FESTA DELLA FAMIGLIA – Viene proposto qui di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal Patriarca in occasione della XXXI Festa diocesana della Famiglia celebrata domenica 16 gennaio nella Basilica di San Marco a Venezia:

Uomo e donna che si amano: mistero grande.

Dio Trinità rivela il suo volto al mondo attraverso l’amore di un uomo e di una donna 

card. Angelo Scola

Patriarca di Venezia

Festa della Famiglia

 1. «Il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno» (Is 49,5). L’affermazione della Prima Lettura è stata ripresa in modo radicale, di recente, da Benedetto XVI. Il Santo Padre l’ha personalizzata: «Ogni cristiano può ripetere: “Il Signore mi ha plasmato suo servo fin dal seno materno”» (Omelia per la Festa del Battesimo del Signore, 9 gennaio 2011). All’origine di ogni fedele c’è questo antefatto assoluto: l’iniziativa del tutto gratuita del Padre che ci chiama e ci mantiene in vita fino al pieno compimento del disegno, unico ed irripetibile, che Egli ha su ogni uomo e su tutta la famiglia umana. Tutti noi, infatti, siamo «stati santificati in Cristo Gesù, santi per chiamata» (1Cor 1,2). E questo disegno, essendo un progetto d’amore, tende a comunicarsi, perché l’amore è diffusivo. In tal modo, come ben dice il tema scelto per questa XXXI Festa della Famiglia, il mistero dell’amore tra uomo e donna diventa una modalità di rivelazione del Dio Uno e Trino che è la fonte perenne dell’amore.

Le parole vocazione e santità, perciò, non riguardano un’élite sempre più ristretta di individui eccezionali, ma la vita stessa di ogni fedele incorporato in Cristo nel Battesimo, reso figlio nel Figlio.

Vocazione e santità riguardano poi in maniera peculiare la vita degli sposi e della famiglia. Infatti, come diceva Giovanni Paolo II nella Mulieris dignitatis (cfr nn. 6-8), l’uomo è ad immagine di Dio non solo come singola persona ma anche in quanto è in comunione. La comunione d’amore tra l’uomo e la donna che si attua nel sacramento del matrimonio, è parte integrante dell’essere ad immagine di Dio di ognuno dei due sposi.

2. La famiglia è il grembo in cui in cui nasce, cresce e viene educato l’io. O meglio, come non mi stanco di ripetere, l’io-in-relazione. Perché, anche se viviamo in una società in cui l’individualismo sembra vincente [sto pensando alla grancassa con cui i mass-media accompagnano i casi sempre più frequenti delle cosiddette “madri sole per scelta” (single mothers by choice)] a scapito della famiglia fondata sull’amore tra l’uomo e la donna, un bimbo diventa un uomo maturo e compiuto in forza del bene ricevuto dal papà e dalla mamma col dono della vita e delle relazioni buone con cui si sono presi cura di lui: «Di questo hanno bisogno i bambini: dell’amore del padre e della madre. È questo che dà loro sicurezza e che, nella crescita, permette la scoperta del senso della vita» (Benedetto XVI, Angelus, 26 dicembre 2010). L’impronta dell’amore trinitario, attraverso l’amore degli sposi e genitori, segna ogni uomo che viene al mondo. Nella famiglia egli ne impara i primi rudimenti. È lì dove, anzitutto, sperimentiamo che la doppia differenza costitutiva della persona – la differenza sessuale tra l’uomo e la donna e la differenza tra le generazioni (bis-nonni, nonni, padri, figli) – lungi dall’essere un ostacolo è una risorsa. Queste due differenze sono due aspetti decisivi dell’amore tra l’uomo e la donna come fondamento della famiglia aperta alla vita, che debbono, più che mai oggi, essere messi in evidenza dagli sposi cristiani nella Chiesa e nella società. Lo ha ben rilevato la Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo che voi avete meditato per prepararvi a questo incontro.

3. Per questa ragione la famiglia deve essere promossa, e non solo difesa, in funzione della vita buona di una società civile avanzata. Un buon governo (mi riferisco qui a tutte le istituzioni) deve promuovere politiche integrali per la famiglia (non solo politiche sociali). Esse devono andare dall’obbiettivo rilievo dato alla famiglia secondo la sua propria unicità – sancita in Italia dalla Costituzione (cfr. artt. 29-31; 37) -, alla promozione della vita dal concepimento fino al suo termine naturale; da una rinnovata visione del rapporto famiglia-scuola (libera) fino a politiche giovanili adeguate; da una politica fiscale equa fino a una politica di conciliazione tra famiglia e lavoro, dal supporto indispensabile per la cura degli ammalati cronici ed anziani fino a quello reso necessario dalla cura delle varie forme di emarginazione che la interessano. Insomma: nel rispetto del principio di sussidiarietà la famiglia va posta nelle condizioni di essere protagonista nella vita civile.

4. Certo – nessuno lo sa meglio di voi sposi e genitori – ogni relazione d’amore impegna fino in fondo e in maniera diretta la persona che si è coinvolta. Non chiede anzitutto cose o gesti esteriori («Non hai chiesto olocausto e vittima»), ma l’adesione totale e senza riserve del proprio io all’altro. E di questa totalità nell’amare, cui pure il nostro cuore anela, noi non siamo capaci. Abbiamo continuamente bisogno di mendicarla da Colui che è la sorgente stessa dell’amore, il Figlio, «l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo» (Santo Vangelo, Gv 1,29). In quest’ottica si vede la pienezza di bene costituita dal sacramento del matrimonio fedele, indissolubile, aperto alla vita.

5. A questo punto si impone l’altra parola-chiave, insieme a vocazione, della liturgia di oggi: testimonianza. La testimonianza del Battista: tutto il proprio essere e il proprio agire è in funzione dell’agire di un Altro: «Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fosse manifestato a Israele» (Gv 1, 30-31). Dare la propria vita per l’opera di un Altro: questo è il cuore della vocazione cristiana. Di questa testimonianza hanno soprattutto bisogno, anche se non lo riconoscono, i nostri fratelli uomini.

La Costituzione conciliare Gaudium et spes al n. 52 ci propone in termini sintetici ma assai chiari il contenuto della testimonianza affidata alla famiglia fondata sull’amore tra l’uomo e la donna quale sacramento dell’amore trinitario: «I coniugi, creati ad immagine del Dio vivente e muniti di un’autentica dignità personale, siano uniti da un uguale mutuo affetto, dallo stesso modo di sentire, da comune santità, così che, seguendo Cristo principio di vita nelle gioie e nei sacrifici della loro vocazione, attraverso il loro amore fedele possano diventare testimoni di quel mistero di amore che il Signore ha rivelato al mondo con la sua morte e la sua risurrezione».

Si spalanca in tal modo per tutti gli sposi cristiani un compito affascinante e decisivo. Decisivo per la vita stessa della nostra Chiesa. Più volte in occasione di questa Festa e nelle Assemblee degli sposi abbiamo avuto modo di riflettere sulla forma concreta di questa testimonianza familiare, senza la quale sarà sempre più arduo praticare e proporre il senso cristiano della vita come attuazione piena dell’umano.

Giunti quasi al termine della Visita Pastorale e in trepida attesa che Benedetto XVI venga di persona tra noi per confermare la nostra fede, sono sempre più convinto di quanto ho appena affermato. Il Convegno ecclesiale diocesano dello scorso settembre sul tema “L’amore tra l’uomo e la donna: matrimonio e famiglia nella comunità ecclesiale e nella società civile” ci ha consentito non solo di fare un bilancio sul lungo ed intenso cammino svolto nel nostro Patriarcato in proposito, ma ha voluto segnare l’inizio di una sua ulteriore capillare diffusione in tutte le realtà ecclesiali. E questo non dipende anzitutto da interventi organizzativi, ma dalla tenace e generosa testimonianza di ogni sposo e sposa, figlio o figlia, padre e madre, nonno e nonna.

Permettetemi un semplice richiamo a due forme di questa testimonianza coniugale e familiare di cui abbiamo parlato altre volte, ma che sono ormai, nell’odierna situazione, improcrastinabili.

La testimonianza familiare deve assumere, sempre di più, un carattere medicinale. In ogni comunità nessuna famiglia cristiana deve sentirsi estranea alle altre famiglie. Al contrario ogni famiglia deve sentire come responsabilità propria il dovere di farsi carico delle altre, soprattutto delle famiglie ferite. In pieno rispetto e con affetto di carità che chiamo appunto “medicinale” gli sposi e le famiglie cristiane devono accompagnare le famiglie in difficoltà per condividere fatiche e dolori e sanare ferite. Si dovrà aver cura della sofferenza dei figli favorendo il loro inserimento in comunità giovanili parrocchiali ed associative ove crescere nell’amore verso gli altri a cominciare dai loro genitori. Nel quadro di questa missione familiare di carattere medicinale è con particolare gioia che celebreremo insieme il prossimo 17 febbraio i 100 anni di “Casa famiglia”.

La seconda forma di testimonianza che sento molto urgente è legata all’impegno dei nonni o, per meglio dire, della famiglia di prima generazione. Essi sono chiamati a scoprire sempre di più il senso cristiano della loro dedizione a figli e nipoti. Giunti nella fase penultima della loro esistenza, normalmente in buona salute e con più tempo a disposizione, sapranno condividere i bisogni dei loro cari se comunicheranno un’umanità compiuta continuamente alimentata dalla fede e sostenuta dagli insegnamenti della Chiesa.

6. Facciamo spazio a Dio nella nostra vita. La nostra famiglia sarà tanto più ciò che è – dimora dell’io – quanto più sarà dimora di Dio. «Egli sta costruendo una casa tutta diversa da quella che avevate in mente voi. Pensavate di diventare una casetta ammodo: ma Lui sta costruendo un palazzo. Intende venirci a vivere Lui stesso» (C.S. Lewis). Questa è la condizione perché la famiglia diventi Chiesa domestica. Amen