UNA NUOVA LAICITA’ – Viene proposto anche questa settimana, sull’acceso dibattito sulla laicità dello stato, uno stralcio del capitolo III del libro del card. Angelo Scola, “Una nuova laicità. Temi per una società plurale” (Marsilio, 2007):

Religioni e vita buona

Si tratta quindi di pensare in termini più rigorosi la fisionomia di uno stato capace di dare spazio in forma adeguata a una società civile veramente plurale. Uno stato che non tema gli inevitabili aspetti conflittuali di una simile società, ma li sappia regolare positivamente. Penso a uno stato non «distaccato» (falsamente neutrale) che, pur non assumendo una specifica visione (Weltanschauung), sia dichiaratamente al servizio della persona e delle esigenze ultime che la costituiscono (desiderio di libertà e felicità, di compimento), che faccia nel contempo propri – nel rispetto di rigorose procedure democratiche – i valori che stanno a fondamento della stessa convivenza democratica (libertà civili e politiche) generata da corpi intermedi. Senza ignorare né temere il dato storico che i valori sono sempre calati in tradizioni particolari che le istituzioni contribuiscono certo a plasmare, ma da cui non riescono di fatto mai a prescindere.

Parlo in proposito di «tradizione prevalente», con intenti analoghi a quelli per cui Habermas parla di «opinione migliore». Come per il semplice fatto di propugnare una considerazione autenticamente formale e procedurale della democrazia non necessariamente si cade in una posizione «relativista»; così neppure si finisce automaticamente nel «fondamentalismo» per il fatto di ritenere che questa considerazione procedurale, dotata di una sua autonoma consistenza, debba essere compresa in chiave assiologica. Parlo consapevolmente di «assiologia» e non di «fondamenti» di una democrazia procedurale. Ciò permette di fare riferimento a un livello «prepolitico» anche di natura religiosa assai utile all’attuazione dei diritti umani e, pertanto, al buon funzionamento delle democrazie.

I diritti fondamentali, se considerati secondo tutto il loro  bagaglio di esigenze costitutive dell’esperienza elementare di ogni persona, e i valori della convivenza democratica, inevitabilmente calati nella storia particolare di un popolo, configurano quindi i lineamenti positivi di una società autenticamente laica. In essa l’istituzione statuale ha anche il compito di ordinare (e far fruttificare) la coesistenza di identità e religioni differenti. Non uno stato inteso come un anonimo vuoto contenitore da riempire a piacimento (opzione debole e, di fatto, irrealizzabile), ma come uno spazio, certamente non confessionale, in cui ciascuno possa portare il proprio contributo all’edificazione del bene comune. E questo non può che avvenire nell’inevitabile e rispettosa logica del confronto e del riconoscimento, l’unica che salva la vera natura del potere che è e deve restare servizio, anche quando debba far ricorso, come diceva Kant, alla «forza per garantire il diritto».

Si tratta non a caso dell’unica opzione che, evitando gli opposti pericoli dell’individualismo esasperato e di collettivismo oppressivo, tiene in adeguato conto la natura «relazionale» del potere. Nessuno di noi infatti può concepirsi al di fuori di un rapporto: l’«individuo» non esiste mai come atomo separato, autosufficiente e quindi contrapposto, ma sempre anche come «alterità differente». Ciascuno è insieme «se stesso» (identità) e «altro» per «qualcun altro» (differenza). Concretamente, come ha ben mostrato Ricoeur, questa relazione si esprime nel processo di confronto dialogico e di riconoscimento (mai privo del relativo misconoscimento) da cui scaturisce ogni sana convivenza e su cui si fonda ogni legittimo potere. Il nesso tra identità e differenza, nella dinamica del confronto e del riconoscimento reciproco, è dunque insuperabile, oltre che fattore fecondo di democrazia. In quest’ottica il rapporto fra religioni e politica domanda solo che venga rispettata tutta la natura di universale concreto propria delle religioni. Essa non è meno decisiva dell’universalità propria dei diritti fondamentali, troppo spesso astratta per la loro riduzione a mera rubrica di regole poco contestualizzate storicamente.

A una sana democrazia non basta quindi una religione civile, né le è di alcuna utilità una religione ridotta a puro privato individuale. Ciò di cui ha bisogno è un riconoscimento pieno delle fedi personali inseparabili da appartenenze comunitarie (religioni), capaci anche di una pubblica soggettività tesa a offrire a tutti, senza privilegi, nel libero campo del confronto democratico, laico, pubblico e plurale, proposte di vita buona a un tempo personale e sociale.