E’ disponibile on line l’articolo scritto dal card. Angelo Scola e pubblicato oggi dal Corriere del Veneto, il Gazzettino , la Nuova Venezia e il Messaggero di Roma.

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Il richiamo più imponente di questa Pasqua, così segnata dall’irrompere del dolore nella vita di molti di noi, scaturisce dalla prova del Crocifisso. Gesù per spiegare il dolore non l’ha “definito”, ma lo ha condiviso. Gesù per spiegare la morte non l’ha “definita” ma l’ha condivisa.
Immergersi, con tutta la nostra umanità, in questo abisso di misericordia genera speranza. Una speranza solidale perché sgorga dalla solidarietà del Figlio di Dio con l’uomo. Egli infatti, incarnandosi, si fa carico di tutte le dimensioni dell’umana esistenza, dagli affetti al lavoro, dal riposo all’economia, all’educazione, all’edificazione sociale.
Guardando a Lui come principio di speranza e di speranza solidale si scorgono i germogli della resurrezione in ogni circostanza, anche in quelle più opache e quasi impenetrabili alla luce del bene. Li possiamo vedere, fin da questi primi dolorosissimi giorni, nello strazio portato con grande dignità dalle popolazioni martoriate dal terremoto dell’Aquila, nell’instancabile dedizione delle centinaia di volontari impegnati a ricucire le ferite della fiducia. O affrontando la grave crisi economica che attanaglia il mondo come occasione per educarci pazientemente a stili di vita integrali. O, come ha indicato il Papa nella sua recente lettera al primo ministro inglese Gordon Brown, considerando la crescente e drammatica povertà dell’Africa non solo come un problema da risolvere per dovere di giustizia e di carità, ma come opportunità per riequilibrare il mercato.
La Pasqua si presenta allora come il mistero che dà un senso alla storia. Ci è chiesto di immedesimarci in profondità con i fatti che tramano la narrazione degli evangelisti – l’ultima cena, l’arresto, la passione, la morte in croce e la risurrezione di Gesù – così che anche per noi oggi sia possibile intravvedere, con gli occhi della fede, gli eventi della morte e resurrezione del Signore come li intravvidero i suoi amici nell’ultima sera passata con Lui. Egli li anticipò nella Cena eucaristica, cambiando il pane nel suo Corpo e il vino nel suo Sangue.
«Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine» (Gv 13,1). Fino alla perfezione dell’amore, fino a dare la vita. Partecipando all’Eucaristia, il gesto che più di ogni altro esprime il genio del cattolicesimo, noi possiamo intravedere l’evento, assolutamente eccezionale, dell’amore personificato. Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, è l’amore che afferra ciascuno di noi (“salva con nome”, come hanno detto i giovani nella Via Crucis al parco della Bissuola, utilizzando il linguaggio informatico), soprattutto nella contraddizione, nel dolore, nel peccato e nella morte.
“Quando sarò innalzato sulla croce, attirerò tutti a me” (cfr Gv 12,32). Se noi ci affidiamo a Lui, per quanto sia devastante la prova che ci tocca o pesante la nostra contraddizione, Gesù ci trascina con sé.
Non è forse ragionevole guardare il Crocifisso Risorto?