Oltre 1500 delegati di tutte le realtà della Chiesa veneziana si sono riuniti domenica 11 ottobre nel pomeriggio nella Basilica di San Marco per la seconda Assemblea ecclesiale diocesana. Il programma è stato molto intenso e articolato in momenti diversi di ascolto, testimonianza, preghiera e teatro (vedi post precedente).

Qui è possibile vedere il video e leggere l’intervento del Patriarca Angelo Scola.

«ANDARONO DUNQUE E VIDERO DOVE EGLI DIMORAVA» (GV 1, 39)

IL VALORE DELLA TESTIMONIANZA

1. Testimonianza: una parola chiave

«E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio Dio» (Gv 1, 34). Di che cosa il Battista è testimone? Di fronte a chi non accetta o addirittura nega che Gesù è Dio («Era nel mondo e il mondo è stato fatto attraverso di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto», Gv 1, 10-11) il Battista testimonia pubblicamente le cose come stanno [«io ho visto»], la verità.

La stessa attitudine è domandata ai seguaci di Gesù in ogni tempo: sono testimoni perché sono chiamati a “deporre pubblicamente” a favore di Gesù affermando la verità: Gesù è il Figlio del Dio vivente. I Vangeli sono tutti intrisi di questa autentica testimonianza, soprattutto il Vangelo di Giovanni. Gli studiosi hanno calcolato che i vocaboli che possiedono la radice del testimoniare (martyr: da cui martirio) ricorrono più di 200 volte nel Nuovo Testamento.

Lungo tutto l’arco della Visita pastorale, dal momento della sua decisione nel 2004 a quello della sua indizione in occasione della Prima Assemblea ecclesiale (Aprile 2005) fino ad oggi, testimonianza è stata la parola chiave. Di più, è stata il metodo del nostro comune cammino.

Anche questa Seconda Assemblea Ecclesiale, nella sua preparazione e ora nel suo svolgimento, poggia sulla testimonianza come metodo di conoscenza e di comunicazione della verità. Questo metodo di conoscenza e di comunicazione è primario rispetto ad ogni altra forma di conoscenza e di comunicazione: scientifica, filosofica, teologica, artistica ecc.

Per meglio comprendere quello che voglio dire vi propongo di ritornare per un istante alla nostra esperienza infantile. Quando balbettiamo le prime parole e quindi cominciamo a fare l’esperienza del conoscere e del comunicare, cosa avviene? Entriamo in rapporto con gli altri e le cose in forza del bene ricevuto dal papà e dalla mamma col dono della vita e delle relazioni buone con cui si sono presi cura di noi. Generandoci, cioè donandoci la vita e prendendosi cura di noi, essi hanno destato in noi quella promessa di compimento di noi stessi (felicità) che ci inoltra nella realtà. Allora il nostro conoscere è anzitutto un ri-conoscere. E questo riconoscimento consiste di fatto nel dare loro pubblica testimonianza. La stessa cosa fa il Battista nei confronti di Gesù: lo ri-conosce come Figlio di Dio rendendoGli pubblica testimonianza. Ogni altra conoscenza o fiorisce su questo livello primario o resta in qualche modo monca, astratta (che vuol dire “separata”), anche se mi offre una grande quantità di sapere. Non riesce a mobilitarmi, non mi lancia nella vita e nella realtà (bimbo “autistico”). Rendere testimonianza alle relazioni buone è la radice di ogni conoscenza, anzi è la più importante forma di conoscenza. Ciò non vale solo per l’infanzia, vale lungo tutto l’arco dell’esistenza. La testimonianza quindi coglie la mia persona nel suo essere in relazione. Per questo è sempre, nello stesso tempo, personale e comunitaria.

La Visita pastorale e questa stessa Assemblea ecclesiale ci stanno educando al senso pieno della testimonianza, cioè della conoscenza e della comunicazione, da cui dipende lo stile di vita di ogni uomo. Cerco ora di descrivere un poco il significato della testimonianza.

2. La «bella testimonianza» di Gesù

Nella Prima Lettera a Timoteo (6, 13-16) troviamo questa preziosa affermazione: «…Gesù Cristo, che ha dato la sua bella testimonianza davanti a Ponzio Pilato…».

Immedesimiamoci per un istante con Gesù davanti a Ponzio Pilato, il potente e scettico governatore romano, seguendo la narrazione del Vangelo di Giovanni (18, 28-38)

A differenza di quanto aveva fatto con le autorità giudaiche Gesù, con grande apertura, instaura un dialogo con il pagano Pilato. Questi si è accorto di trovarsi, suo malgrado, in mezzo ad un grande imbroglio. Si sente preso in trappola. Nello stesso tempo, sia pur con distratto scetticismo, ora che si trova di fronte l’uomo del momento, il protagonista, non resiste all’idea di penetrarne un poco la personalità. Percepisce che nel rapporto con Gesù è in gioco qualcosa che lo riguarda di persona, anzi che riguarda un po’ tutti gli uomini («Ecco l’uomo!», 19, 5). Ne è conferma il fatto che a fronte di tutto il bene compiuto da Gesù i capi del popolo ed il popolo stesso l’avevano trascinato davanti a lui con espliciti intenti di condanna capitale. La fecondità della testimonianza di Gesù è già rilevabile all’inizio dell’incontro con Pilato.

«Sei tu il re dei Giudei?» domanda il governatore. Gesù gli offre una carta, una carta decisiva: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?» Ecco lo stile di Gesù il testimone veritiero, degno di fede, fedele (cfr. Ap. 1, 5; 3,14). Dove sei tu, Pilato, in questa domanda? Perché a me interessi tu, non il tuo ripetere il “sentito dire”. Io rischio con te, tu rischia con me. Invece, come spesso capita a noi uomini quando siamo invitati ad esporci, Pilato si ritrae quasi stizzito: «Son forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me». “Teniamo le distanze”… pensa Pilato. Anzi, pensa tra sé, “Costui deve sapere che qui sono io a condurre il gioco”. E per rimettere Gesù al suo posto gli intima: «Cosa hai fatto?» “Rendimi conto!” Anche in quel momento estremo, quando ormai l’ombra dell’imminente condanna già vela il suo capo, con la sua potente conoscenza del cuore dell’uomo [questo bimbo… «è qui come segno di contraddizione, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» Lc 2, 34-35, aveva profetizzato il vecchio Simeone] Gesù riprende l’iniziativa e invita di nuovo Pilato a compromettersi con la Verità che vive nel Figlio di Dio: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei. Ma il mio regno non è di quaggiù» (Gv 18, 36). Tu sei potente, Pilato, autorità massima del grande impero romano in questa provincia con soldati e milizie ai tuoi ordini, ma non sospetti che ci sia un’altra dimensione della vita tua e di tutti gli uomini che conta? Un “potere” di altra natura rispetto al tuo, anzi superiore al tuo. Un potere che non è di quaggiù e tuttavia investe il quaggiù e da ultimo lo chiama a giudizio? Non te lo fa pensare se non altro il fatto che se il mio regno fosse come il tuo anch’io avrei fatto uso di truppe per combattere contro i giudei? Pilato non capisce, la sua esperienza religiosa non gli consente tanto. Forse è avvezzo in modo formale al culto di qualche divinità pagana e dell’imperatore. Probabilmente è anche un po’ intimidito dalle premonizioni della moglie che come dice un altro evangelista (Mt 27, 19) gli aveva raccomandato: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Un sogno, materiale labile e per giunta un sogno di donna, pensa Pilato. Qui c’è in ballo ben altro: bisogna affrontare questi capi popolo ostinati, e soprattutto la folla inferocita che ha sete di sangue, altro che sogni. Torniamo con i piedi per terra, restiamo quaggiù, bando a discorsi sull’oltre .

«Dunque tu sei re?» Gesù, il testimone degno di fede, per la terza volta non si tira indietro. Rischia tutta la sua persona per affermare la verità anzitutto a favore di Pilato. Qui si vede bene cos’è la testimonianza autentica, è sempre personale e comunitaria perché inesorabilmente coinvolge gli altri. Implica quel dono di sé che provoca e contagia. Ma questo dono è veramente tale solo se rende omaggio, costi quel che costi, alla verità tutta intera. «Tu lo dici – senza capirlo, forse senza volerlo capire e di questo sei responsabile – io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Essere Re, regnare, per Cristo è servire la Verità e la verità si serve con l’autoesposizione, pagando di persona per affermarla. Per i seguaci di Cristo la verità è Gesù stesso. Colui che nel corpo donato e nel sangue versato ci ha coinvolto nell’Amore crocifisso e risorto perché noi si impari l’amore oggettivo ed effettivo. L’amore fedele e fecondo. L’amore anima della testimonianza.

Nel colloquio tra Gesù e Pilato si manifesta tutta la forza della testimonianza, la fonte principale di conoscenza carica di affetto che spalanca la nostra persona ad una condivisione radicale di tutti i nostri fratelli uomini, in tutti gli ambiti dell’umana esistenza. Essa ha sempre due decisivi connotati: il coinvolgimento personale, il dono totale di sé che si esprime nella comunicazione, nel racconto che però deve giungere sempre a rendere omaggio alla verità tutta intera.

In concreto per il cristiano la testimonianza consiste nell’obiettiva sequela di Gesù, carica del coraggio di riconoscerLo di fronte al mondo, come Lui fece di fronte a Pilato. Senza pretese egemoniche verso il mondo, ma anche senza complessi. Così vissuta la testimonianza è sempre comunitaria: lo è nella genesi (come per il bimbo che comincia a parlare dando testimonianza delle buone relazioni con i suoi cari), lo è nel contenuto che non è mai pura autobiografia (perché il cristiano è sempre immerso nel noi ecclesiale), lo è nell’esito perché genera rapporti (sempre chiama l’altro a coinvolgersi). Qualunque sia la situazione di fede, di pratica cristiana, di vita morale, di condizione sociale in cui versa. Sempre la testimonianza poggia sui due pilastri indicati: il racconto e il giudizio di fede sull’esperienza narrata.

Quando vive questi due aspetti il cristiano dà testimonianza a Cristo di fronte a tutti gli uomini (così fecero il vecchio Simeone, Giovanni il Battista, gli apostoli e soprattutto così fece la Vergine Maria col «custodire nel suo cuore» (cfr. Lc 2, 51), col suo abbraccio addolorato e pietoso al cadavere di Gesù sul Golgota, con la sua gloriosa assunzione). La testimonianza degna di fede com-muove la libertà dell’altro e lo invita alla scelta.

Questo è il senso delle quattro grandi direttive che abbiamo posto al cuore della vita della nostra Chiesa nella Visita pastorale. Approfondire la nuova parentela tra di noi. Essa vive per la Sua potenza nell’azione eucaristica, nella liturgia, nell’immedesimazione alla Parola di Dio, nella comunione vissuta, attraverso l’educazione al gratuito e al pensiero di Cristo («Io penso che abbia l’intelletto di Cristo chi pensa secondo Lui e pensa Lui attraverso tutte le cose», Massimo il Confessore) e la presenza quotidiana in tutti gli ambienti dell’umana esistenza. Tutti infatti sono stati toccati dalla redenzione (cfr. GS 22) di Cristo. A tutti gli uomini noi siamo mandati e mandati dall’amore del Crocifisso risorto.

Agostino, commentando la scena descritta in Gv 21, 15-19 – quando Gesù affida la Sua missione a Pietro, dopo la triplice insistente domanda: «”Mi ami tu?”» – afferma: «Prima veniva chiesto l’amore e poi imposto l’onere, perché dove maggiore è l’amore, minore è il peso della fatica». Ecco la bella testimonianza (cfr. 1Tim, 6, 13), cuore della nostra vocazione e della nostra missione di cristiani fratelli di tutti i fratelli uomini.

3. Con Gesù: incontrare, andare per vedere, dimorare, comunicare

Torniamo per un istante alla secca chiusa del brano del Vangelo di Giovanni: «Gli dice Pilato: “Che cosa è la verità”?». Poi Gli volta le spalle seccato ed esce per affrontare la tragica situazione in cui è stato, letteralmente, tirato dentro. Lo si vede bene dalle parole con cui attacca il discorso ai giudei: «Io non trovo in lui colpa alcuna». Comincia la mediazione politica. Non vuol compiere un’ingiustizia. Propone loro uno scambio. La lotta però è impari anche per il grande governatore. I capi sono duri e decisi, il popolo è inferocito. Intuiscono che Pilato cederà travolto dalla paura. Ma perché? La risposta è tutta in quella scettica replica del governatore a Gesù. “Sì, la verità… Ma chi sa mai cos’è la verità? Ammesso che esista…” È tutta qui la ragione della sconfitta di Pilato che poi ricade su Gesù. Se non dai testimonianza alla verità in ogni situazione, gioco forza in quelle eccezionali, perdi e ti perdi. Sei gettato fuori di scena. Dice Agostino: «Veritas est vir qui adest». La verità è l’uomo presente, vivo, che aderisce, che si compromette. È il testimone.

Su questo terreno testimoniale fiorisce tutto il valore prezioso di questa umile Assemblea ecclesiale. Un semplice incontro dei familiari di Cristo. Noi, con tutti i nostri difetti ed i nostri peccati, abbiamo fatto la scelta contraria rispetto a quella di Pilato. Noi, quando Lo abbiamo incontrato, abbiamo reso omaggio alla Verità vivente che Egli è. Lo abbiamo seguito. Non ce ne siamo andati scettici di fronte a quella Presenza, portandoci addosso tristi il peso di una cattiva solitudine con cui affrontare la vita ridotta a puro mestiere. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo fatto come Andrea e Giovanni: «Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: “Ecco l’agnello di Dio”. E i suoi discepoli sentendolo parlare così, seguirono Gesù» (Gv 1, 35-36). Veritas est vir qui adest. Andrea e Giovanni aderiscono alla relazione buona con Gesù, come noi da bambini con i nostri genitori. Lo seguono.Il dinamismo della testimonianza che li spalanca al senso pieno della vita si mette in moto. E non è tutto. Quello slancio alimentato dalla promessa di pienezza che li aveva decisi a lasciare il primo maestro, il grande Giovanni Battista – riflettiamo bene su questo distacco – riceve subito una ricompensa straordinaria. Gesù li sorprende: «… Si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”» (v. 38). La spinta che li aveva messi in movimento, l’umile testimonianza del Battista, è provocata da Gesù a diventare consapevole. E la risposta è straordinariamente bella perché umanissima. Non fanno discorsi, non balbettano ipotesi. «“Rabbì, maestro, dove dimori?”» (v. 38). Cercano Lui, vogliono coinvolgersi con Lui. Veritas est vir qui adest. La strada alla verità è relazione, rapporto, comunione con Gesù e, in Lui, tra di loro. Come dice la Lettera di indizione di questa Seconda Assemblea Ecclesiale, “Stare con Lui, stando tra di noi”. E la risposta, se è possibile, è ancor più umana: «Venite e vedrete». Chi di noi può ancora oggi restare indifferente a questo invito? Quale uomo può mai evitare l’eco di felicità che è contenuto in questa proposta? Ma qui viene il bello: «Andarono dunque e videro dove Egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio» (v. 39). La trama della loro esistenza quotidiana muta. Gesù diventa per la loro persona il nuovo ed esaltante centro affettivo. Nasce un nuovo stile di relazione: incontrare, andare, vedere, dimorare, comunicare. Ecco il contenuto della vita cristiana, il senso della Visita pastorale, la trama di vita di ogni comunità cristiana. Il tempo nella sua implacabile funzione di misura trattiene il fatto con semplicità: «Erano circa le quattro del pomeriggio» (Gv 1, 39). Come ora sono 18.

Cosa avran detto Andrea e Giovanni agli amici, al ritorno? Andrea incontra Simone e comunica, dà testimonianza dell’esperienza straordinaria di conoscenza scaturita da quell’incontro: «Abbiamo trovato il Messia». Per loro, convinti figli di Israele animati dall’attesa, il Messia è la Verità… E così la catena dei nuovi parenti di Gesù prende avvio. Se siamo qui è solo perché del tutto gratuitamente ci è dato di essere un anello di questa preziosa catena. E la vita che si svolge tra noi, per Sua volontà, altro non è che la Sua modalità di presenza nella storia a favore di tutti gli uomini. La storia nostra e quella di tutti. In quest’Assemblea ecclesiale, ecclesiale e quindi essenzialmente diversa da ogni umana assemblea, stiamo dimorando insieme qualche ora per mendicare un’altra volta dal Suo Spirito la consapevolezza dell’incontro risolutivo con Lui. L’incontro che si prolunga nella memoria eucaristica. E questa Memoria, nutrita dalla nostra preparazione, dal nostro ascolto, dal nostro canto, in una parola dalla nostra responsabile condivisione di questo pomeriggio, ha la stessa forza dell’incontro personale con Lui. Anzi la memoria sacramentale lo rende ogni giorno più forte e più convincente. Andremo così per le strade del mondo in semplicità, colmi di gratitudine. Testimoni lieti nella speranza (Rm 12, 12) per il bene di quanti il Signore pone sulla nostra strada.

4. «Un lavoro comune, un impiego per ciascuno»

Il poeta Eliot nei suoi Cori della Rocca descrive il quotidiano, umile e tuttavia imponente contenuto della testimonianza che il vero cristiano rende a Gesù-Verità vivente e personale: «In luoghi abbandonati/Noi costruiremo con mattoni nuovi./Vi sono mani e macchine/E argilla per nuovi mattoni/E calce per nuova calcina./Dove i mattoni sono caduti/Costruiremo con pietra nuova./Dove le travi sono marcite/Costruiremo con nuovo legname./Dove parole non sono pronunciate/Costruiremo con nuovo linguaggio./C’è un lavoro comune/Una Chiesa per tutti/E un impiego per ciascuno/Ognuno al suo lavoro». Il compito è la vocazione e missione quotidiana di ciascuno di noi (affetti, lavoro, riposo).

Permettetemi ora di richiamare qualche passo comunitario che è andato man mano profilandosi in questi anni di Visita pastorale.

1. Prendere sul serio le quattro finalità tesi ad edificare comunità ben espresse per poter dire “Vieni e vedi”. Comunità dove dimorare come uomini nuovi spalancati alla realtà, sempre aperte a tutti.

2. Impegnarsi con la scelta della parrocchia dal volto missionario o, dov’è il caso, delle comunità pastorali, con le comunità educanti per l’iniziazione cristiana. Ridare vita nuova ai patronati. Aver cura del pensiero di Cristo attraverso gli strumenti di formazione culturale. Sostenere la famiglia e far scoprire la bellezza del matrimonio agli sposi e soprattutto ai fidanzati. Riconoscersi tra cristiani in tutti gli ambienti dell’umana esistenza (quartiere, scuola e lavoro). Amare di vero amore (non ideologico) ma di preferenza gli ultimi. Farsi carico della missione ad gentes (Ol Moran).

3. Una Eucaristia feriale (settimanale, quindicinale, mensile) partecipata almeno da quella che abbiamo chiamata “la mano”.

4. L’Adorazione eucaristica.

5. Il pellegrinaggio mariano ai santuari (Nicopeia, Borbiago, Caorle).

6. Ricevere e portare in tutte le famiglie l’icona della Deesis (intercessione).

7. Vivere con coscienza l’impegno di solidarietà con i terremotati del Pakistan (300 case e due scuole).

8. Ritrovare la strada della Confessione regolare favorita da celebrazioni comunitarie del Sacramento della Riconciliazione.

9. Pregare per i sacerdoti in questo anno a loro specialmente dedicato da Benedetto XVI. Questo comporta sostegno ed affetto per la nostra comunità seminaristica. Quest’anno 7 giovani si sono aggiunti a questa bella compagnia.

Voglio darvi ora una bella notizia. Nei prossimi giorni istituirò ufficialmente in Diocesi l’Ordo Virginum. Si tratta di una forma di vita consacrata riconosciuta dalla Chiesa. Non è una congregazione, un ordine religioso o monastico, né un Istituto secolare. È una forma di consacrazione per donne che sono chiamate, per puro dono di Dio, a vivere la verginità nel mondo accanto agli altri fedeli. Sono donne consacrate che fanno riferimento al Vescovo. Esse scelgono di vivere un rapporto nuziale con Cristo, con particolare attenzione al Suo corpo che è la Chiesa, in special modo alla diocesi. Questa forma di consacrazione assai antica, secondo taluni già attestata in Atti 21,9, è stata dopo molti secoli rivalutata dal Concilio Vaticano II (SC, 80). Il rito pubblico di solenne consacrazione è stato emanato da Papa Paolo VI nel 1970. Il Codice di diritto canonico vi dedica il canone 604. Il prossimo lunedì 7 dicembre, alle ore 18.30, Vigilia della Solennità dell’Immacolata Concezione, tre donne della nostra Chiesa, Silvia Marchiori, Nella Pavanetto, Katya Vanin, dopo anni di preparazione, saranno pubblicamente accolte dal Patriarca nell’Ordo Virginum in questa Basilica Cattedrale. Sono certo che da tutta la diocesi vorrete convenire numerosi per ringraziare Dio di questo dono prezioso per la Chiesa e per il mondo.

5. L’Innominato ti aspetta

Seguire Gesù, domandare ogni giorni di esserGli familiari (“Dove abiti?”), andare a vedere, dimorare con Lui per poter dire a tutti “Vieni e vedi”. Ecco il compito che scaturisce dalla Seconda Assemblea ecclesiale, dalla Visita pastorale, ma a ben vedere dalla vita di ognuno di noi nella Santa Chiesa di Dio che è in Venezia. Ti è ora domandato un soprassalto di libertà. Veritas est vir qui adest. Ora tocca a te. Lasciamo spazio alla drammatizzazione della conversione dell’Innominato. Non ha nome ma ha un volto ben definito. Come l’uomo del nostro tempo. Lasciamoci percuotere dal suo dramma. È una testimonianza preclara. Ricordati che fuori da questo splendida Basilica, nel quotidiano, l’Innominato ti aspetta.