UNA NUOVA LAICITA’ – Viene proposto anche questa settimana, sull’acceso dibattito sulla laicità dello stato, uno stralcio del capitolo V del libro del card. Angelo Scola, “Una nuova laicità. Temi per una società plurale” (Marsilio, 2007):

“Meticciato di culture e civiltà. Un processo in atto”

In questo quadro vorrei proporre un’ipotesi di lavoro per leggere il delicato frangente storico che ci vede protagonisti. Si tratta appunto di un’ipotesi che propongo alla libera e critica discussione da parte di tutti. Mi riferisco al tema del meticciato di civiltà. Mi preme, però, sottolineare che questa espressione non intende, a sua volta, essere una categoria teoretica compiuta – sarei, in tal caso, come il celebre gatto che si mangia la coda – ma vuol solo suggerire una pista che mi sembra emergere dall’ascolto della realtà. Non intendo quindi proporre una riflessione di filosofia o teologia della storia, ma solo offrire un possibile orizzonte interpretativo dei complessi, articolati e contraddittori fenomeni di cui siamo spettatori e protagonisti contemporaneamente.

In connessione con la globalizzazione, con la cosiddetta «civiltà delle reti» e con i poteri delle biotecnologie stiamo assistendo, negli ultimi decenni, a un processo di inedita mescolanza tra i popoli. Non che l’incontro tra i popoli rappresenti una novità assoluta, anzi le migrazioni e mescolanze di popoli sono una costante nella storia degli uomini. Pensiamo a che cosa abbiano significato le migrazioni dei popoli germanici per l’impero romano o l’invasione mongola per il califfato abbaside. Il fatto nuovo è che oggi il fenomeno investe la totalità del pianeta e possiede, per i caratteri sopra ricordati, una rapidità da progressione geometrica. Un aspetto importante di questa mescolanza di popoli è costituito dalla sua natura inedita «bidirezionale».

Se infatti molti abitanti dei paesi in via di sviluppo vengono a cercare fortuna in Europa, nel Nord America o in Australia, è vero anche che ogni anno milioni di persone visitano, per lavoro o per svago, le località più remote del globo. Nonostante i suoi evidenti limiti, il turismo ha contribuito a rompere le barriere dell’isolamento. Il meticciato di civiltà è, anzitutto, un processo in atto che, come tutti i processi e i fatti storici, non chiede il permesso di accadere.

L’espressione non indica, quindi, né una teoria sull’integrazione culturale, né una categoria complessiva di comprensione della realtà. Vuole semplicemente registrare una situazione di fatto che ci sta dinanzi e che, volenti o nolenti, coinvolge ciascuno di noi individualmente e socialmente, come persone e come membri di corpi intermedi e di società civili.

Non sarà inutile ribadire che quando parlo di meticciato di civiltà lo interpreto come Larousse che lo definisce production culturelle résultant de l’influence de civilisations en contact. L’accento è quindi posto sul genitivo (a un tempo soggettivo e oggettivo) di civiltà per sottolineare che nel mescolamento di uomini e popoli in atto nel pianeta (non si possono qui dare le cifre relative agli imponenti fenomeni migratori e di scambio in atto nei continenti!) si attua un fenomeno di incontro e di compenetrazione più o meno violenta di culture, che inesorabilmente mettono in discussione il fatto «nazione» (basti pensare a quanto sta accadendo nell’Unione europea), le relative certezze etiche e domandano nuove formulazioni giuridiche con la connessa necessità di un’inedita delimitazione dei poteri. Non è inoltre superfluo notare che la qualifica di «civiltà» apposta al termine «meticciato» lo tiene al riparo da semplicistiche letture etniche e antropologiche.

La storia, più che un susseguirsi di fatti, è il loro intrecciarsi complesso e il loro dar vita e dipendere da una molteplicità di fattori umani, religiosi, sociali, economici, culturali e politici che suscitano processi. E i processi storici non devono essere solo giudicati, ma possono vederci come attori liberi e consapevoli che cercano di orientarli. Innanzitutto conoscendone i dinamismi e le cause (è la dimensione del giudizio), per poi tentare di scorgerne e proporne possibili sviluppi. Con i processi si deve criticamente e liberamente interagire per cercare di orientarli alla vita buona personale e sociale, mediante un buon governo.

Per queste ragioni mi assumo il rischio di proporre la categoria di meticciato di civiltà come quella che, almeno fino a oggi, mi appare la più capace di leggere e di suggerire piste di comprensione e di accompagnamento critico del processo – sottolineo la parola processo – in atto. Se usata con prudenza, questa categoria non solo trova conferme storiche, ma sembra a me in grado di illuminare un poco la molteplice complessità dei fenomeni emergenti dall’inedito e inevitabile intreccio di popoli, razze, culture e religioni che costringe a ridefinire i rapporti tra gli stati e pensare a un nuovo ordine mondiale. Oltretutto, noi uomini delle religioni siamo convinti che tutti i popoli sono alla fine parte di un’unica famiglia umana e viviamo nella certezza di un Dio che guida la storia.

Usare la categoria di meticciato di civiltà per definire il processo in atto in quest’epoca di travaglio, rende a nostro avviso più agevole leggere i dati, talora brucianti, della cronaca, per meglio affrontare problemi diventati oggi particolarmente complessi quali la pace, la giustizia, la libertà, i diritti, le democrazie. Evidentemente, un fenomeno per certi aspetti così inedito porta con sé problemi immensi e, per trovare soluzioni adeguate, richiede grande capacità creativa. Nel mondo occidentale il dibattito tende soprattutto a focalizzarsi su questioni di natura giuridica, nella convinzione che sia urgente fornire un quadro legislativo solido entro cui accogliere i soggetti che stanno progressivamente entrando a far parte delle nostre società. In effetti, questa posizione mette in luce un aspetto importante del problema, ma può nascondere – e di fatto spesso nasconde, soprattutto se insegue le sirene del nichilismo gaio – la tentazione stigmatizzata dal poeta Eliot di sognare «sistemi talmente perfetti che più nessuno avrebbe bisogno di essere buono» (Cori da «La Rocca», p. vi).