La riflessione del cardinale Scola in un articolo pubblicato il 25 maggio su “Il Sole 24 Ore”
Chi sequestrare? E dove? Rapire capi di Stato o comunque emblemi del potere, rigorosamente maschi, campioni di sfruttamento degli oppressi, militari dal pugno di ferro?Farlo nelle piazze, nei palazzi, nelle caserme, nelle sedi di partito o delle banche, come nei terribili anni delle Br e del terrorismo politico in Italia?
O colpendo al cuore le metropoli occidentali, alle Twin Towers o alle stazioni del metro, come in quelli più recenti di Al Qaeda?
No. Il terrorismo oggi non parla quasi più questo linguaggio, imparte altre parole d’ordine. In talune componenti dell’Islam – quelle che solitamente vengono identificate con l'”islamismo” – il terrorismo parassita la religione fino a modificarne il Dna e ad usarla come arma di sterminio di massa.
E arriva a sequestrare 300 ragazze, studentesse di un collegio di una cittadina sperduta dell’Africa. Prive di ogni potere, ricche solo del loro sogno-diritto a un futuro di donne libere, istruite, emancipate.
Accade.
Questa volta la lucida follia degli islamisti di Boko Haram (alla lettera “libro proibito”) ha scelto con cura il proprio obiettivo, colpendo le donne, i giovani, l’educazione. In una delirante furia purificatrice contro l’Occidente, le sue fedi e i suoi valori. Ma questa volta la notizia non è svaporata, come invece capita troppo spesso, nella generica indignazione di pochi, per un paio di giorni; o, peggio, nella colpevole indifferenza dei più.
A partire dalle centinaia di madri nigeriane e dalle folle scese in piazza ad Abuja e a Lagos, la mobilitazione ha rapidamente coinvolto tutto il mondo. L’appello “Restituiteci le nostre ragazze” ha invaso il web, trovando immediata, larghissima adesione, da Papa Francesco a Michelle Obama, da intellettuali, politici, religiosi, a migliaia di persone qualunque in ogni angolo della terra.
Questa volta, in cui l’orrore sembra aver colmato la misura, sia in Occidente che in molti Paesi africani, prima tra tutti la stessa Nigeria, sembra essersi ritrovata l’unità tra uomini decisi a reagire. Più forte di qualsiasi divisione tra etnie o fedi. Documentando l’irriducibile unità dell’esperienza umana comune. «Eppure – scriveva San Giovanni Paolo II in Persona ed atto – esiste qualcosa che può essere chiamato esperienza dell’uomo». Ed è universale.
Ma perché questa esperienza sia custodita, difesa, promossa, occorre un’educazione. E perciò degli adulti che, prima di essere maestri, siano padri e testimoni. Appassionati della libertà dei giovani e giocati in prima persona con quello che propongono, con il vero, il bene e il bello, per tornare a parole-chiave antiche, eppure più che mai attuali, rilanciate dal Papa nel suo recente incontro con il mondo della scuola.
In Oriente come in Occidente, nel mondo musulmano come in quello cristiano, oggi l’urgenza educativa è ineludibile e improcrastinabile. Nel pieno rispetto della libertà religiosa così come il Vaticano II l’ha proposta, cioè senza mai spezzare l’indissolubile legame tra verità e libertà. I cristiani poi sono figli di un Dio che, per amore dell’uomo e della sua libertà, ha dato la vita, lasciandosi crocifiggere da innocente, sottoponendosi alla condanna capitale degli schiavi.
Affermare di voler liberare le persone costringendole a convertirsi è una odiosa e violenta contraddizione. Quello della libertà religiosa è il primo gradino della scala dei diritti dell’uomo. Demolirlo significa far crollare, inesorabilmente, tutta la scala, come la cronaca drammaticamente ci mostra quasi ogni giorno. Basti citare l’ultimo terribile caso di Meriam, la giovane mamma condannata a morte e a cento frustate per aver sposato un cristiano.
Difendere la libertà religiosa non significa certo immaginare una sorta di supermarket delle religioni presso il quale ogni uomo possa rifornirsi di quel “supplemento d’anima e di senso” di cui ha bisogno per vivere. Poco importa che a fornirlo siano fedi o caricature di fedi, sette di fanatici o invenzioni di sedicenti maghi… La libertà religiosa si fonda sul dovere assoluto di ogni uomo di aderire, in adeguata coscienza, alla Verità, che è viva e viene al nostro incontro, interpellando la nostra libertà.
Essa trova effettivo compimento quando, al dovere delle istituzioni di garantire a tutti un’effettiva pratica religiosa, corrisponde nei praticanti una fede autenticamente vissuta e appassionatamente comunicata. Così la libertà religiosa diventa “un’autentica arma della pace”
(Benedetto XVI).