Giovedì 5 settembre nella Chiesa di S. Giorgio martire a Imberido il Cardinal Scola ha concelebrato la Santa Messa con i sacerdoti da lui ordinati nel 2017.

Le letture della Messa: 1Gv 2,12-17; dal Sal 35 (36); Lc 16, 16-18.

Dopo aver ringraziato i giovani sacerdoti per la loro disponibilità a raggiungerlo a casa sua per “questa celebrazione liturgica che è l’opera più grande che noi possiamo compiere nella nostra vita” il Cardinale si è soffermato sul versetto della Prima Lettera di S. Giovanni: «Ho scritto a voi, figlioli, perché avete conosciuto il Padre (1Gv 2,14). Conoscere, nella Bibbia, dice un’esperienza di comunione profonda e totalizzante.

“Gesù – ha detto Scola – è venuto proprio per renderci partecipi di questa sua relazione costitutiva con il Padre. Egli ci offre così la possibilità di vivere pienamente e nella verità la relazione con noi stessi, con Dio e con gli altri. Perciò di essere, a nostra volta, padri.

Si fa infatti un gran parlare della necessità di essere padri anche per noi sacerdoti, che siamo chiamati alla verginità; ma è molto difficile capire che cosa significhi questa “paternità spirituale” e quali siano i modi e le forme per praticarla. Lo è ancora per me, dopo 50 anni di sacerdozio, ma forse lo è anche per voi che siete chiamati a viverla ora con i bambini e gli adolescenti, certo. Ma anche con giovani della vostra stessa età e con adulti”.

“Chi non ha padre è orfano. Forse scavando un pochino nella condizione dell’essere orfani riusciremo a capire meglio il significato della paternità. Un orfano è senza radici, senza una compagnia autorevole che lo guidi verso il proprio destino. Come una barca sballottata dalle onde, la sua vita è inesorabilmente segnata da scompensi, da un potenziale squilibrio”.

La nostra civiltà occidentale – ha aggiunto il Cardinale – per i sociologi, gli psicologi e un sempre maggiore numero di filosofi sarebbe in una situazione di decadenza, non solo di crisi o di travaglio. Una prova? Per dirlo con la finissima ironia del cardinal Biffi: ‘Mentre ai miei tempi la famiglia era composta dal papà, dalla mamma e da più bambini oggi, sempre più spesso, è fatta da un solo bambino con più mamme e papà’.

È un dato che anche voi toccate con mano. Se una società senza padri è una società di orfani, che vive tutti gli scompensi di questa condizione, il vostro ministero è chiamato a poggiare sull’esperienza/compito della paternità”.

Il Cardinale ha rivolto poi ai giovani preti un invito accorato. Ha chiesto loro di prendersi il tempo per esaminare, personalmente e insieme, in dialogo tra loro, il loro modo di essere padri (accompagnare al destino). “Domandatevi come vivete il rapporto con chi vi è affidato. Se, almeno tendenzialmente, vivete la vera paternità segnata da un accompagnamento verso il destino pieno della vita, Gesù, oggi vivo e presente in mezzo a noi per la potenza dello Spirito Santo e dell’Eucaristia, o se vi accontentate di altro”. Uno, per esempio, può essere tentato di paragonarsi con i giovani, facendo soprattutto leva sulle sue capacità naturali, facendo più l’‘amicone’ che il padre. “D’altra parte essere padre non vuol dire assumere atteggiamenti autoritari, ma accompagnare l’altro nella scoperta della verità della propria persona e della bellezza del destino. Che il sacerdote sia un padre – insiste il Cardinale – è decisivo, ma è una cosa da imparare. E, come per tutte le cose che contano nella vita, non dipende da uno studio, né si riduce a un discorso. Quella che è in gioco è l’esperienza. Non mi stanco di ripeterlo: per essere padri occorre essere figli. Tale esperienza di figliolanza poggia su due perni: anzitutto sull’essere figli del Padre attraverso la relazione con Gesù, come con Uno con cui si ha totale confidenza, di fronte al quale si può mettere tutto di noi”. E qui Scola cita il Papa emerito Benedetto XVI. Egli ancora recentemente ha ribadito che una società che non dà spazio a Dio (e Gesù è venuto per farceLo conoscere) perde sempre più il criterio e la misura dell’umano.

“Se il primo perno su cui si fonda la paternità, quindi, è il rapporto con Gesù, il secondo è la comunione tra voi, l’esperienza cioè di una compagnia guidata, ma anche di un rapporto di autorevolezza tra voi. Penso all’importanza di occasioni come questa che nascono dall’essere stati compagni di classe. Col passare del tempo rischieranno di essere travolte dalla valanga di impegni a cui dovrete far fronte. Allora dovrete vigilare per non sottrarre né a voi stessi, né ai vostri amici la possibilità oltre che di cambiare e di evolvere anche di aver accesso a una delle sorgenti di questa figliolanza”.

Al termine della Messa, prima della Benedizione, il Cardinale aggiunge ancora qualche parola. Riferendosi ad un versetto del Vangelo di Luca ascoltato oggi – «La Legge e i Profeti fino a Giovanni: da allora in poi viene annunciato il regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi» (Lc 16,16) – osserva: “Il Regno di Dio è la condizione definitiva in cui l’umanità sarà alla fine dei tempi. Quello tra la Chiesa e il Regno di Dio è un rapporto tra il già e il non ancora. Il valore del nostro celibato (l’imitazione sine glossa della forma con cui Gesù viveva ogni rapporto) brilla in questo nesso con il Regno di Dio. Solo in questo stesso nesso è possibile cogliere anche il senso profondo del Mistero Nuziale, come si vede in Lc 16,18. Una volta, mentre passeggiavamo intorno a casa sua a Basilea, Balthasar mi disse che solo nell’indissolubilità (quando raggiunge il per sempre) il matrimonio si rivela compiutamente come vocazione.

Dopo la Messa il Cardinale ha pranzato con i giovani sacerdoti, godendo della loro compagnia.

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