Ripubblichiamo l’intervento pronunciato dal Cardinale Scola alla CONSOB il 5 maggio 2014 perché il tema affrontato – Relazioni e rischio – ci sembra mantenere una sua attualità nel mondo dell’economia e della finanza.

A questo link l’intervento scaricabile in formato PDF.


CONSOB
Commissione Nazionale per le Società e la Borsa

1974 – 2014
40° Anniversario CONSOB

Incontro annuale con il mercato finanziario
Milano, lunedì 5 maggio 2014
Palazzo Mezzanotte
Piazza Affari, 6

Relazioni e Rischio
Card. Angelo Scola
Arcivescovo di Milano

 

  1. Un’etica della finanza antropologicamente adeguata

Nei pochi minuti a disposizione preferisco accennare ad un aspetto particolare ma decisivo del rapporto etica-finanza piuttosto che ribadire qualche principio di carattere generale, a voi – credo – già ben noto ed in ogni caso facilmente rintracciabile nell’insegnamento sociale della Chiesa.

Mi limito quindi ad offrire qualche spunto sintetico circa il nesso relazioni-rischio che, per quel che può capire un semplice cittadino come me, mi sembra più che mai decisivo per una finanza autenticamente etica e perciò rispettosa di una adeguata visione dell’uomo (antropologia).

 

  1. Una fitta rete di relazioni

Cercare una uscita realistica e sostenibile dalla crisi richiede di riconoscere la necessità di superare un’idea di mercato che lo concepisce come un fatto, rigido, di natura invece che, come è realmente, un fatto di dinamica cultura. Concepito come un fatto di natura il mercato diventa luogo di relazioni anonime ed impersonali, perciò ultimamente indifferenti. Invece un affronto adeguato del rapporto etica/finanza richiede di partire effettivamente dai soggetti in azione all’interno del mercato e dalla fitta rete di relazioni mediante le quali ognuno potenzialmente incide sulla situazione di tutti gli altri.

Infatti quella del mercato è un’interdipendenza fortemente strutturata. Nascondersi dietro l’anonimato, impedendo uno sguardo realistico alla rete delle relazioni finanziarie, priva del coraggio di parlare apertamente del potere – diverso per i diversi soggetti – mediante il quale, attraverso decisioni e operazioni ben precise, alcuni soggetti esercitano un’enorme influenza sul sistema delle relazioni economiche e finanziarie.

Le radici di questo potere si trovano nella capacità di controllo sia su risorse materiali (grandi patrimoni), sia su risorse immateriali (flussi di informazioni e di comunicazioni). Senza sottostimare il peso della dimensione materiale, oggi riveste particolare importanza il potere esercitato a partire dal controllo delle risorse immateriali. Questo potere apparentemente “soft” ha invece una grande incidenza sulla dimensione materiale del sistema delle interdipendenze: gli andamenti dell’economia e della finanza riflettono infatti le aspettative, le motivazioni e le convinzioni che si formano nella trama quotidiana delle relazioni.

 

  1. Buone relazioni per una rinnovata fiducia

A me sembra che un tratto oggi assai rilevante e problematico, anche in campo economico, è la paura diffusa: una paura del futuro che blocca l’intrapresa, una paura soprattutto di impegnarsi in iniziative economico-finanziarie di lungo respiro. Di fronte all’attuale situazione di obiettiva incertezza domina una sorta di paralisi. Paralisi che rappresenta, in un certo senso, il contraccolpo del lungo periodo di effervescenza finanziaria in cui ha prevalso la convinzione, che si è rivelata irrazionale con lo svolgersi della crisi finanziaria, che tutti i rischi connessi al futuro potessero essere gestiti con strumenti finanziari sempre più innovativi e, soprattutto, che il rischio stesso potesse essere distribuito attraverso una molteplicità di canali finanziari, fino ad essere, in qualche modo, “addomesticato”.

L’incertezza, invece, è parte inevitabile della vita personale e sociale; va oltre il semplice rischio, in qualche modo calcolabile, perché assume connotati più profondi. Il rischio implica la possibilità che si materializzino scenari futuri alternativi, più o meno probabili. Solo quando il rischio assume il carattere dell’impossibilità persino di ipotizzare una lista esaustiva di quali siano i possibili scenari futuri, allora diventa causa di profonda incertezza. Tuttavia, questa incertezza, pur creando inevitabilmente disagi e difficoltà, può essere vissuta positivamente. A quali condizioni? Una delle fondamentali è quella di essere disponibili a legarsi reciprocamente e a sostenersi l’un l’altro nel momento del bisogno, soprattutto di quello di cui non si riesce ad immaginare né la forma, né i tempi di manifestazione.

I legami di reciproco aiuto sostengono tutte le società, dalla più piccola – la famiglia – alle più complesse; sostengono anche le attività produttive, perché anche l’impresa economica è sempre chiamata ad essere innanzitutto una «società di persone»[1].

Qui sta la sfida etica per l’economia e la finanza: «Occorre adoperarsi —l’osservazione è qui essenziale!— non solamente perché nascano settori o segmenti “etici” dell’economia o della finanza, ma perché l’intera economia e l’intera finanza siano etiche e lo siano non per un’etichettatura dall’esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura»[2].

Non pochi studi, giunti fin sulle pagine dei giornali, hanno messo in evidenza che una causa non marginale della grave crisi finanziaria e del suo “traboccare” da un paese all’altro e da un comparto all’altro del mercato finanziario sia stata l’oggettiva “distanza relazionale” fra gli attori. Questi si erano limitati a relazionarsi come interlocutori anonimi, accomunati solo dalla scelta temporanea e reversibile di partecipare come scambisti allo stesso mercato.

La crisi inoltre ha smascherato una grande finzione: la pretesa di gestire il rischio in modo puramente “tecnico”. Ne è prova, pare anche ad un “laico” quale io sono, il fatto che le transazioni finanziarie sottoscritte con l’obiettivo di riallocare i singoli rischi non sono sufficientemente robuste da difendere gli operatori dalla incertezza del sistema. A dire di alcuni studiosi, per molti versi la crisi ha reso evidente che la grande distanza relazionale fra i soggetti attivi nel mercato finanziario giunge fino alla perdita di informazioni necessarie per il mercato stesso, conduce ad una sua maggiore fragilità e permette forme sempre più ampie e sofisticate di manipolazione delle informazioni e delle comunicazioni, piegate a ben determinati interessi spesso di breve respiro.

 

  1. Il “dovere” di un rischio ragionevole

Cosa domanda allora una prospettiva etica realistica a degli operatori finanziari? Il coraggio di essere soggetti capaci di assumersi il rischio di un’azione costruttiva, sia pure in condizioni di incertezza. E a garanzia della ragionevolezza di questo rischio bisogna prendere molto sul serio non solo le cause di incertezza “sistemica”, ma anche quelle dell’incertezza relativa alla qualità delle relazioni. Cioè: mi posso fidare? Perché, e quanto, mi posso fidare, dei miei potenziali partner?

Affrontare il rischio di una azione costruttiva, dunque, è la prima grande sfida etica di fronte a cui si trovano i soggetti, piccoli e grandi, che intendono assumersi la responsabilità che deriva dal loro, piccolo o grande, potere. Dove nessuno ha il coraggio di intraprendere azioni rischiose, l’incertezza oggettiva finisce per intrappolare tutti in uno status quo che diventa ogni giorno più problematico e rischioso.

Tuttavia, bisogna sottolineare che l’azione rischiosa non è un valore in sé. Occorre che tale azione sia volta a perseguire un obiettivo “buono” e che sia fondata su una speranza ragionevole, fattori che permettono di non rimanere paralizzati dalla paura.

Sperare non è questione di ottimismo, è questione di virtù. Per sperare occorre avere delle buone ragioni; e le buone ragioni si rendono evidenti solo in azione. Occorre l’azione di persone sinceramente aperte alla realtà, tutta intera: alle risorse materiali e immateriali che possono essere attivate; alle persone, che sono sempre un fine e non un mezzo; alle istituzioni. La virtù è necessaria perché della realtà – materiale e immateriale, fatta di persone e di istituzioni – ci si può anche appropriare solo per sfruttarla indefinitamente fino ad esaurirla. Papa Francesco ha parlato di economia dell’inequità[3]

Solo quando la si riconosce per quello che è – la realtà è anzitutto un “dato” che riceviamo, ma che sempre allude ad altro, ad un “possibile” non predefinito – si diventa capaci di coglierne i segnali buoni, anche i segnali deboli. Per esempio, un investitore può ragionevolmente rischiare del suo perché si è reso conto delle potenzialità di un progetto, anche piccolo, immaginato da un giovane. In questo caso il segnale è davvero molto debole: per coglierlo, occorre avere l’abitudine di alzare lo sguardo dai propri interessi immediati, dall’orizzonte piatto del breve periodo.

Nel rischio, personale e comune, di una azione costruttiva, ognuno ha il suo compito e la sua responsabilità. Chi ha grande potere economico e finanziario, ha grande responsabilità.

 

  1. Due priorità

Due urgenze mi sembrano prioritarie, in particolare, per il mondo della finanza. Mi limito ad accennarle.

La prima urgenza riguarda la dimensione “macro”, ossia le regole del sistema finanziario. In questo ambito, occorre lavorare perché siano identificate ed attuate regole, a livello internazionale, appropriate e più giuste. Molti sforzi di ripensare le regole per la finanza, che hanno goduto di forte sostegno nella fase immediatamente successiva alla crisi, sembrano aver subito rallentamenti e talora battute di arresto.

Nuove regole, semplici e condivise, sono oggi assolutamente necessarie. Certamente occorre ricordare che se una buona regolamentazione della finanza è assolutamente necessaria, essa, di per sé, non è mai sufficiente a garantire gli esiti[4]. Un “buon” funzionamento del mercato finanziario richiede una comunità animata da convinzioni capaci di motivare le persone che agiscono nel concreto quotidiano ad aderire con libertà alle regole comuni.

Tocca agli operatori finanziari, specie a coloro che portano le maggiori responsabilità associate al loro maggiore potere, rafforzare un senso del comune interesse a realizzare uno spazio finanziario stabile. Uno spazio stabile nel quale si possano svolgere le funzioni proprie della finanza in modo efficace, e specialmente provvedere, attraverso l’intermediazione, affinché la capacità di risparmio sia convogliata ad iniziative produttive in grado di generare occasioni reali di lavoro. Questo genere di finanza diventa a tutti gli effetti un importante “mattone” per la realizzazione del bene comune.

La seconda urgenza per orientare il mondo della finanza verso una uscita sostenibile dalla crisi non è meno importante della prima. Essa riguarda la dimensione “micro”, la più elementare, la più vicina alla vita quotidiana della gente. Si tratta di agire perché non manchi il sostegno alle iniziative produttive.

Occorre agire per risanare – con prudenza e decisione – la situazione problematica che si osserva in molti paesi, e sicuramente nel nostro. Occorre forse anche il coraggio di qualche iniziativa di carattere innovativo, che reinterpreti secondo modalità appropriate ai nostri tempi il tentativo – già sperimentato con successo in altri tempi e in altri luoghi – di sostenere la capacità di intrapresa produttiva attraverso forme di finanziamento che riescano ad accorciare la “distanza relazionale” fra risparmiatori e investitori.

 

  1. La dimensione del gratuito

A chi – come voi – ha grande possibilità di azione e di incidenza, è richiesto un particolare impegno per creare spazi nei quali l’interesse comune allo sviluppo economico e sociale sfoci nella possibilità effettiva di costruire legami fiduciari forti, capaci di resistere alla oggettiva difficoltà dei tempi e alle tante incertezze che accompagnano la vita quotidiana di tutti noi.

Occorre cogliere segnali forse deboli. Ma questa è la sfida più affascinante per chi ha fiuto per gli affari. L’affare più bello è ricostruire la possibilità di una “buona” convivenza economica e sociale, capace di includere tutti e specialmente i giovani, che tanto hanno da esprimere per il bene di tutti.

Mi pare che a questo alludesse Benedetto XVI quando ha parlato di allargare la «ragione economica»[5] facendo spazio alla dimensione del «gratuito»[6]. Papa Benedetto XVI non si riferiva certo alla generosità del gratis, ma, andando ben più in profondità, intendeva il gratuito come una qualità propria di ogni azione umana, anche di quelle economiche e finanziarie. Un’azione è gratuita quando persegue, in modo diretto ed esplicito, il bene in sé, subordinando sempre ad esso il mero calcolo.

Un richiamo che ha conseguenze assai rilevanti sul piano etico ed antropologico. Una conseguenza, assai radicale ma decisiva, è indicata dall’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium di Papa Francesco. Mi riferisco al duro monito contro la «cultura dello scarto» che, non solo direttamente ma anche indirettamente, «rende gli esclusi dei rifiutati», addirittura degli «avanzi»[7].

Ognuno di noi, nell’ambito del suo agire anche professionale, corre questo rischio. Vivere relazioni buone che ce ne rendano consapevoli è condizione fondamentale per armonizzare pratica e sapere finanziario con l’etica e l’antropologia.

[1] Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 43.

[2] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 45.

[3] Papa Francesco, Evangelii gaudium, 53.

[4] Benedetto XVI, Spe salvi, 24.

[5] Benedetto XVI, Caritas in veritate, 32-36.

[6] Ibid. 34-35.

[7] Papa Francesco, Evangelii gaudium, 53.