Nel pomeriggio del 1 novembre, solennità di Ognissanti, il Patriarca – come da tradizione – ha presieduto la messa nel cimitero di Mestre, alla presenza delle autorità civili e religiose e di una folla di fedeli.

Qui è disponibile il testo dell’omelia.

1. «… Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua [nessuna diversità sarà più d’ostacolo]. Tutti stavano in piedi [è la posizione dei risorti] davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide [il bianco indica la partecipazione alla vita divina e la veste esprime l’identità della persona], e portavano palme nelle mani [segno della vittoria sulla morte]» (Ap 7,9). La Chiesa, nostra madre, ci invita a vivere ora, in questo cimitero, la vigilia della celebrazione dei defunti con il dono straordinario della Festa solenne di tutti i Santi. Questo giorno è dedicato alla sconfinata schiera di uomini e donne che sono in Paradiso. La memoria dei nostri cari, alla luce della gloria dei Santi, ci autorizza a sperare per tutti, per la riuscita (la santità) di tutti e di ciascuno. In questo giorno si manifesta in modo eminente la comunione di tutte le membra del Corpo di Cristo, la comunione fra noi e con i nostri cari passati all’altra riva.

2. Purtroppo per secoli la nozione di santità si è molto allontanata dal suo significato originario. Per San Paolo e per il Libro degli Atti, infatti, con il termine “santi” si indicano semplicemente tutti i battezzati. La santità incomincia con un dono: il dono del Battesimo. Per essere il traguardo di una vita necessita di essere già posta al punto di partenza. La vita come vocazione è proprio la chiamata personale a realizzare progressivamente, lungo tutta l’esistenza, il dono posto all’origine dal Battesimo. Qui sta il segreto della riuscita della propria umanità, cioè della propria santità.

3. Qual è la strada?

«Non c’è personalità veramente perfetta che nei santi. Ma come? I santi si sono forse proposti di sviluppare la propria personalità? No. L’hanno trovata senza cercarla, perché non cercavano questa, ma Dio solo» (J. Maritain). Per questo l’apostolo prediletto, nella Seconda Lettura, può racchiudere in un’esclamazione di gratitudine il segreto della santità: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (1Gv 3,1). Cedere all’amore di Dio. Il Figlio, Colui che dall’eternità “cede” all’amore del Padre fino ad assumere, in Gesù, la nostra carne umana è «il maestro e il modello di ogni santità» (Orazione al termine delle Preghiere dei fedeli).

La maturità umana/santità non è l’esito del nostro progetto, ma il frutto maturo di quel quaerere Deum di cui ha parlato Benedetto XVI nel suo Discorso al Collegio Les Bernardins di Parigi. Come un bimbo diventa un uomo unicamente all’interno delle relazioni buone anzitutto con i suoi genitori e poi con tutti gli adulti cui è affidata la sua educazione, così la creatura si realizza vivendo in modo pieno e stabile la relazione con il suo Creatore (con l’Origine).

Relazioni buone: questo è il grande bisogno dell’uomo di oggi. Relazioni buone con se stessi, con gli altri, con il creato ma, soprattutto, con Dio. Come diceva Miguel de Unamuno «con Dio o senza Dio tutto cambia». Perché siamo qui a celebrare questa Eucaristia e a pregare in favore (in suffragio) dei nostri cari? Perché li vogliamo custoditi in eterno presso Dio. Ma allora Dio deve entrare di più nella nostra vita. Accogliendo il Bene che Egli è dobbiamo essere attori di relazioni buone a tutti i livelli: da quello familiare, a quello ecclesiale, a quello sociale, a quello politico (nazionale e locale). Anche qui da noi. Per questo ognuno di noi deve imparare a cedere qualcosa: aprirsi a chi ha opinioni diverse, far prevalere la solidarietà dell’unica appartenenza all’umana famiglia e alla umana polis, accerchiare il male da ogni parte con il bene, compiere la legge nella giustizia e nell’amore.

4. A questo ci aiuta la logica inaudita delle Beatitudini. Il programma delle Beatitudini è, anzitutto, la descrizione della personalità di Cristo. Narra l’esperienza di Colui che, accettando di umiliarsi fino alla morte, fu esaltato nella resurrezione. È il paradosso dell’amore che rovescia la nostra povera logica («ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi»). Ci è donata fin da ora, qui sulla terra, la caparra di quel Regno dei cieli che, noi lo speriamo di speranza certa, i nostri cari già passati all’altra vita possono godere in pienezza. Gesù ne descrive la promessa in termini umanissimi. «Saranno consolati»: Dio cambierà il loro destino di dolore in una esistenza di gioia. «Erediteranno la terra», cioè uno spazio di vita sicura, illimitata, ricca di ogni bene nella comunione piena con Dio e con gli altri. «Saranno saziati»: Dio appagherà il loro desiderio di felicità al di là di ogni attesa e misura. «Troveranno misericordia»: faranno l’esperienza del perdono di Dio, dell’infinita Sua misericordia. «Vedranno Dio»: Dio li ammetterà all’incontro personale e immediato con Lui, fino al culmine della familiarità: «Saranno chiamati figli di Dio». Riconoscendoli come suoi figli, Dio li accoglierà nella sua famiglia divina, nel seno della Santissima Trinità. «Perché di essi è il Regno dei cieli» (l’espressione è ripetuta): Dio stesso interviene in loro favore e, con il Figlio, dona loro ogni sua proprietà.

5. «Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,3). In questa prospettiva non c’è nulla di magico o di scontato: la nostra vita di pellegrini si svolge nella tensione tra il già e il non ancora. Qui sta tutto l’impegno, affascinante e drammatico, della libertà di ognuno di noi. Siamo chiamati a non ridurre l’orizzonte infinito del nostro desiderio di felicità, vivendo nel quotidiano quelle relazioni buone che Gesù ci ha insegnato e che la comunità cristiana, nonostante i limiti dei suoi uomini, tenacemente cerca di perseguire.

I nostri cari defunti ci attendono sull’altra riva, sempre rivolti verso di noi con amorosi sensi. Con il loro provocante silenzio urgono la nostra domanda di Dio. Ascoltiamoli. Amen.