’idea utopistica di storia preparata da tutta l’epoca moderna, si è paradossalmente prodotta quando il mondo si stava economicamente e tecnologicamente organizzando come una realtà globale. I non pochi avvenimenti di segno negativo verificatisi dall’89 in avanti – la prima guerra in Iraq, la guerra in Afghanistan, l’11 settembre 2001, la seconda guerra in Iraq, l’11 marzo di Madrid, l’escalation del terrorismo fondata sulla controfigura nichilista del martire (l’uomo-bomba), l’impasse radicale in Terra Santa, il permanere delle tante guerre dimenticate, la tragedia dell’Africa subsahariana, il dirompente affacciarsi sulla scena mondiale dell’India e della Cina… e si potrebbe continuare ancora a lungo – ci pongono di fronte ad una fase geopolitica inedita costringendoci ad interrogativi non di rado angoscianti. Cosa viene chiesto a noi quali liberi co-attori della storia in questa fase spesso tumultuosa? Come interpretare questi nostri tempi?

4. Spiegazioni insufficienti
Le non poche analisi a disposizione offrono stimoli e ragioni, ma spesso danno l’impressione di non saper cogliere le radici ultime di questa transizione epocale. Mi limito a due temi.
La tesi che oggi sia in atto un incontro-scontro di civiltà non spiega tutto.
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Fede e religione sono invece inseparabili.
Come la fede non può mai prescindere dalla religione perché l’individuo, «uno di anima e di corpo» (GS, 14), è costitutivamente immerso in società e normalmente la esprime attraverso i riti e i costumi dei diversi popoli cui appartiene, così la religione, per sua natura, non può mai svincolarsi dalla tensione alla verità trascendente su Dio e sull’uomo cui incessantemente la fede la chiama. Allora lo scontro di civiltà, se esiste, non è provocato dalle religioni, ma dalla loro riduzione ideologica. L’ideologia spezza il legame fede/religione e piega la religione ai suoi fini che non sono mai privi di menzogna perché nascondono la loro radice.

5. Il coraggio dell’unità
Come vivere allora criticamente ed attivamente la fase storica in atto? Bisogna ritornare con umiltà al dato reale. Cosa ci indica? Popoli che fino a qualche decennio fa potevano avere contatti e scambi economici, politici e culturali limitati, sia in quantità che in qualità, sono chiamati oggi, di fatto, ad un intreccio che li coinvolge direttamente e con sorprendente rapidità.
Le società contemporanee – senza in questo sostanziali differenze tra le occidentali e le orientali – sembrano non saper fare altro che giustapporre le diverse identità, senza riuscire a farle veramente incontrare. …
Uomini e popoli sembrano condannati ad una sterile alternativa: rimanere ingabbiati nella propria identità o andare incontro all’altro come figure senza volto. L’esito è un contesto sociale sì multietnico, multiculturale e multireligioso, ma in cui il riconoscimento del molteplice, quando c’è, è piuttosto confessione dell’impotenza del soggetto (singolo o popolo) nei confronti dell’unità. Siamo sempre più spettatori allarmati ma rassegnati di società profondamente divise se non disintegrate.

6. Verso un “meticciato di civiltà”?
Dio guida la storia. Con la Sua libertà ne è il primo grande artefice. A questa nuova fase di civiltà è un Padre che ci chiama. Al di là delle contraddizioni e degli errori e disposti ad un costruttivo sacrificio gli uomini debbono riconoscere che Dio è la base della «speranza che non delude» (cfr. Rm 5, 5), come ci ha detto la liturgia di oggi.
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Il secondo fattore in grado di favorire la pluriforme unità di una nuova civitas mondiale è la fiducia nella comune appartenenza di uomini e popoli all’unica famiglia umana. Tutti gli uomini hanno in comune una esperienza elementare legata alla dimensione degli affetti e del lavoro che attraversa ogni diversità di razza, di cultura e di religione. Questo incoercibile dato di fatto non può essere negato, anche se il ricorso alla categoria di natura umana spaventa molti. Ma la comune natura umana non è da intendere come un nucleo monolitico da rinvenire dopo aver eliminato le diversità quasi fossero incrostazioni secondarie.
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Sulle basi qui indicate in modo inevitabilmente generale non solo ogni uomo si dovrà chinare sul bisogno di ogni suo simile – a partire dal più povero ed emarginato – ma ogni nazione dovrà chinarsi su ogni altra nazione, sospinta dalla nobile gara tesa ad edificare la civiltà dell’amore (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis 33). Anche l’economia dovrà trovare vantaggio a piegare la sua logica per affermare un equo profitto, rispettoso del primato del lavoro e ancor prima del suo soggetto e pertanto capace di fare spazio al capitale umano e al capitale sociale, facendosi carico dell’effettiva crescita dei numerosi popoli ancora condannati alla miseria.

7. Redenzione come riconciliazione
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In vista di un nuovo meticciato di civiltà l’attuale situazione geopolitica conferma un’inderogabile necessità di riconciliazione.
Dove trovare la garanzia che questa vita buona riconciliata sia rispettosa di tutti, anche di chi si dice non credente o addirittura ateo? I cristiani non temono di affermare che essa risiede in quel singolare Uomo innalzato sulla croce perché «chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (cfr. Gv 3, 14-16). Cristo apre questa prospettiva perché «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3, 17).

8. Il dovere dei cristiani: testimoniare
Lo stile di vita della testimonianza che fu propria del Maestro deve essere assunto in modo deciso e rispettoso di tutti da noi cristiani. L’assunzione cordiale della testimonianza come modalità privilegiata di rapporto batte in breccia ogni rischio di egemonia nel comunicare la verità. È la premessa per evitare le conseguenti egemonie: culturale, politica, economica e mediatica. Infatti, nella logica della testimonianza l’imprescindibile autoesposizione del soggetto personale e comunitario è garanzia che l’inevitabile caduta nell’ideologia non si trasformi in violenta utopia. …

9. Il contributo primario dei cristiani del Nord-Est
Come il quadro tracciato può sottrarsi alla critica scettica di rappresentare una nuova forma di ottimismo utopico? Ad una sola condizione: che venga assunto come stile di vita da parte dei soggetti effettivamente in campo. Concretamente da noi uomini del Nord-Est, con le nostre famiglie, con i corpi intermedi, con le istituzioni operanti sul nostro territorio. Non si tratta di inventare nuovi soggetti, né tanto meno di fornir loro programmi da attuare, ma solo di assecondare il dinamismo della loro vita reale, così come fa oggi, in questa nostra amata Venezia, il Redentore ricco di misericordia con una folla cosmopolita, espressione concreta della pluralità dei popoli chiamati ad edificare la nuova civitas dell’umanità.
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Gli stessi processi dell’economia, come è stato anche recentemente rilevato, evidenziano che il Nord-Est per crescere è chiamato a vivere le dimensioni del mondo. Perciò non è astratto che i Pastori invitino uomini, gruppi e comunità che a livello civile, politico ed ecclesiale operano nelle nostre regioni a muoversi nel quadro dell’edificazione umile ma tenace di quella civiltà dell’umanità cui il Dio personale e amante ci chiama….

10. Il Nord-Est per la costruzione dell’Europa
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Non è un caso che ancor oggi il Nord-Est, nel rispetto delle singole fisionomie del Veneto, di Friuli-Venezia Giulia e del Trentino-Alto Adige, si ponga come oggettivo ponte tra la Mitteleuropa, i Balcani ed il resto dell’Occidente.
Un ponte dalle robuste radici cristiane e popolari, capace di offrire all’Europa una solida base sociale, fatta da una fittissima rete di corpi intermedi, senza la quale i progetti politici ed economici rischierebbero di non trovare interlocutori.

11. Politiche familiari
A questo scopo è necessario ricordare a tutte le autorità democraticamente elette l’obbligo morale di adottare adeguate politiche familiari che permettano di affrontare con decisione e generosità le gravissime urgenze che sovrastano, in forma sempre più allarmante, l’imprescindibile e delicato istituto della famiglia.
In particolare la popolazione non può essere concepita esclusivamente in termini di “forza lavoro”. Confidare nel fatto che, di per sé, le politiche di immigrazione potranno risolvere gli ingenti problemi a cui la nostra società dovrà far fronte nei prossimi decenni a motivo della crisi demografica, significa misconoscere i dinamismi profondi dell’umana società.
Nello stesso tempo conduce a politiche miopi e non di rado disumane nei confronti degli stessi immigrati.

12. Lavoro e riposo
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Anche oggi le imprese del Nord-Est sono chiamate ad affrontare sempre nuove sfide. Si pensi non solo all’allargamento degli spazi della competizione economica e tecnologica, ma soprattutto all’internazionalizzazione dei processi produttivi. A questo proposito gli osservatori rilevano che il modello nordestino di azienda multinazionale si rivela più flessibile rispetto a quello di matrice anglosassone, poiché di fatto lascia più spazio alle forze locali essendo più sensibile alle richieste e alle risorse del territorio in cui opera. Ovviamente questi semplici spunti sono da noi richiamati perché siano adeguatamente sviluppati soprattutto nelle loro implicazioni antropologiche e sociali che si collegano intrinsecamente al senso cristiano dell’esistenza.

13. Suggerimenti
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Per quanto riguarda la nostra società civile preme ricordare alcune questioni urgenti che chiedono di mettere in pratica la nobile arte del compromesso a beneficio di tutti:
– anzitutto il problema abitativo, soprattutto per la città lagunare: occorre venir incontro ai bisogni dei giovani che intendono sposarsi. (…)
– un secondo elemento di grande importanza riguarda il potenziamento di una articolata unità tra Venezia e Mestre, tema su cui i cittadini si sono quest’anno pronunciati. (…) Anche qui si tratta di assecondare la storia, rispettando l’identità particolare ma senza temere, nello stesso tempo, l’apertura all’universalità;
– le istituzioni culturali con sede nella nostra Città – Università, Biennale, grandi Fondazioni ed Istituti di prestigio internazionale – dovrebbero trovare nelle istituzioni politiche e nei soggetti economico-finanziari pubblici e privati un deciso sostegno. A loro volta esse sono chiamate ad interloquire maggiormente con la città reale. (…)
– nell’ambito della promozione di civiltà è importante fare un cenno alla libertà scolastica. Il bene delle nostre famiglie e delle nostre comunità, nel rispetto delle sensibilità di ciascuno, esige che siano definitivamente superati vecchi pregiudizi. La scuola per essere veramente pubblica deve essere libera. Ciò implica che famiglie e soggetti sociali possano effettivamente diventare protagonisti della vita scolastica anche creando, se lo vogliono e ne sono capaci, istituti scolastici che trovino il necessario sostegno economico dello stato;
– infine raccomandiamo alle autorità costituite di voler continuare l’opera da loro intrapresa per creare le condizioni necessarie ad insediare in Venezia la sede di un’agenzia internazionale. Sarebbe un modo assai utile per affrontare l’emergenza antropologico-demografica della nostra città.

14. Venezia, città dell’umanità
Siamo convenuti in città per la festa del Redentore in decine di migliaia, a cominciare dalla folla riunita in questo splendido tempio – nella cui architettura il Palladio ha in un certo senso profeticamente anticipato il bisogno di armonizzare il differente così necessario alla nuova civiltà dell’umanità – per passare a quanti assiepano, stipati sulle imbarcazioni di varia natura, il bacino di San Marco e gli attigui canali, fino a giungere a coloro che da ieri sera hanno affollato le spiagge del Lido, di Punta Sabbioni, del Cavallino per ammirare la bellezza dei fuochi d’artificio, anch’essi simbolo fuggente eppure splendido di questo desiderio di armonica convivenza.
Veneziani, veneti, giuliani, friulani, trentini, altoatesini, italiani, uomini di ogni nazionalità sono confluiti ancora quest’anno in Venezia. Dire Venezia significa oggi più che mai dire il pluriforme intreccio di rapporti reciproci che a partire dalla terraferma e da tutto il Nord-Est si irraggia a tutto il mondo.
La nostra è veramente una città dell’umanità. (…)