Intervista all’Arcivescovo di Milano pubblicata sul quotidiano La Repubblica del 12 ottobre 2014.

CITTÀ DEL VATICANO – Durante il Sinodo sulla famiglia, il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, racconta le sue impressioni sull’assise e sulla vita della Chiesa un anno e mezzo dopo l’elezione di papa Bergoglio.

Eminenza, a volte sembra che la Chiesa europea faccia fatica a comprendere la novità di Francesco. Anche al Sinodo le posizioni sono eterogenee. Si riuscirà a fare sintesi?
“Sono convinto di sì. Prima del conclave noi europei avevamo espresso un giudizio chiaro sulla vita della Chiesa parlando esplicitamente delle scarse probabilità che venisse eletto un Papa europeo. Oggi abbiamo un Papa la cui esperienza pastorale è passata attraverso il travaglio della condivisione profonda dell’emarginazione, della povertà, arrivando a formulare una teologia e una cultura significative per tutti. Per noi europei questo costituisce una provocazione che all’inizio può essere anche destabilizzante, ma che se fatta propria, come chiesto dalla natura comunionale della Chiesa, risulta assolutamente preziosa. Stiamo andando in questa direzione e, per questo, il futuro è carico di speranza. Fra l’altro se è vero che l’Europa è stanca, è anche vero che lo è perché da secoli porta sulle spalle problemi assai complessi. La mens europea continuerà ad avere un forte peso nella costruzione di nuova civiltà e di nuovo ordine mondiale”.

Francesco al Sinodo vuole che vi sia anzitutto un confronto. Cosa ne pensa?
“Nell’Assemblea sinodale è in atto uno straordinario ascolto reciproco. Non esiste nessun luogo al mondo in cui 250 persone provenienti da tutti i paesi lavorano così duramente. La cattolicità della Chiesa è palpabile ed è uno spettacolo. Inoltre, la prassi introdotta nel 2005 da Benedetto XVI di lasciare a fine giornata un’ora di confronto libero è andata maturando. Ognuno ha la possibilità di riprendere l’intervento di un altro, dicendo “Non ho capito questo, Io direi così, ecc”. È davvero una crescita nell’esercizio della collegialità”.

In Italia il dibattito mediatico pre Sinodo si è focalizzato sulla comunione ai divorziati risposati.
“Ma il tema dell’accesso alla comunione sacramentale dei divorziati risposati si è inserito nella necessità, sentita da tutti, di chinarsi sull’intera realtà della famiglia, preziosissima per la Chiesa e per la società. Cerchiamo di trovare la via più adeguata e i linguaggi più comprensibili per comunicare la bellezza della proposta cristiana offerta a tutti. Inoltre nel dibattito soscuola no emerse altre situazioni complesse e difficili. Ad esempio, il tema della poligamia ha avuto un grande peso sia negli interventi dei padri africani sia in quelli degli asiatici. Nessun argomento delicato, comunque, compreso quello della omosessualità, è stato taciuto”.

Cosa pensa della possibilità di dare la comunione ai divorziati risposati?
“Sono stato successore di Roncalli a Venezia e ho potuto vedere taluni suoi appunti che parlano di pastorale. Roncalli mette la pastorale in diretto riferimento alla storia e alla salvezza. È pastorale proporre Gesù come compimento e salvezza della persona concreta. Egli è via, verità e vita per ciascuno, in qualunque condizione si trovi. Personalmente avverto il bisogno che l’idea roncalliana sia assunta più pienamente, riconoscendo il nesso inscindibile tra dottrina, pastorale e disciplina. Solo da questa prospettiva unitaria potrà emergere un’adeguata azione ecclesiale per i divorziati risposati. È vero che l’eucaristia, a certe condizioni, ha una componente di perdono dei peccati, ma è anche vero che non è un “sacramento di guarigione” in senso proprio. Inoltre il rapporto tra Cristo sposo e la Chiesa sposa non è per gli sposi solo un modello. È ben di più: è il fondamento del loro matrimonio. Ritengo che il nesso tra eucaristia e matrimonio resti sostanziale. Pertanto coloro che hanno contratto un nuovo matrimonio si trovano in una condizione che oggettivamente non consente l’accesso alla comunione sacramentale. Lungi dall’essere una punizione, è l’invito ad un cammino. Queste persone sono dentro la Chiesa, partecipano attivamente alla vita della comunità. Si potranno rivedere talune esclusioni: per esempio la loro partecipazione al consiglio pastorale o la possibilità di insegnare in una cattolica. Personalmente però, sul piano sostanziale, non trovo ancora una risposta alla possibilità che accedano alla comunione sacramentale senza colpire nei fatti l’indissolubilità del matrimonio. Insomma, l’indissolubilità o entra nel concreto della vita o è un’idea platonica. Devo aggiungere che molti padri hanno chiesto di rivedere la modalità di verifica della nullità del matrimonio dando più peso al Vescovo. Io stesso ho fatto una proposta in tal senso”.

Al Sinodo sono entrate anche le sofferenze delle coppie omosessuali. Dalla sua diocesi ieri è arrivato l’alt a Pisapia sulle unioni celebrate all’estero e l’invito a fare presto una legge. La Chiesa oggi come guarda a queste persone?
“È fuori dubbio che siamo stati lenti nell’assumere uno sguardo pienamente rispettoso della dignità e dell’uguaglianza delle persone omosessuali. Per quanto riguarda le loro unioni, le parole indicano le cose. Non è giusto suscitare, direttamente o indirettamente, confusione su una cosa decisiva come la famiglia. Ritengo che la parola “famiglia”, insieme alla parola “matrimonio”, vada riservata all’unione stabile, aperta alla vita tra l’uomo e la donna. Per il duo o coppia omosessuale si dovrà trovare un altro vocabolo. Anche la questione della filiazione, soprattutto con la surrogazione di maternità, apre un problema molto grave. Si rischia di mettere al mondo figli orfani di genitori viventi”.

C’è una nuova freschezza nella Chiesa?
“Il Papa con il suo stile particolare, che si mescola a noi arrivando anche mezz’ora prima, che va a cercare le persone al proprio posto, che viene a prendersi il caffè con noi, che saluta i camerieri, genera un clima nuovo. Certo, la Chiesa è davanti a una grande prova: il confronto con la rivoluzione sessuale è una sfida forse non inferiore a quella lanciata dalla rivoluzione marxista. Partendo dall’autoevidenza dell’eros  –  l’uomo capisce chi è in riferimento al suo essere situato nella differenza sessuale  –  dobbiamo paragonarci con visioni dell’uomo assai diverse. Non basta una risposta intellettuale. Occorre rigenerare dal basso il popolo di Dio, con una nuova educazione all’amore che incominci fin dall’adolescenza e nella consapevolezza che la famiglia è il soggetto della pastorale e non l’oggetto. Le nostre parrocchie, associazioni e movimenti devono essere più dimore che mostrano la bellezza e la bontà del Vangelo, entrano nel necessario dibattito di una società plurale, con franchezza, puntando al massimo riconoscimento possibile”.