Viene proposto qui di seguito una parte dell’intervista al cardinale Angelo Scola curata da Alessandro Barbano, vicedirettore del quotidiano Il Messaggero, in uscita con il libro “Dove andremo a finire” (Einaudi – Stile libero). Laureato in giurisprudenza e docente di giornalismo all’Università La Sapienza di Roma, Barbano ha realizzato otto dialoghi con altrettanti intellettuali italiani: Giuliano Amato, Simona Argentieri, Nicola Cabibbo, Giuseppe De Rita, Umberto Eco, Sergio Romano, Angelo Scola, Umberto Veronesi. Un modo per scoprire l’Italia del prossimo futuro nei diversi campi, dalla medicina alla religione, dalla cultura alla politica, alla sociologia alla letteratura. Una specie di atlante dialogato dei tempi che corrono e della probabile “destinazione”.

Incontro con i ragazzi della scuola Giovanni Paolo I

Cardinale Angelo Scola, chi c’è in una domenica qualunque del 2020 in una chiesa qualunque del Vecchio continente? Un pieno di fedeli di ogni nazionalità ma per la maggior parte italiani o uno sparuto gruppo di filippini e, al piú, qualche giovane africano? L’Europa tornerà a puntare sul cristianesimo dopo averlo in parte rinnegato? Oppure nelle grandi città del Continente una festa come il Natale farà meno notizia dal punto di vista religioso del Ramadan?

«Di fronte all’ampiezza di orizzonti che questa domanda apre, confesso di essere un po’ a disagio. Anzitutto perché è difficile interrogarsi sulla secolarizzazione che attraversa l’Europa e non tenere conto che essa è un fenomeno estremamente differenziato, a seconda che lo si guardi dall’Italia o piuttosto dalla Germania, dal Belgio o dalla Francia. Probabilmente una risposta univoca non c’è. Mentre è forte il rischio di giudicare secondo pregiudizi. Prendiamo il caso di Venezia, una città che ha sempre avuto un forte radicamento cristiano ma anche un forte complesso antiromano. Cinque anni fa, prima di cominciare il ciclo di visite pastorali nelle parrocchie della diocesi, abbiamo eseguito una verifica quantitativa sulla presenza domenicale dei fedeli a messa. Con nostra sorpresa abbiamo constatato che essa era del 19,9 per cento, risultato migliore del 19,6 per cento registrato nel lontano 1985. Chiunque avrebbe scommesso su una caduta della frequenza, ma i dati dimostravano il contrario. Certo, l’autenticità della fede non è misurabile con un censimento quantitativo. Tuttavia credo che talvolta nella previsione del futuro siamo condizionati da tendenze che vivono piú nella comunicazione che nella realtà. E la realtà ci dice che molte cose sono in gioco».

Ma è la Chiesa che deve adeguarsi al mondo, o è il mondo che deve adeguarsi alla Chiesa?

«Se per adeguamento al mondo s’intende dire che noi siamo figli di un Dio incarnato e che quindi la storia e la realtà sono un potente e continuo appello che la Provvidenza fa a noi cristiani affinché ci giochiamo fino in fondo le nostre occasioni di salvezza, allora certamente la Chiesa può aprirsi e deve aprirsi al mondo secondo quel criterio dell’aggiornamento sancito dal Concilio Vaticano II. Ciò non vuol dire però inseguire spasmodicamente l’inedito, perché il senso piú autentico di quest’aggiornamento sta nella capacità di inserire il nuovo sull’antico».

Entriamo invece nello smarrimento dell’uomo contemporaneo. Un giorno qualunque del 2020, in un’aula di un qualunque liceo dell’Occidente un ragazzo e una ragazza, che fino a quel momento non hanno mai avuto alcun approccio se non quello tra due conoscenti, si dànno appuntamento via sms per un incontro sessuale nei bagni della scuola. Accade. C’è da ritenere che accadrà più spesso. È possibile leggere nei tratti di un erotismo apertamente rivendicato e vissuto anche nell’adolescenza in forme sempre più consumistiche il volto di un futuro senza pudore?

«L’amore è uno. Uno in tutte le sue forme, compreso l’amore ridotto a Venere, per usare un’espressione cara a Clive Staples Lewis, il quale definisce così la mera sessualità e la distingue dalla capacità di innamorarsi, che chiama Eros. Il concetto di Venere identifica bene l’incontro sessuale tra due conoscenti come quello qui citato. Ma l’amore resta amore, in quanto opposizione e controfaccia a un comportamento che rischia di diventare quasi animalesco e che è, tuttavia, un’espressione assolutamente distorta di una domanda di verità».

Perché distorta?

«Perché a questi ragazzi noi non siamo più in grado di comunicare l’esperienza del desiderio e della castità, la quale vuol dire letteralmente tenere in ordine. Nessuno di noi può tenere in ordine l’io se non stabilendo una gerarchia di valori. L’essere situati nella differenza sessuale è un valore bellissimo, capace di aprirci con naturalezza all’altro, al rapporto uomo-donna che può essere la genesi e il fondamento dell’amore. Amore che a sua volta in un organismo vivente tende a sfociare nella vita, perché è per sua natura diffusivo e fecondo. Se noi non comunichiamo ai ragazzi questo sinallagma tra Eros e Venere, se noi disaggreghiamo le loro esperienze elementari, li condanniamo a una frattura tra la dimensione emotiva e quella del pensiero. La morte del pudore ne è il sintomo piú drammatico».