Parrocchia di Germanedo, Lecco
Domenica delle Palme
14 aprile 2019

Meditazione di S.E.Rev.ma Card. Angelo Scola

 

1. «Dammi il cuor»

«Tu mi guardi dalla croce/questa sera mio Signor,/ed intanto la tua voce/mi sussurra: “Dammi il cuor”».

Lo sguardo del Redentore ci rivolge dalla Croce, con la melodia di Mozart, questo singolare invito: «Dammi il cuor». Cioè, dammi tutto te stesso. Cos’è, infatti, il cuore, se non il centro del mio io? Il luogo del bisogno-desiderio che mi costituisce, destato in ogni istante dalla realtà che lo urge ad un continuo coinvolgimento? Il cuore è l’autentica molla di ogni mio atto di libertà. Il sussurro del Crocifisso (la tua voce mi sussurra) ci sorprende questa sera. 

Ma un crocifisso non è uno sconfitto? Come può rivolgermi una richiesta così ardita? 

Tanto più che il mio cuore, come quello di ogni uomo, è attraversato dall’insopprimibile inquietudine di cui parla Sant’Agostino. 

Cosa può dire un Crocifisso sconfitto agli occhi del mondo ad un cuore, cioè ad un io strutturalmente inquieto e ancor più – se è possibile – provato dalla complessità contraddittoria del contesto socio-culturale in cui oggi siamo chiamati ad affrontare il talora faticoso “mestiere di vivere”? Un Crocifisso che si rivolge ad un cuore inquieto non è l’incontro di due problemi, la somma di due negativi? Cosa può mai venirne di buono? 

Eppure, per quanto possa essere alienato dal proprio cuore – cioè dal centro del proprio io – l’uomo deve sempre fare i conti con la domanda delle domande che, come l’erba selvaggia a primavera sbuca anche dal più fitto cumulo di detriti. È genialmente espressa dal Leopardi nel Pastore errante dell’Asia: «Ed io che sono?». Cosa cerca questa domanda? Insegue affannosamente quella pace in cui il nostro inquietum cor possa infine trovare riposo. 

Perché allora non accettare l’invito amoroso che da duemila anni irresistibile promana da quell’Uomo singolare che si è lasciato drizzare sul palo ignominioso della croce? Da duemila anni schiere di uomini e di donne, ma soprattutto intere generazioni dei nostri padri, hanno risposto positivamente al sussurro dell’Uomo della croce. 

Lasciarsi guardare da Gesù: ecco la strada perché la sete del nostro cuore venga saziata, perché il desiderio che ci costituisce sia compiuto. E così nel Volto di Gesù che ci guarda prende forma il nostro volto. Ogni uomo, infatti, prende forma dallo sguardo di quell’Uomo su di lui, che chiama la sua libertà – vocazione – a coinvolgersi con Lui. 

2. «Questo cuore sempre ingrato»

«Questo cuore sempre ingrato/oh, comprenda il tuo dolor,/ e dal sonno del peccato/lo risvegli, alfin, l’Amor 

Il volto dell’uomo si rivela nello sguardo che il Volto di Cristo gli rivolge. E questo divino Volto – troppo spesso lo dimentichiamo – è il Volto dell’Innocente condannato e crocifisso. La Chiesa non esita a mettercelo sotto gli occhi con forte realismo, nella solenne liturgia del Venerdì Santo, attraverso le parole del profeta Isaia: «Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevano alcuna stima» (Is 52, 14. 53, 3). 

Il Volto del Crocifisso è il Volto di Colui che si è fatto carico di tutto il male degli uomini. Di tutto il peccato. L’ha preso su di Sé. Del mio male, del mio peccato. Del tuo male, del tuo peccato. Del nostro male, del nostro peccato. Del male di tutti, del peccato di tutti. Per questo nel Suo volto è inscritto il volto di ogni uomo che soffre. 

«Ecce homo» (Gv 19,5): è davanti a noi il volto dell’Innocente crocifisso e risorto. Crocifisso e risorto per il nostro «cuore sempre ingrato».

3. «Madre afflitta, tristi giorni ho trascorso nell’error»

«Madre afflitta, tristi giorni ho trascorso nell’error». Questa sera noi stiamo, come Sua Madre, sotto la croce. «Stabat Mater dolorosa, iuxta crucem lacrimosa, dum pendebat Filius»: da secoli il popolo cristiano sosta con queste parole ai piedi della croce redentrice. Stiamo sotto il Suo sguardo e, come la Madre, ne beviamo le ultime parole.

Anche noi, come Maria e lo sparuto gruppo dei più fedeli, questa sera vogliamo “montare la guardia” al Suo corpo. Come lei stava, anche noi stiamo, ad imitazione delle sentinelle che stavano “spiando” l’aurora. 

Sul palcoscenico del mondo colpevole Gesù Crocifisso compie fino in fondo la missione affidataGli dal Padre. Le Sue sette parole sulla Croce sono come la sintesi estrema della Sua predicazione, ma soprattutto della Sua opera di redenzione in favore degli uomini.

Egli non ha considerato un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, anzi per salvarci si è annientato (cfr. Fil 2,6-7), non esitando ad attraversare tutte le plaghe dell’umana esperienza, vivendole in prima persona. Il Suo amore non ha arretrato di fronte all’ostilità più violenta: «allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano, dicendo: “Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?» (Mt 26,67); non si è sottratto allo scherno e all’insulto: «Non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi» (Is 50,6).

Ha provato l’indigenza più totale, emblema del nostro essere uomini, e ha gridato senza vergogna: «Ho sete» (Gv 19,28b).

Ogni giorno, implacabilmente, a nessuno di noi viene risparmiata la propria razione di dolore e di orrore. Neanche a Lui, mentre andava deciso verso il compiersi della Sua ora, è stata risparmiata l’angoscia più profonda, fino a toccare l’abisso della desolazione: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34; Mt 27,46). Dov’era allora il volto del Padre? Da quel giorno nessun uomo può dirsi solo nella sua angoscia mortale: Colui che poteva non essere abbandonato, né morire, ha voluto condividere fino in fondo l’orrore del peccato per farci diventare giusti. Noi, i cristiani, siamo i giusti che vivono di fede. 

E dal profondo del Suo abbandono si è consegnato totalmente al Padre – «Padre, nelle Tue mani consegno la mia vita» (Lc 23,46) – per offrirci la possibilità di consegnarci a nostra volta senza riserve. Per questa Sua estrema obbedienza, in forza di questo Suo sublime abbandono, il disegno di salvezza che prima della creazione del mondo il Padre aveva preparato per i Suoi figli si è compiuto: «consummatum est – Tutto è compiuto» (Gv 19,28). 

Sull’altare del Golgota si è consumato il suo sacrificio. Davvero lì tutto si è compiuto. 

Questa “consumazione” coinvolge tutta l’umanità, tutta la storia, tutto il cosmo. Il tutto ora vive del movimento impresso dall’evento finale del Golgota. Il consumatum est è il vero volto della Speranza Cristiana. Si può sperare, si deve sperare, per tutto e per tutti. 

Morte vera, morte feconda. Il Suo amore consegnato è capace di generare una nuova, indistruttibile parentela che dal Calvario arriva fino a noi, questa sera radunati in preghiera davanti a Lui: «Donna ecco tuo figlio (…) Ecco la tua madreEd il discepolo la prese in casa sua» (Gv 19,26-27).

Una parentela ben identificabile, incontrabile oggi nella famiglia della Chiesa, vera icona di Gesù Cristo, morto e risorto. Dai giorni della Sua passione, della Sua morte in croce e della Sua risurrezione, il desiderio di vedere il volto del Signore non sarà mai disatteso. Non lo sarà perché i giorni della Pasqua del Signore sono i giorni della misericordia infinita, dell’amore estremo. Fino al perdono, un dono in cui è stato inserito un moltiplicatore infinito: «Padre, perdonali, non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). 

«Tu mi guardi dalla croce»: non sottraiamoci, dunque, al Suo sguardo, ma imploriamoLo con la profonda ed umile consapevolezza del buon ladrone: «Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno» (Lc 23,42). Egli ci assicura che il nostro desiderio non andrà perduto, che nulla di noi andrà perduto: «Oggi sarai con me nel paradiso» (Lc 23,43). «Un solo moto di puro amore, e un’intera vita criminale è cancellata. Buon ladrone, santo operaio dell’ultima ora, inebbriaci di speranza». (Mauriac)

4. «Lo risvegli alfin l’amor»

Abbiamo ascoltato le sette parole di Gesù sulla Croce: «“Ho sete”; “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato”; “Padre nelle tue mani consegno il mio spirito”; “Tutto è compiuto”; “Donna, ecco tuo figlio”; “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”; “Oggi sarai con me in Paradiso”. Esse danno voce a ciò che lo sguardo del Crocifisso proclama a tutti. Eppure c’è un’ultima parola da ascoltare: il Suo silenzio. Dice il Vangelo: «E, chinato il capo, spirò» (Gv 19, 30). «Nostro Signore sulla croce ha pregato, ha anche gridato, pianto, rantolato, fatto scricchiolare i suoi denti, come i moribondi. Ma c’è qualcosa di più prezioso ancora: il minuto, il lungo minuto di silenzio, dopo il quale tutto fu consumato» (Bernanos).

Quale ragione più grande perché «dal sonno del peccato ci risvegli alfin l’Amor?» Questo infinito Amore con la A maiuscola.

La Passione, Morte e Risurrezione del Salvatore sono sacramento del Volto stesso di Dio. Questo Volto è il Volto divino-umano di Gesù Cristo, morto e risorto, che ora vive per sempre nella Trinità ed apre al compimento il desiderio di ogni uomo. Veramente chi vede Gesù vede il Padre (cfr Gv 14,9). Chi vede un cristiano, vede Gesù. 

Traendo vita dal Volto di Cristo noi cristiani partecipiamo della Vita stessa di Dio. In forza del nostro battesimo viviamo già, come caparra, la vita che sarà definitiva. Fin da quando eravamo bambini la Chiesa, nostra madre, ci ha insegnato a credere nella resurrezione della carne. Questo mistero per noi è inarrivabile. Inarrivabile, eppure profondamente corrispondente. Il Crocifisso risorto è l’estrema espressione della misericordia. Allora alla nostra libertà è offerta la speranza certa di poter durare, di risorgere. «Io risorgerò, questo mio corpo vedrà il Salvatore…» (cfr. Gb). In questa ragionevole fede possiamo ben dire che un destino glorioso è in atto per noi. 

5. «Madre buona, fa’ ch’io torni lacrimando al Salvator»

«Madre afflitta, tristi giorni/ho trascorso nell’error;/ Madre buona, fa’ ch’io torni/lacrimando, al Salvator!» Al nostro addolorato ritorno mirava il sussurro dell’Uomo della croce: «Dammi il cuor». E da secoli la Chiesa ci indica la strada semplice e sicura ove il dolore del peccato si fa redenzione, autentica liberazione: il sacramento della Riconciliazione. Riconoscendo con umiltà il nostro peccato di fronte al Crocifisso risorto ed invocandone personalmente il perdono davanti al Suo ministro, la nostra libertà tocca veramente il suo vertice. 

Abbiamo contemplato il Crocifisso. Ci siamo lasciati guardare da Lui, che ha rivolto a noi le Sue sette parole e il Suo silenzio. Immedesimiamoci ancora per un momento con la Vergine Maria. 

Cosa sarà passato dal cuore di Maria? Anche noi questa sera rifugiamoci nel suo Cuore immacolato – Lei è rifugio dei peccatori – e chiediamoLe di ottenerci un po’ del suo amore per il Figlio. 

Concedi, o Maria, al mio cuore di essere infiammato dall’amore per Gesù, mio Signore e mio Dio. Sì, per quanto riluttanti, vogliamo vedere Gesù. Siamo inquieti come gli uomini di ogni tempo e siamo fino in fondo uomini del nostro tempo. Spesso smemorati, non raramente perduti, talvolta angosciati. Confusi e sballottati come naufraghi nel mare, non di rado tempestoso, delle mille contrastanti opinioni, ma attraversati in ogni fibra dall’insopprimibile desiderio di incontrare la risposta vitale alla domanda delle domande: «Ed io che sono 

Se «questa sera Tu mi guardi dalla croce, mio Signore», se «la Tua voce mi sussurra: Dammi il cuor”», cosa è per me più ragionevole: resisterTi o abbandonarmi? 

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