AVVENTO – Viene pubblicato qui di seguito il testo della meditazione del Patriarca pronciata giovedì 2 dicembre in occasione del ritiro spirituale d’inizio Avvento per tutti i sacerdoti, i diaconi ed i religiosi della diocesi che si è tenuto nelle Chiesa dei Padri Capuccini a Mestre:

1. La cornice dell’Avvento 

a. Cenni storici

L’Avvento, come tempo di preparazione alla Solennità del Natale, appare per la prima volta alla fine del secolo IV in Spagna e in Gallia. Dura tre settimane e precede la festa dell’Epifania, il giorno in cui, secondo il costume orientale, si amministrava il Battesimo. Dal secolo V, l’Avvento si conforma al modello della Quaresima assumendo espressamente il carattere penitenziale.

A Roma, l’Avvento compare nella seconda metà del secolo VI e dai tempi di papa Gregorio Magno (+ 604) dura quattro settimane. Esso costituisce una preparazione liturgica dei fedeli alla venuta del Signore pur senza particolari pratiche ascetiche e penitenziali. Nei secoli seguenti, la liturgia romana viene introdotta in Gallia e qui si delinea la forma dell’Avvento: liturgicamente romano ma asceticamente gallico. Circa l’anno 1000, la nuova forma dell’Avvento giunge a Roma e da qui si diffonde in tutta la Chiesa. Fino ad oggi, l’Avvento ha conservato quel carattere penitenziale di origine gallica: nella liturgia si usa il colore violaceo, nella Messa non figura il Gloria, sono ridotti l’addobbo e la musica nella chiesa. 

b. Gli avvenimenti

Il tempo di Avvento dura quattro settimane, l’ultima delle quali, quella delle ferie maggiori di Avvento, prepara i fedeli direttamente alla solennità del Natale.

Le letture del Vangelo di quei giorni compongono il quadro degli avvenimenti precedenti la nascita di Gesù. La genealogia di Cristo (17-12) indica quanto il Salvatore fu legato al suo popolo e alla storia umana. L’accettazione di Giuseppe, il giusto, anticipa la forma piena dell’amore paterno (18-12) L’angelo Gabriele preannunzia la nascita di Giovanni il Battista (19-12) e poi viene mandato a Nazareth per comunicare alla Vergine lo straordinario evento (20-12). Maria si reca da Elisabetta (21-12) e canta l’inno di gratitudine: «L’anima mia magnifica il Signore» (Lc 1,46) (22-12). Celebriamo la nascita di Giovanni il Battista (23-12) e insieme con Zaccaria glorifichiamo Dio, perché «ha visitato e redento il suo popolo» (Lc 1,68), ha dato il bambino che andrà «innanzi al Signore a preparargli le strade» (Lc 1,76) (24-12).

Nei Vespri, preghiera serale della Chiesa, l’attesa della venuta del Signore viene espressa nelle bellissime antifone al Magnificat, dette antifone O dato che tutte iniziano con quella vocale. Risuona in esse la nostalgia del popolo dell’Antica Alleanza, sono un’invocazione di tutta l’umanità perché venga il Salvatore. 

2. Attesa e vigilanza 

Con l’Avvento la liturgia, ancora una volta, ci fa vivere «ciò che di più profondo e comune ci unisce agli uomini: esseri in ricerca, esseri che hanno bisogno di verità e di bellezza, di un’esperienza di grazia, di carità e di pace, di perdono e di redenzione» (Benedetto XVI, Omelia della Messa a Santiago di Compostela, 6 novembre 2010).

«Come è male per una sposa non avere desiderio del proprio sposo, così ancor più è male per la Chiesa non avere desiderio di Cristo. Lo sposo terreno viene all’abbraccio carnale e viene accolto con intenso desiderio dalla sua casta sposa: sta per giungere lo sposo celeste a dare l’abbraccio eterno alla sua Chiesa, e rendere noi eterni coeredi con lui, mentre noi viviamo senza mostrare desiderio del suo arrivo, mostrando anzi di temerlo» (Agostino, dal Discorso 361, 19. 21).

Se l’attesa è il primo cenno di unità tra la nostra libertà e la libertà di Dio, la nostra tentazione, la stessa del popolo nell’Antico Testamento, è di tradirne la ratio. Siamo tentati di aspettare il Regno di Dio, rivestendolo della nostra misura, fino a soffocarlo in essa. Si può fare di tutto perché avvenga la volontà di Dio, senza amare con convinzione e verità le modalità con cui Egli la manifesta.

Oppure si è così distratti, pre-occupati (magari anche dalle cure del nostro compito) da non aspettarLo più di fatto. Si legge in uno dei Vangeli apocrifi: “Venne, ma li trovò tutti ubriachi. Nessuno più aveva sete”. Per dirlo con una formula che ho usato nel Ritiro del Gruppo della verifica, è la mancanza dell’interesse per (l’uomo) (anzitutto per quello che vive in me) che quando non c’è rende l’interesse per Cristo puramente nominale e dell’interesse per Cristo che, quando è assente rende vuoto l’interesse per l’uomo. Questa, dell’interesse per, è la questione pedagogicamente decisiva . È il fulcro della nuova evangelizzazione.

L’attesa è chiamata, perciò, a diventare povertà dello spirito (v. Maria e Giuseppe, coloro che non hanno nulla da difendere, neppure la propria immagine, l’idea che si erano fatti, di attesa) e vigilanza (Mt 24,42). 

3. Giovanni Battista e Maria Vergine 

Il grande portale dell’Avvento, che dobbiamo varcare per entrare nel Mistero del Natale, è custodito da due sentinelle che affiancano l’Atteso e, poi, il Venuto: Giovanni Battista e Maria Vergine.

Ambedue sanno chi stanno attendendo, per il momento sono gli unici che lo sanno così esattamente e così pressantemente: aspettano Dio, il Dio reale, non un’idea, uno slancio sentimentale, una vaga utopìa. E lo aspettano con una speranza certa, sicuri che Egli sta direttamente davanti alla porta: «L’Avvenimento è già in moto e nessuno arresterà la valanga» (H.U. Von Balthasar, Tu coroni l’anno con la tua grazia, Milano Jaca Book, 1988, p 194).

Il Battista ne proclama l’imminenza tremenda: «Già è posta la scure alla radice degli alberi» (Mt 3,10). Già è pronto il fuoco per l’albero che non porta alcun frutto buono. Già il ventilabro è nelle mani di Dio, ed «egli spazzerà la sua aia ed ammasserà il suo grano nei granai, ma la zizzania la getterà a bruciare nel fuoco inestinguibile» (Mt 3,10). Giovanni è deciso a tutto, sino all’ultimo; egli non ha scrupoli a chiamare i capi del popolo «razza di vipere» e a gridare in faccia ad Erode tutti i misfatti da lui compiuti, egli non ha paura alcuna della prigionia e della decapitazione, poiché è semplicemente voce, che risuona attraverso ogni cosa, anche attraverso orecchie tappate. (Giovanni: libertà come decidere per l’esistenza).

Anche Maria attende Dio. L’angelo le ha detto: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (Lc 1,31-33). Ed ella ha creduto. La Vergine non aspetta, come Giovanni, un potente inimmaginabile che verrà con il fuoco, la scure e il ventilabro; ella aspetta un fragile bimbo. Ma un bambino che è Dio non è forse ancora più inimmaginabile per la madre trepidante? (Maria: libertà come assenso senza riserve.)

Entrambi attendono Colui che sta venendo con un desiderio che riempie tutto il loro essere e, nello stesso tempo, con timore e tremore, con un acutissimo senso della sproporzione tra la loro persona e quello straordinario evento che, attraverso di loro, entra nel mondo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?» (Lc 1,34). «Dopo di me viene colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali» (Mc 1,7). Questa è la posizione paradigmatica per tutti noi sacerdoti come per ogni cristiano: «Nessuno può annunciare se stesso, blaterare della sua esperienza religiosa; tutti devono essere solamente voce di Colui che sta crescendo, del sempre più grande!» (H.U. Von Balthasar, op.cit. p 195). 

4. Dio ha destato l’attesa per compierla 

«Qual è il contributo specifico e fondamentale della Chiesa a questa Europa, che ha percorso nell’ultimo mezzo secolo un cammino verso nuove configurazioni e progetti? Il suo apporto è centrato in una realtà così semplice e decisiva come questa: che Dio esiste e che è Lui che ci ha dato la vita. Solo Lui è assoluto, amore fedele e immutabile, meta infinita che traspare dietro tutti i beni, verità e bellezze meravigliose di questo mondo; meravigliose ma insufficienti per il cuore dell’uomo. Lo comprese bene santa Teresa di Gesù quando scrisse: «Solo Dio basta»»(Benedetto XVI, ibidem).

Tutto l’umano pensiero, – religioni o filosofie – ha “visto” l’uomo tra la sorgente e la foce, tra l’origine e la fine/il fine, imprimendo con ciò un senso, cioè un significato ed una direzione, un’idea-guida al suo essere e al suo agire. È inadeguata ogni idea-guida che non spieghi l’uomo in tutta la sua problematicità, (nella sua debolezza, malattia, mortalità, provvisorietà, vanità, colpa e malvagità, nel suo distacco dall’Origine, nella sua paralisi centrale, quando si tratta della realizzazione del bene, cioè dell’amore. Con la nascita nella carne del Signore Gesù l’Origine stessa è entrata nel tempo e nella storia. Dio si è fatto vicino alla sua creatura che si era allontanata da Lui amandola fino alla fine. Con la morte e la resurrezione di Cristo siamo stati restituiti alla primitiva condizione di figli nel Figlio. Ritroviamo il senso della vita. L’orazione dopo la comunione della Prima Domenica di Avvento parla non a caso del senso cristiano della vita. 

5. Conversione e fecondità 

Se un cristiano agisce – e l’io è sempre in azione – ha sempre come unità di misura il gesto di Dio in Cristo. Non gli basta la legge della natura o del Sinai, gli è necessario il concreto gesto del Dio vivente. È questo Dio vivo a garantire al cristiano uno spazio di realizzazione in ogni circostanza e rapporto.

Ma la Sua venuta, la venuta del Dio Bambino da sempre destinato ad essere il nostro Redentore, si compie nella parusìa. Perciò il Suo Natale è gia il Suo giudizio. Allora le nostre azioni devono convertirsi in carità, in comunione. Siamo chiamati a ricercare il punto di svolta del nostro io più intimo, là dove dall’io ci si volge al tu dell’altro e di Dio, dallo sterile essere-per-sé al fecondo vivere-per-gli altri nella sequela di Dio, l’Emmanuele: Dio con noi e per noi. Allora potremo anche partecipare alla fecondità della Vergine Madre, “portare al mondo qualcosa di fecondo per la storia, donando al mondo un bambino, e non un bambino qualsiasi, ma lo stesso che Ella partorì «Perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12,50)

6 Nella pazienza. «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita» (Lc 21,19) 

Come il parto per la donna giunge da sé, anche il nostro partorire non ci deve procurare preoccupazione alcuna: se viviamo con fede, porteremo in ogni caso il nostro frutto.

«Siate dunque costanti, fratelli, fino alla venuta del Signore. Guardate l’agricoltore: egli aspetta con costanza il prezioso frutto della terra finché abbia ricevuto le prime e le ultime piogge. Siate costanti anche voi, rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina. … Ecco, noi chiamiamo beati quelli che sono stati pazienti» (Gc 5, 7-8.11)

L’imminenza della Sua venuta, la carità nell’azione che anticipa il giudizio finale, significa costruire rapporti nuovi – e questo è responsabilità di ciascuno di noi, irrinunciabile iniziativa personale -; il fatto  che gli altri lo riconoscano appartiene al mistero della loro libertà e di quella di Dio, i cui tempi non sono i nostri. La perseveranza ci rende in ogni azione liberi da tutto e nello stesso tempo presenti in tutto. 

Citazioni dai Padri

Punto 2

Certamente, come sta scritto, una speranza differita affligge l`anima (Pr 13,12). Però, benché stanca di veder ritardato il compiersi del suo desiderio, essa resta in piena fiducia, a causa della promessa. Sperando in Dio e persino sovrabbondando di speranza, aggiungerò speranza a speranza, così come si aggiunge senza posa tribolazione a tribolazione, periodo a periodo. Sono certo infatti che egli alla fine apparirà e non ci ingannerà. Ecco perché, anche se si fa aspettare, io l`aspetterò, poiché verrà senza alcun dubbio e non tarderà (cfr Ab 2,3) oltre un tempo determinato e opportuno. Ma qual è il tempo opportuno? Quello in cui sarà completo il numero dei nostri fratelli (cf. Ap 6,11) ; quello in cui sarà esaurito il tempo della misericordia concesso per la penitenza (Ilario di Poitiers, Sermo I in Adv., 1s.).

Per tutto questo tempo nel quale, come se fosse una notte, il secolo si viene dipanando, la Chiesa sta sveglia finché non venga il Signore, attenta con gli occhi della fede alle Sacre Scritture, come a lampade accese nella notte (S. Agostino, Discorso 223/D, 3). 

Punto 3

Che dicevi, Adamo? La donna che tu mi hai dato, mi ha offerto il frutto dell`albero e l`ho mangiato. Queste son parole di malizia, con le quali accresci più che distruggere la colpa. Ma la Sapienza ha vinto la malizia, che tentò, con quella domanda, di strapparti un’occasione di perdono, ma non vi riuscì, l’ha trovata l`occasione nel tesoro della sua inesauribile misericordia. Una donna prende il posto d`una donna, una prudente è al posto della fatua, un’umile è al posto della superba, che, invece dell`albero della morte, ti offra il gusto della vita, che, invece d’un frutto velenoso e amaro, ti procuri la dolcezza d’un frutto eterno. Cambia, dunque, la tua parola d`ingiusta scusa in una espressione di ringraziamento e di’: Signore, la donna che tu mi hai dato, mi ha offerto il frutto dell’albero e l`ho mangiato; ed è stato più dolce del miele nella mia bocca, perché quel cibo, mi ha dato la vita. Ecco, per questo è stato mandato l`angelo da Maria Vergine. O Vergine meravigliosa e degnissima di ogni ammirazione! O donna più che ogni altra venerabile, più d`ogni donna oggetto di meraviglia; hai riparato il guasto dei tuoi genitori, hai dato vita ai tuoi posteri! (Bernardo di Chiaravalle, Hom. 2, 1-3). 

Punto 4

È venuto il mio Signore Gesù, ha spianato le tue asperità, ha mutato in strade diritte il tuo disordine, perché in te sorgesse una strada senza inciampi, un cammino dolce e puro, lungo il quale in te Dio Padre potesse procedere e Cristo Signore in te potesse fissare la sua dimora (Origene, Omelia su Luca 22, 4). 

Punto 5

Giovanni manda i suo discepoli a Cristo, affinché abbiano un sovrappiù di conoscenza, dato che Cristo è la pienezza della Legge (S. Ambrogio, Esp. Del vang. di Lc. V, 95).

Infatti Cristo Signore, se vedrà che tu così ben preparato celebri il suo natale, si degnerà di venire non solo a visitare la tua anima, ma anche a riposare e ad abitarvi per sempre, così come sta scritto: Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò (2Cor 6,16); e ancora: Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap 3,20). Felice quell`anima che con l`aiuto di Dio desidera guidare la propria vita, così da essere degna di ricevere Cristo come ospite e di diventare sua dimora; al contrario come è infelice quella coscienza, degna di essere compianta a calde lacrime, la quale si macchiò di cattive opere, si oscurò del buio dell`avarizia, arse di iracondia, si lordò di continua lussuria, fu distrutta dalla tirannide della superbia, così che in essa non Cristo riposerà, ma il diavolo vi stabilirà il suo dominio! Tale anima, infatti, se non ricorrerà subito al rimedio della penitenza, perderà la luce, si coprirà di tenebre; si svuoterà di dolcezza, sarà colmata di amarezza; verrà invasa dalla morte, privata della vita. Tuttavia chi è nel peccato non disperi della bontà del Signore, non si tormenti in una mortale disperazione, ma piuttosto faccia subito penitenza, e finché le ferite dei suoi peccati sono aperte e sanguinanti, le curi con medicine salutari: poiché il nostro medico è onnipotente ed è così abituato a curare le nostre piaghe che non fa rimanere traccia di cicatrici… (Cesario di Arles, Serm 187, 3.5).