Le parole che il card. Scola ha rivolto ai sacerdoti veneziani nell’omelia della Messa del Crisma sono un invito deciso alla testimonianza di Gesù Cristo salvatore: una testimonianza che è innanzitutto condivisione piena della vita del Popolo di Dio, soprattutto nei momenti di dolore e fatica. Qui è disponibile  il testo completo dell’omelia.

Qui si può ascoltare il saluto che il Patriarca ha rivolto ai sacerdoti presenti nella Cattedrale marciana.

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BASILICA PATRIARCALE DI SAN MARCO EV.

MESSA DEL CRISMA
Is 61, 1-3.6.8-9; Sal 88; Ap 1,5-8; Lc 4, 16-21

Eminenza,
Eccellenza,
Cari fratelli nel sacerdozio,
Religiose e religiosi,
Diaconi, accoliti e lettori,
Amatissimi figli e figlie,

1. L’odierna giornata, memoria dell’Istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio ministeriale, in forza del meraviglioso intreccio tra questa Messa crismale e la Messa in Coena Domini di questa sera svela tutto il genio del cattolicesimo. Vorrei con voi meditarlo un’altra volta partendo dall’Orazione di Colletta.
«Concedi a noi – partecipi della consacrazione del Figlio – di essere testimoni nel mondo della Sua opera di salvezza». La salvezza è dal peccato e dalla morte. La consacrazione del popolo sacerdotale e di noi suoi ministri ha quindi come scopo la testimonianza dell’evento di Gesù Cristo redentore, il «testimone fedele» (Ap 1, 5). Come Gesù anche noi siamo chiamati a vivere con tutti i nostri fratelli uomini la prova e il dolore. E come Gesù possiamo farlo solo mediante la condivisione. È quanto ci è chiesto anche in questi giorni dalla tragedia dell’Aquila.
La testimonianza di Gesù è un’azione trinitaria. Lo Spirito, nesso e frutto d’amore tra Padre e Figlio, per opera del quale il Verbo di Dio si fece carne; lo Spirito che unse Gesù come Messia inaugurando il ministero pubblico del Salvatore; lo Spirito che condusse Gesù lungo i sentieri di Galilea e di Giudea fino a Gerusalemme; in questa “ora pasquale” guida e sostiene il compimento definitivo della missione del Figlio, mantenendoLo, sulla croce, indissolubilmente unito al Padre ed accompagnando così il Suo passaggio dalla vita alla morte e dalla morte alla risurrezione. Con la Sua Pasqua Gesù si lega definitivamente con l’uomo e l’intera famiglia umana. Egli lo aveva predetto: «Vado e tornerò da voi» (Gv 15, 28).
Quale luce viene alla nostra missione di vescovi, presbiteri e diaconi dalla celebrazione pasquale dei due misteri centrali della nostra fede: Gesù Cristo come amore incarnato del Deus Trinitas?
Gesù, «mandato a portare il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione, e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore» (Is 61, 1-2), è il mandato, l’apostolo (Eb 3, 1) in senso pieno ed assoluto, l’inviato del Padre perché si compia il disegno di salvezza. Ogni momento della Sua vita è missione, perché la Sua persona coincide con la Sua missione. E la Pasqua è l’ora della piena manifestazione di questa singolare figura di Cristo, l’oggi del Vangelo. «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Lc 4, 21). Si compie definitivamente, cioè una volta per tutte e, perciò, per sempre, nell’ora della morte e risurrezione di Cristo.
I ministri ordinati sono chiamati a partecipare, con una speciale missione, alla testimonianza di quest’opera di salvezza compiuta da Gesù. È un dato oggettivo che sgorga dai racconti stessi dell’Istituzione eucaristica. Essi legano intrinsecamente il «Questo è il mio corpo» al «fate questo in mia memoria» (Lc 22, 19) e «Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo… in memoria di me» (1Cor 11, 25). È un comando per gli Apostoli, i loro successori e, quindi, per tutti i sacerdoti ordinati. Non deve sfuggirci che l’ultima cena, da cui scaturisce il senso ed il valore del nostro ministero, è, in un certo senso, il passo più decisivo di tutta la vicenda di Gesù. È l’anticipo degli eventi pasquali, che permette a noi oggi, dopo duemila anni, di parteciparvi in pienezza. Senza l’Eucaristia e senza l’Ordine il fossato temporale che ci separa da Gesù resterebbe invalicabile. In forza del Triduo Pasquale Egli invece ci è contemporaneo (cfr. Ecclesia de Eucharistia, 5).

2. Uno dei segni più commoventi della Visita Pastorale è certamente vedere le comunità cristiane all’opera nella missione e, nel contempo, rilevare in molti fedeli il desiderio di una ripresa più decisa di questa essenziale dimensione della vita cristiana. La missione, infatti, è nel DNA del cristiano: è connaturale all’essere cristiano.
La formula latina della benedizione dell’olio dei catecumeni lo afferma con particolare intensità. Lo scopo dell’unzione è sostenerli nell’assumere «magno animo labores vitae christianae». L’espressione latina magno animo esprime la grandezza di un cuore che tutto abbraccia: è il contrario della meschinità. E parlare di labores vitae christianae significa non censurare la drammaticità della’esistenza cristiana. Avendo ormai incontrato nelle nostre parrocchie migliaia di cristiani, posso testimoniare che non ci manca il dono della testimonianza di uomini e donne che vivono affrontando i labores della vita magno animo. Per questo siamo protesi, con umile parresia, a comunicare a tutti la fede, la speranza, la carità che fioriscono nelle nostre comunità, nelle case dei nostri fedeli, nel loro impegno in tutti gli ambiti dell’umana esistenza. Del popolo cristiano che vive in Venezia si può ben dire con il profeta Isaia: «Coloro che li vedranno riconosceranno che essi sono la stirpe benedetta dal Signore» (Prima Lettura) (cfr Is, 61, 9). Testimoniare, cioè essere missionari, non significa ovviamente dimostrare la nostra capacità o bravura, fosse anche straordinaria, vuol dire lasciar trasparire attraverso di noi, vasi di argilla, la misericordia di Dio: il fiorire dell’umanità di cui siamo testimoni, infatti, non è nostro merito, ma opera dello Spirito del Signore. Attraverso la nostra debolezza si manifesta la potenza di Dio. «Non a noi, Signore, non a noi ma al tuo nome dà gloria» (Sal 113 B). È Lui, infatti, come ci ha ricordato l’Apocalisse, il «testimone fedele» (Ap 1, 5). Per seguirLo con vigile solerzia abbiamo voluto improntare, fin dall’inizio, la Visita Pastorale alla logica cristiana della testimonianza. Dalla raccolta di “testimonianze” che preparò l’Assemblea Ecclesiale dell’aprile 2005 all’invito proposto, con la recente Lettera Pastorale, ad una Seconda Assemblea Ecclesiale, che si svolgerà l’11 ottobre prossimo a partire da libere testimonianze comunitarie.

3. Al servizio della missione della Chiesa, di cui partecipa ogni cristiano, è posta quindi la missione specifica propria del sacerdozio ordinato. Lo insegna il decreto Presbyterorum Ordinis del Concilio Vaticano II: «Nostro Signore Gesù, “che il Padre santificò e inviò nel mondo” (Gv 10,36), ha reso partecipe tutto il suo corpo mistico di quella unzione dello Spirito che egli ha ricevuto (…) Non vi è dunque nessun membro che non abbia parte nella missione di tutto il corpo (…) Ma lo stesso Signore, affinché i fedeli fossero uniti in un corpo solo, di cui però “non tutte le membra hanno la stessa funzione” (Rm 12,4), promosse alcuni di loro come ministri (…) Pertanto, dopo aver inviato gli apostoli come egli stesso era stato inviato dal Padre, Cristo per mezzo degli stessi apostoli rese partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i vescovi, la cui funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri questi sono dunque costituiti nell’ordine del presbiterato per essere cooperatori dell’ordine episcopale, per il retto assolvimento della missione apostolica affidata da Cristo» (PO 2).
L’approfondirsi progressivo della coscienza di questa fisionomia originaria del nostro ministero, che ogni anno nella Messa Crismale splende con oggettiva forza, ci converte permanentemente dalle riduzioni in cui le nostre fragilità talora lo costringono.
Tra poco, carissimi presbiteri, procederemo a rinnovare le promesse sacerdotali.
Dobbiamo, in un certo senso, lasciarci ferire dalle parole che pronunceremo. Farle nostre sine glossa.
«Volete unirvi intimamente al Signore Gesù… rinunciando a voi stessi, spinti dall’amore?» Qui la mano amorosa della Chiesa ci riprende dal rischio del narcisismo che è il carattere dominante di noi uomini post-moderni e che spinge anche noi chierici al carrierismo, dal rischio dell’individualismo che si attende il compimento dall’autorealizzazione anziché dall’obbedienza al misterioso disegno di Dio su di noi, perfino dal rischio della dedizione generosa ma priva della testimonianza esplicita della fede, che non dà gloria all’umanità di Cristo ma a noi stessi.
«Volete essere fedeli dispensatori dei misteri… di salvezza lasciandovi guidare non da interessi umani ma dall’amore per i vostri fratelli?» Come non sentire che in questo modo la Chiesa ci urge a vivere la bellezza del nostro celibato, secondo tutte le implicazioni cristologiche, ecclesiologiche, escatologiche che Paolo VI ha evidenziato nella Sacerdotalis coelibatus. Non è forse quella celibataria una modalità piena per vivere l’amore integrale che nulla esclude ma che al contrario “ordina” progressivamente, in modo specifico per ogni stato di vita, la nostra persona portandola al compimento? Come non vedere l’oggettiva bellezza di questo dono dopo 5, 10, 20, 50 e più anni di vita sacerdotale? Guardiamo a quanti uomini realizzati ci sono tra i nostri presbiteri anziani o tra quanti ci hanno lasciato anche solo negli ultimi tempi. Senza farne degli eroi e senza nasconderne i limiti, quale dignità, quale riuscita umanità!
Il gesto del rinnovamento delle promesse sacerdotali significa, anzitutto ai nostri occhi e poi a quelli di tutto il popolo che ci è affidato, la consegna quotidiana di tutta la nostra esistenza al Signore. Noi tutti sappiamo, per esperienza, che si tratta di una vera e propria, continua offerta della nostra vita. Lo vedo nel vostro zelo che la Visita pastorale mi documenta. Non si può partecipare veramente alla missione sacerdotale di Cristo senza pagare di persona. Questa offerta, che può a volte assumere il volto esplicito del sacrificio che giunge fino all’incomprensione e all’umiliazione, magari causate dagli stessi superiori, si realizza anzitutto vivendo in prima persona e fino in fondo le circostanze in cui concretamente si configura la nostra missione, così come la Provvidenza le dispone. «Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio» (1Cor 3, 22).
Benedetto XVI, nell’incontro con i parroci e i sacerdoti della diocesi di Roma lo scorso 26 febbraio 2009, diceva in proposito parlando a braccio: «Il primo aiuto è la nostra esperienza personale. Non viviamo sulla luna. Sono un uomo di questo tempo se io vivo sinceramente la mia fede nella cultura di oggi, essendo uno che vive con i mass media di oggi, con i dialoghi, con le realtà dell’economia, con tutto, se io stesso prendo sul serio la mia esperienza e cerco di personalizzare in me questa realtà (…) Se sei sincero con te e cominci a vedere con te che cosa è la fede, con la tua esperienza umana in questo tempo (…) anche agli altri puoi dire quanto si deve dire. E in questo mi sembra importante essere attenti realmente al mondo di oggi, ma anche essere attenti al Signore in me stesso: essere un uomo di questo tempo e nello stesso tempo un credente di Cristo». La felice idea di Benedetto XVI di indire uno speciale Anno Sacerdotale che porta come titolo “Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote” troverà nel nostro Patriarcato generosa attuazione. Suggerimenti e forme, che dovranno far leva sulla nostra vita ordinaria, saranno studiati da un’apposita Commissione.

4. Missione e perciò testimonianza: ecco il significato dell’unzione messianica di Gesù, del cristiano e di noi ministri ordinati, cui la benedizione degli oli ci richiama con forza.
Carissimi fratelli, attraversiamo oggi il portico del Triduo Pasquale. Entriamoci con atteggiamento di intensa adorazione. Come sappiamo, la tradizione del primo millennio visse la celebrazione eucaristica come il grande gesto di adorazione della comunità cristiana. La Santa Messa in Coena Domini, mistero dell’offerta incondizionata di Gesù, aprendo in nostro favore il corpo delle Scritture ci permetterà di gustare il corpo sacramentale di Gesù per farci accedere al vero corpo del Risorto. Ma, come diceva Agostino, «… nessuno mangi questa carne senza prima averla adorata, se lo facessimo peccheremmo» (Enarr in Psalmos, 98,9: CCr 39, 1385).
Per questo non solo prolungheremo, dopo la Messa in Coena Domini, l’Adorazione al Santissimo Sacramento ma assumiamo qui, insieme, il solenne impegno a promuovere più intensamente la pratica dell’Adorazione eucaristica in tutte le nostre comunità. Sarei in particolare grato ai parroci della città lagunare se volessero contribuire a potenziare l’Adorazione eucaristica nella nostra Basilica Cattedrale.
Alla Santissima Vergine, cui affideremo fra pochi giorni a “Notre Dame de Laus” la Visita Pastorale, e al Santo Curato d’Ars, che il Papa si accinge a proclamare come patrono non solo dei parroci ma di tutti i sacerdoti, consegniamo lieti la nostra persona ed il nostro ministero. Amen