Pubblichiamo una riflessione dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, preparata in occasione della seconda domenica d’Avvento.
Le letture di questa II Domenica di Avvento ci mettono davanti al fatto che ogni uomo è chiamato a partecipare al Regno, alla comunione filiale con Dio Padre (I figli del Regno). Anzitutto è chiamato il popolo che Dio si è scelto e al quale rimane fedele anche nella prova dell’esilio: un popolo provocato a non arroccarsi nella falsa sicurezza della propria elezione, ma spinto a continua conversione. Nell’inarrestabile disegno della misericordia di Dio la chiusura del popolo di Israele si trasforma in occasione perché il Vangelo sia annunciato a tutti i popoli della terra.
Afferma San Paolo: «Questo dunque è il mio vanto in Gesù Cristo nelle cose che riguardano Dio. Non oserei infatti dire nulla se non di quello che Cristo ha operato per mezzo mio» (Rm 15,17-18a). Nel Vangelo di Matteo il Battista aveva già dichiarato: «Colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali» (Mt 3,11). Giovanni Battista e San Paolo proclamano e testimoniano la precedenza di Gesù da cui nasce la loro preferenza per Lui. È questa la condizione per annunciare il Regno, cioè la persona stessa di Gesù Cristo, a tutte le genti.
Giovanni anticipa in sé e nella sua opera la persona e l’opera di Gesù: in entrambi c’è lo stesso forte richiamo alla conversione («Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino», Mt 3,2: le parole di Giovanni sono le stesse di Gesù in Mt 4,17); entrambi, fedeli a questo compito, entrano in conflitto con il potere sia religioso che politico («Razza di vipere …», Mt 3,7b; le parole con cui il Battista apostrofa farisei e sadducei sono le stesse che userà Gesù in Mt 12,34 e 22,33). Per questo vengono messi a morte. Possiamo allora riconoscere che accogliere Giovanni significa accogliere colui che porta Gesù.
«Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: “Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore”» (Vangelo, Mt 3,3). Le parole del Vangelo indicano che la figura del testimone non è comprensibile al di fuori del rapporto con colui che lo rende tale. Si capisce Giovanni Battista solo alla luce di Gesù. Il Santo Padre ha detto: «Il senso della vita di Giovanni è indicare un altro. … La figura di Giovanni a me fa pensare tanto alla Chiesa: la Chiesa esiste per essere voce del suo sposo, che è la Parola» (Omelia in S. Marta, 24 giugno 2013).
Tra la figura e l’opera di Giovanni Battista e quella di Gesù c’è però anche discontinuità. Gesù introduce una radicale novità. Dice il Vangelo: «Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me… vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Mt 3,11).
Dal battesimo di Gesù scaturisce lo stile di vita del cristiano.