UNA NUOVA LAICITA’ – Viene proposto anche questa settimana, sull’acceso dibattito sulla laicità dello stato, uno stralcio del capitolo IV del libro del card. Angelo Scola, “Una nuova laicità. Temi per una società plurale” (Marsilio, 2007):
Le frontiere del dialogo
È ora necessario interrogarsi sulla modalità concreta con cui il principio della differenza nell’unità – espressione suprema del dialogo che ha fatto l’Europa, attraverso la secondarietà romano-cristiana, rendendola capace di una traditio innovativa – può essere concretamente vissuto e praticato nelle nostre società attuali. Quali sono, quindi, le frontiere del dialogo? Emmanuel Lévinas sostiene che «l’altro, l’unico non sopporta il giudizio, immediatamente mi precede, gli debbo obbedienza». Qui è posta la natura singolare del rapporto dialogico io-tu. Ma il noto filosofo prosegue:
giudizio e giustizia sono necessari non appena compare il terzo. Proprio in nome dei doveri assoluti nei confronti del prossimo, è necessario un certo abbandono dell’obbedienza assoluta che egli (il «tu» in quanto singolo) invoca. Ecco il problema di un nuovo ordine per il quale sono necessarie delle istituzioni e una politica, tutta la struttura dello Stato. (E. Lévinas, Tra noi. Saggi sul pensare-all’altro, Milano, Jaca Book, 1998, p. 253).
L’assoluta pregnanza dell’altro finirebbe per dissolvere sia l’io che il tu se non riconoscesse il peso costitutivo del terzo e, con esso e per esso, della politica, delle istituzioni e dello stato. Il dialogo, e pertanto la riflessione sui suoi limiti, non può mai essere ridotto a una realtà a due. Il terzo, parimenti coriginario, mette in gioco la necessità di ordinare quegli assoluti che sono rappresentati dai singoli, sempre differenti. Infatti il terzo compare sempre e fra i tre (la società) è necessario che si stabilisca un ordine, per impedire che la possibile assolutezza della gratuità nel rapporto io-tu diventi ingiustizia rispetto al terzo: «l’io appunto», afferma sempre Lévinas, «in quanto responsabile verso l’altro e verso il terzo, non può restare indifferente alle loro interazioni e, nella sua carità per l’uno, non può liberarsi dal suo amore per l’altro […]. Ecco l’ora della giustizia inevitabile che la stessa carità esige» (ibid., p. 273).
È importante sottolineare di nuovo che l’apparire del terzo è un dato costitutivo dell’umana esperienza. Basta pensare al rapporto del bambino con il padre in relazione a quello con la madre. È il padre a porre originariamente la questione del terzo. La libertà del figlio, che incontra nel rapporto con la madre la sua prima identificazione, è dolorosamente condotta dalla presenza del padre a quel salutare scambio con il reale (dià-logos) che gli evita la chiusura autistica. Fin da questo livello elementare la presenza del terzo introduce, per così dire, al principio di realtà.
La relazione familiare (padre, madre, figlio) rappresenta in nuce l’avvenimento della communitas, cioè della società. Questa si impone all’io e al tu innanzitutto attraverso i cosiddetti «corpi intermedi» (dalla famiglia alla scuola, all’associazionismo di ogni genere). In essi si attua la società civile al cui servizio deve sempre concepirsi lo stato.
Per quanto riguarda il dialogo – e ancor più il dialogo interculturale e multietnico –, la vita dei corpi intermedi è decisiva. È a questo livello che avviene o non avviene l’integrazione. Infatti la scuola, i luoghi di lavoro, i quartieri e più in generale tutte le forme associative, ambiti educativi per eccellenza, possono favorire quello scambio sociale che rinnova permanentemente una società civile autenticamente democratica. L’integrazione si gioca a livello di società civile in obbedienza ai principi di sussidiarietà e di solidarietà che consentono l’effettuale riconoscimento dell’intrinseca dignità di ogni uomo. Questo paziente lavoro educativo deve essere accompagnato, nel più assoluto rispetto, dallo stato. Allo stato democratico tocca garantire il contesto di ordine, di pace e di benessere necessario perché la logica della testimonianza possa essere concretamente attuata dai singoli e dai corpi intermedi.
L’autorità costituita dovrà essere particolarmente attenta, in proposito, a salvaguardare la pregnanza della traditio innovativa, in quanto fattore dinamico di edificazione di civiltà. Nel massimo rispetto della storia, della cultura e dei costumi del popolo che rappresenta, l’autorità statuale, ai vari livelli, non pretenderà di imporre in modo meccanico un’idea astratta di integrazione. Per esempio, non porrà, dal punto di vista pratico, sullo stesso piano l’attuazione dei diritti di culto richiesta dal 98% di una popolazione (cattolica), con quelli pur dovuti a una minoranza dell’1% (musulmana).