CORRIERE DELLA SERA – Viene proposto qui di seguito l’articolo di Aldo Cazzullo pubblicato il 25 agosto dal Corriere della sera in occasione dell’uscita del nuovo libro del Patriarca edito da Mondadori, Buone ragioni per la vita comune. Religione, politica, economia (pp. 120, Euro 17,50). (per ulteriori info sulla nuova pubblicazione si rimanda al post precedente).
Né religione civile né nuda Croce: annuncio integrale di Cristo.
Il cardinale Angelo Scola è andato costruendo in questi anni un proprio sistema di pensiero, dalle fondamenta ben piantate nei papati di Wojtyla e di Ratzinger, ma con forti elementi di autonomia. E il suo nuovo saggio, che Mondadori ha mandato ieri in libreria, arricchisce le riflessioni del patriarca di Venezia e le apre sulle prospettive del nuovo millennio. Il libro di Scola – Buone ragioni per la vita comune. Religione, politica, economia (pp. 120, Euro 17,50) – nasce dal desiderio di documentare come l’ unità di un popolo (e di una nazione) possa essere fattore di progresso rispetto a tutte le articolazioni che lo compongono, se si ritrovano ragioni buone per la vita comune, da cui scaturiscono pratiche virtuose comuni. Di queste buone ragioni e pratiche virtuose, che nascono da un confronto a 360 gradi con tutta la complessità della realtà, la società contemporanea – plurale e spesso conflittuale – non nasconde un grande bisogno. Dal saggio emerge un’ idea-guida: oggi siamo all’ inizio di un tempo nuovo.
All’ uomo del terzo millennio è data, forse per la prima volta, la possibilità di scegliere chi vuole essere: se il suo proprio esperimento, come ha sostenuto il filosofo della scienza Jongen, oppure l’ «uomo-in-relazione», che vive di buone relazioni nella società, che ama ed è amato. È una sorta di nuova scommessa pascaliana, nella quale si gioca il futuro dell’ umanità. Cosa comporterà il percorso dell’ uomo che opta per essere il suo proprio esperimento, abbandonandosi ciecamente ai frutti delle straordinarie scoperte tecno-scientifiche? E quali invece saranno le implicazioni per l’ uomo che investe sulla sua natura di «essere-in-relazione»? Il sottotitolo del volume, che si può intendere come un passo ulteriore dell’ itinerario avviato da Scola con il saggio del 2007 Una nuova laicità (Marsilio), indica gli ambiti di lavoro che sono attraversati dalla riflessione del patriarca: religione, economica, politica. L’ orizzonte ampio sul quale Scola si affaccia scaturisce dalla sua convinzione che vivere la vita di fede pienamente e autenticamente si traduce in un interesse per la realtà nella sua integralità, in tutte le sue componenti. È quella che il patriarca chiama la inevitabilità dell’ interpretazione culturale della fede: ogni fede è sempre soggetta ad un’ interpretazione culturale pubblica; da una parte perché, come scrisse Giovanni Paolo II, «una fede che non diventi cultura sarebbe non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta»; dall’ altra, essendo la fede – quella giudaica e quella cristiana – frutto di un Dio che si è compromesso con la storia, ha inevitabilmente a che fare con la concretezza della vita e della morte, dell’ amore e del dolore, del lavoro e del riposo, dell’ azione civica. In questa fase di post-modernità, si confrontano nella società italiana due interpretazioni culturali del cristianesimo. La prima è quella che tratta il cristianesimo come una religione civile, come mero cemento etico, capace di fungere da collante sociale per la nostra democrazia. Ma, se una simile posizione è plausibile in chi non crede, a chi crede deve essere evidente la sua strutturale insufficienza. L’ altra, più sottile, è quella che tende a ridurre il cristianesimo all’ annuncio della pura e nuda Croce per la salvezza di «ogni altro». Occuparsi, per esempio, di bioetica o biopolitica distoglierebbe dall’ autentico messaggio di misericordia di Cristo. Come se questo messaggio fosse in sé astorico e non possedesse implicazioni antropologiche, sociali e cosmologiche. Ma un simile atteggiamento produce una dispersione dei cristiani nella società e finisce per nascondere la rilevanza umana della fede in quanto tale; al punto che, di fronte ai drammi anche pubblici della vita, si giunge a domandare un silenzio che rischia di svuotare il senso dell’ appartenenza a Cristo e alla Chiesa agli occhi degli altri. Nessuna di queste due interpretazioni culturali, dal punto di vista di Scola, riesce ad esprimere in maniera adeguata la vera natura del cristianesimo e della sua azione nella società civile: la prima perché lo riduce alla sua dimensione secolare, separandolo dalla «forza sorgiva del soggetto cristiano», dono dell’ incontro con l’ avvenimento personale di Gesù Cristo nella Chiesa; la seconda perché priva la fede del suo spessore carnale. Per il patriarca è più rispettosa della natura dell’ uomo e del suo «essere-in-relazione» un’ altra interpretazione culturale, che corre lungo il crinale che separa la religione civile dalla cripto-diaspora e propone l’ avvenimento di Gesù Cristo in tutta la sua interezza, annunciando tutti i misteri della fede e tutti gli aspetti e le implicazioni che da tali misteri sorgono. Il ruolo centrale è giocato dallo stile della testimonianza, che si contrappone a quello della militanza o dell’ egemonia: testimonianza intesa come metodo di conoscenza e di comunicazione. Da questo sguardo, da questa curiosità e passione, niente di ciò che fa parte della vita quotidiana degli uomini e donne di oggi, come anche la politica e l’ economia, può restare fuori: così si costruisce quella che il patriarca chiama «amicizia civile». E alla fine del ragionamento di Scola accusare la Chiesa di «ingerenza» nella vita pubblica diventa davvero difficile anche per il più sottile dei logici.