– Da Il Sole 24 Ore (31 marzo 2012) –

Normalmente la famiglia comunica, quasi per osmosi, l’esperienza morale elementare. Nel suo grembo ogni persona, attraverso il bene primario degli affetti, è “riconosciuta” come tale – il sorriso della madre al bambino gli dice: “è bene che tu sia” – e spalancata al futuro da una “promessa” di compimento.
Una promessa dalla quale scaturisce un “compito” che si gioca nelle relazioni interpersonali e nello scambio tra le generazioni. Ecco scanditi i tre inscindibili fattori, “riconoscimento-promessa-compito”, decisivi per l’esistenza di ogni uomo.
Questo è il secondo di una serie di interventi che il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, proporrà ogni sabato sulle colonne del Sole 24 Ore. Riflette sull’esigenza di ri-conoscere la famiglia e il suo compito nelle nostre società plurali anche a partire dalla provocazione offerta dal prossimo Incontro mondiale delle famiglie, che porterà milioni di persone a Milano dal 29 maggio al 3 giugno prossimi.

Il primo intervento, pubblicato sabato scorso, rifletteva sulla centralità della famiglia come soggetto sociale per eccellenza. Oggi, invece, si sofferma sulla necessità di non lasciarla sola nel grande e urgente compito educativo di formare gli adulti di domani.

Appare in tal modo del tutto ragionevole che il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa definisca la famiglia come “una comunità di amore e di solidarietà… in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società” (n. 238). Oggi, tuttavia, queste abilità del “familiare”, mediante le quali la persona “fiorisce,” sembrano messe in discussione.

Il volume La sfida educativa. Rapporto proposta sull’educazione a cura del Comitato per il Progetto culturale della Cei ha ben analizzato tale orientamento e messo in luce la drammatica emergenza educativa che si vive dentro e fuori la famiglia, nei diversi contesti sociali. La famiglia, infatti, si trova quotidianamente a fronteggiare situazioni rischiose che richiedono la messa in campo di valori e di risorse personali e relazionali. Ma questi non sono sempre facilmente reperibili dentro il contesto sociale frammentato nel quale le famiglie stesse vivono. Il rischio si presenta talvolta sotto forma di sfida, spesso legata alla necessità di conciliare famiglia e lavoro, che incalza i genitori ad inventare sempre nuove soluzioni sensate e sostenibili nella gestione del tempo.

La necessità di far fronte a situazioni sociali così incerte negli esiti non deve scoraggiare, anzi conferma l’urgenza della mission educativa. Anche se a volte sembra un’impresa impossibile, essa interpella la famiglia proprio nella sua essenza: dare la vita – non solo biologica, ma compiutamente umana – ad una nuova persona, ad una nuova generazione. Come sostenere le famiglie nell’assunzione di questa missione che non investe solo l’ambito familiare, ma incide sulla vita buona dell’intera società? Innanzitutto avendo consapevolezza che i bambini sono sempre figli, cioè generati, e che il nesso con i genitori (i generanti) e i legami familiari e intergenerazionali è, pertanto, originario e costitutivo. Per i genitori, per i nonni e per tutta la famiglia, infatti, ogni figlio è speciale anche se provato dalla sorte nel fisico o nella mente.

In questa prospettiva il valore aggiunto della famiglia è quello di generare umanizzando, offrendo ai figli il senso della loro unicità entro una appartenenza significativa vissuta giorno per giorno. In altri termini, la famiglia, grembo insostituibile in cui viene generata l’identità e matura l’umanità dei piccoli, è risorsa imprescindibile per la società. Data l’ampiezza e la profondità del compito che l’attende, la famiglia non può essere lasciata sola: conseguirlo o non conseguirlo fa la differenza in ordine alla vita buona della società. In proposito è urgente che essa sia affiancata da altri attori che, riconoscendone la valenza educativa primaria, stringano tra loro un patto. Penso ad un’alleanza educativa nella quale i soggetti educanti – famiglia, scuola, attori della comunità – possano agire congiuntamente secondo una logica di sussidiarietà. I loro ruoli sono distinti, ma l’obiettivo – un’umanità potenziata e una crescita di personalità libere e certe – è condiviso.