La celebrazione di conferimento del mandato a catechisti ed educatori di sabato 26 settembre nella Basilica di San Marco è stata caratterizzata da una liturgia di affidamento a Maria. “Cosa significa atto di affidamento? Significa consegnare alla cura, alla custodia di una persona – Maria – che ne è veramente capace qualcosa di molto prezioso, che ci sta a cuore. Nel nostro caso il mandato ma, per finire, la nostra stessa vita” ha dichiarato il card. Scola durante l’omelia.
È disponibile il video dell’omelia del Patriarca.
Qui è disponibile il testo dell’intervento del card. Angelo Scola
Letture: Gv 19,25-27; Lc 2,25-35; Gv 21, 20-22; Gv 17, 13-23.
1. Carissimi,
giunti da ogni parte della nostra Diocesi nella Basilica Cattedrale – la casa della comunione di tutti i fratelli in Cristo intorno al fratello e padre Vescovo – per ricevere, anche quest’anno, il mandato (la missione) di evangelizzatori e di catechisti (educatori), ricevete il mio personale abbraccio di accogliente saluto.
I responsabili di questo decisivo settore dell’azione ecclesiale del Patriarcato, sotto la guida del Vicario episcopale Monsignor Valter Perini, quest’anno hanno significativamente scelto di inserire il mandato in una speciale azione liturgica di affidamento a Maria. Personalmente ne sono commosso e lieto. Da molti anni infatti – come ripeto sempre ai giovani che si preparano al matrimonio e alla consacrazione verginale – sono convinto che il quotidiano atto di affidamento alla Vergine Santissima sia un potentissimo ausilio ed una sicura compagnia nel pellegrinare terreno di ogni cristiano.
Cosa significa atto di affidamento? Significa consegnare alla cura, alla custodia di una persona – Maria – che ne è veramente capace qualcosa di molto prezioso, che ci sta a cuore. Nel nostro caso il mandato ma, per finire, la nostra stessa vita. Bisogna avere, pertanto, in questa persona, una solida fiducia.
Allora riflettiamo un poco, con l’aiuto degli incisivi passaggi biblici proclamati, cosa significa affidare a Maria la missione (il mandato) di evangelizzatori e di catechisti.
La Lectio che abbiamo avuto modo di compiere con l’ausilio del prezioso sussidio preparato dal Cardinal Marco, risponde al personale desiderio – perché questo desiderio, poco o tanto, è in tutti noi, se siamo qui – di un affidamento semplice e totale, mettendoci di fronte alla scena imponente, dolorosa, tenera e feconda che si svolse sul Gòlgota: «Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse al discepolo: “Ecco tua madre!”. E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19, 26-27).
Sotto la Croce nasce una fecondità nuova (non dimentichiamo che fedeltà e fecondità sono costitutivi dell’amore oggettivo), sorge una capacità generativa addirittura più radicale di quella della carne e del sangue. Con il mandato che oggi il Signore Gesù, attraverso la Chiesa, vi affida, voi siete chiamati a prendervi parte. Niente di meno di questo.
Amici, ma noi, lo dico pensando a me, quanto siamo lontani da questo livello di comunione, di affidamento? (Assumiamo con solerte decisione, ma nel rispetto dei tempi di ogni parrocchia, le indicazioni contenuta nella Nota pastorale sulla comunità educante)
2. Perché siamo ancora così distanti da questa “nuova parentela”? Ci manca l’esperienza richiamata da Luca: «Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui» (Lc 2,33). Lo stupore, pieno di devozione, per il mistero di quel Figlio a loro affidato, genera il senso di sproporzione di fronte alla grandezza del compito assegnato. Maria e Giuseppe sono così introdotti a quella posizione che costituirà l’intima forza della loro famiglia: la passione per il disegno di Dio sull’altro, cioè per la sua verità. Come si può educare senza questa attitudine? È l’unico modo per far crescere la libertà. E senza libertà non c’è esperienza educativa. Ma la libertà domanda uno sguardo di amore sull’educando: «[Gesù] fissatolo lo amò» (Mc 10,21). Questo è possibile solo se io percepisco su di me un simile sguardo, se accetto di seguire, nel quotidiano, il disegno d’amore che il Padre celeste ha su di me (Terza finalità della Visita Pastorale: educazione al gratuito. Vi invito a riprendere, alla lettera, la riflessione della Scuola di metodo in proposito: Come nasce e come vive la comunità).
3. Tuttavia, in ogni relazione noi siamo continuamente tentati di confondere l’affermare l’altro con l’afferrare l’altro, riducendolo alla nostra misura. Di qui la strana, ma salutare necessità del sacrificio – «Egli è qui come segno di contraddizione affinché siano svelati i pensieri di molti cuori… e anche a te una spada trafiggerà l’anima» (Lc 2,35): fin dall’inizio Maria viene fatta entrare in quella realtà più grande che è il destino del Figlio, ma questo comporta per Lei di essere attirata, al compiersi della Sua ora, nel Suo stesso sacrificio. Senza questa testimonianza resa alla Verità ogni compito, ogni missione, ma alla fine la vita stessa, non ha senso. (Rendere testimonianza alla verità implica la seconda finalità della Visita Pastorale: educazione al pensiero di Cristo). Ebbene, noi siamo gli eredi di colui che la Lettera agli Ebrei definisce seccamente come «il mandato» (apostolos, Ebr 3,1). E questa testimonianza che è contemporaneamente sale, lievito e luce è personale e comunitaria. Per il bene degli uomini chiede di essere resa in ogni ambiente dell’umana esistenza (Quarta finalità della Visita Pastorale). Come fece Gesù: «Sono venuto a dare testimonianza alla verità» (cfr Gv 14,6). Il Testimone degno di fede ci dice oggi: «Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro» (Gv 17,18). Il mandato che oggi riceviamo affonda qui le proprie radici o rischia una deludente sterilità.
4. «Perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17,21-23).
Il come che scandisce la grande preghiera sacerdotale di Gesù al Padre non stabilisce (un’analogia estrinseca) la conformazione ad una sorta di modello a cui ispirarsi, ma un’affinità profonda, una partecipazione alla comunione (perfetti nell’unità) che vive in seno alla Trinità. Ritorna la natura di quella nuova parentela inaugurata dal sacrificio del nostro Redentore che affidandosi a Maria oggi siamo qui a domandare.
«Gesù conclude la sua preghiera al Padre nella prospettiva di entrare nella sua gloria, ma di non abbandonare i suoi, bensì di prenderli con sé in questa gloria. Essi devono poterlo seguire nel suo passaggio a Dio, poiché Gesù ha portato loro la notizia dell’amore di Dio, ed essi l’hanno accolta. Così già sulla terra sono introdotti nell’amore trinitario, e la volontà di Gesù che essi lo seguano corrisponde a quella del Padre che appunto ha mandato il Figlio nel mondo per questo scopo» (H. U. von Balthasar) (Prima finalità della Visita Pastorale: il senso della liturgia, della preghiera, dell’ascolto della Parola di Dio).
5. «Tu seguimi» (Gv 21, 22). “Che ti importa di quello che sarà dell’altro? Pensa a te. Giòcati tu!” E Pietro lo seguì fino al martirio.
Amici, il Patriarca non vi assegna un mandato di sola competenza, ma di integrale testimonianza. Qui, ora, noi tutti, a cominciare da me, dobbiamo cambiare. La nostra missione non può non coincidere con l’ardente desiderio di santità. Questo domanda in noi un permanente atteggiamento di confessione, che si esprimerà con l’accostarsi regolare al sacramento della Riconciliazione. In quest’anno sacerdotale in cui mi aspetto che si esprima in tutto il popolo cristiano gratitudine e sollecitudine per i nostri cari sacerdoti – che vi affido così come noi ci affidiamo ora a Maria – si staglia la figura del Santo curato d’Ars. La sua santità brilla proprio attraverso l’offerta totale di sé in confessionale (fino a 17-18 ore al giorno, l’ultimo anno della sua vita si stimano circa 80.000 penitenti). Confessarsi infatti è l’acme della libertà: è costruzione di un rapporto vitale con Gesù. Nella confessione, cui segue l’Eucaristia, Gesù cessa di essere un’idea, una vaga intenzione, per diventare una presenza amante. Affidarsi a Maria conduce, come si vede bene nei santi, che si confessarono con grande regolarità, a questo alto grado di libertà.
Evangelizzatori, catechisti, membra vive di comunità educanti ben espresse, sono il dono che la Chiesa di Venezia fa ai bambini, ai fanciulli, ai ragazzi, ai giovani, agli adulti, in una parola agli uomini e alle donne di questa terra che tanto ci sta a cuore.
La preghiera di affidamento a Maria che fra poco reciteremo insieme sarà garanzia che il mandato che stiamo per ricevere sarà per il bene nostro, di tutta la nostra Chiesa, di tutti i nostri fratelli uomini. Amen