In occasione della Festa Patronale di San Domnio, il card. Scola ha presieduto la celebrazione eucaristica al porto di Split, su invito di S. E. Mons. Marin Barisic, arcivescovo di Spalato e Makarska.

La solenne processione dalla Cattedrale al porto si è dimostrata ancora una volta una grande festa di popolo per la Chiesa Cattolica della Croazia.

Ecco il testo dell’omelia.

Ap 12,10-12a; 1Pt 5,1-4; Lc 10,1-9

1. «Pascete il gregge … non come padroni delle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge. E quando apparirà il Pastore supremo riceverete la corona della gloria che non appassisce» (1Pt 5,3). Queste parole della Prima Lettera di Pietro – la Seconda Lettura dell’odierna liturgia – si possono applicare alla lettera ai due giganti della fede che stanno alla sorgente e alla foce della storia cristiana delle vostre terre.
Giovanni Paolo II, commentando la sua seconda visita pastorale in Croazia per la beatificazione del Cardinal Stepinac e per la celebrazione dei 1700 anni della città di Spalato, affermò che San Domnio ed il Beato Cardinale di Zagabria gli consentivano di «abbracciare idealmente due millenni di storia: dai martiri delle persecuzioni romane fino a quelli del recente regime comunista» (Udienza Generale del 7.10.1998).
Nell’anno 2004 voi avete celebrato con speciale solennità i 1700 anni del martirio di San Domnio, protettore della città di Split e patrono della vostra diocesi. Sono molto grato all’arcivescovo di questa gloriosa Chiesa metropolitana, S. E. Mons. Marin Barisic, che da molti anni mi è amico, per avermi invitato a partecipare alla vostra festa cittadina e a presiedere questa solenne liturgia eucaristica che corona, qui al porto, la partecipata processione.
I legami storici tra la Dalmazia e Venezia sono molto stretti. Essi sono pieni di luci e di ombre, segnati da contrasti, ma anche da alleanze. Nel complesso dobbiamo riconoscere che sono stati prevalenti i tempi della consonanza su quelli dell’opposizione. In ogni caso oggi, per grazia di Dio e, ne sono certo, per l’intercessione di San Domnio, i segni della comunione tra le nostre Chiese sono assai vivi, così come è ben nota la collaborazione tra le nostre comunità civili.

2. San Giovanni, nel brano dell’Apocalisse che abbiamo sentito proclamare, ci aiuta ad approfondire il senso, oggi più che mai attuale, del martirio di San Domnio: «…[i martiri] hanno vinto grazie al sangue dell’Agnello e alla parola della loro testimonianza e non hanno amato la loro vita fino a morire» (Ap 12,11).
Il martirio cristiano, come ci ha richiamato il Papa, è «esclusivamente un atto d’amore, verso Dio e verso gli uomini, compresi i persecutori… il legame profondo che unisce Cristo [ai martiri] è la Carità divina: lo stesso Amore che spinse il Figlio di Dio a spogliare se stesso e a farsi obbediente fino alla morte di croce, ha poi spinto gli Apostoli e i martiri a dare la vita per il Vangelo» (Benedetto XVI, Angelus 26.12.2007). Il martirio è la forma estrema di testimonianza. E questa è la condizione stabile della vita cristiana. Mostra che essa si fonda sull’amore. Il sacrificio è parte essenziale del dono di sé, nucleo incandescente dell’amore.
Il Vangelo di oggi ci ricorda che la testimonianza, cioè la missione del cristiano, incomincia dalla preghiera. «Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» (Lc 10,2). La messe rappresenta il regno di Dio, gli operai sono gli uomini che vi lavoreranno. Essi non ne sono i padroni, ma umili strumenti di cui il signore della messe si serve. Spetta a loro il compito di annunciare la buona novella del Regno, ma solo la grazia di Dio può toccare il cuore dell’uomo e muoverlo all’ascolto e alla fede.

3. Qual è lo stile della missione cristiana? «Ecco, vi mando come agnelli in mezzo ai lupi» (Lc 10,3). L’immagine, a pensarci, è terrificante; umanamente parlando potrebbe apparire addirittura irresponsabile. Gesù può osare chiedere questo ai suoi, cioè a noi, soltanto perché il Padre ha mandato Lui stesso come l’Agnello innocente ed inerme a consegnarsi liberamente all’immolazione di croce («grazie al sangue dell’Agnello» Ap 12,11). Quindi la missione dei primi settantadue discepoli, di cui ci parla il Vangelo, così come quella di ciascuno di noi oggi, sgorga dalla sovrabbondanza dell’amore di Cristo: l’unico, vero Inviato dal Padre è Lui. Il nostro essere inviati è solo una partecipazione alla sua missione.
San Luca rivela un altro tratto caratteristico della missione cristiana – «e li inviò a due a due» (Lc 10, 1b). Essa mai è individualistica, è sempre comunitaria. Per il cristiano ciò che è personale è sempre comunitario, e viceversa.
Qui si trova il significato profondo dell’Eucaristia che stiamo celebrando. Essa è la più elevata delle azioni che l’uomo possa compiere perché lo pone in rapporto diretto con l’evento che decide la storia e la inoltra nell’eterno: la passione, la morte e la risurrezione di Gesù Cristo. Il martire, e più in generale il santo, è colui che a partire dalla celebrazione eucaristica imprime una forma eucaristica a tutta la propria vita.
Come non ricordare in proposito le figure di Leopoldo Mandic e di Anna Maria Marovic che tanto hanno dato alle terre venete?
Allora, fratelli e sorelle carissimi, celebrare San Domnio significa infondere al nostro quotidiano uno stile eucaristico. Ogni giorno uomini e donne di tutte le generazioni, di tutte le nazioni e culture vivono il loro imprescindibile rapporto con la realtà partendo dagli affetti, dal lavoro e dal riposo. Ebbene è proprio dall’interno degli affetti, del lavoro e del riposo che il cristiano è chiamato a vivere tutte le circostanze e tutti i rapporti a partire dal dono totale di sé (Eucaristia) che i martiri hanno imparato da Cristo.
Per questo trovo di fondamentale importanza l’impegno che quest’anno la vostra Chiesa ha dedicato ai sacramenti. Essi infatti altro non sono che il quotidiano aiuto che la Chiesa ci offre per vivere i diversi aspetti della nostra esistenza (la nascita, la crescita, l’amore, il peccato, il dolore, la morte) afferrati da Cristo. Se ci abbandoniamo al senso della vita che sgorga dai sacramenti facciamo già su questa terra l’esperienza del centuplo. La vita eterna si anticipa fin da ora in una maggior pienezza di umanità.

4. Incalza San Luca: «In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa! Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi» (Lc 10,5-6). E Sant’Ambrogio commenta: «Li ha inviati infatti a seminare la fede non con la costrizione, ma con l`insegnamento; non spiegando la forza del potere, ma esaltando la dottrina dell’umiltà» (Sant’Ambrogio, In Luc., 7,59.62s). Che cosa, infatti, abbiamo noi che non abbiamo ricevuto? Dall’umile gratitudine per l’inestimabile dono della fede sgorga la passione a comunicarla ai nostri fratelli uomini. Niente di più lontano da un progetto nostro da imporre! La missione del cristiano è sempre testimonianza e mai militanza.
In questa visione sta la bellezza della vostra odierna festa. Essa parla alla Chiesa e parla alla città senza confondere queste due realtà. Ci mobilita, fatte le debite distinzioni, come cristiani e come cittadini. Da più parti oggi si vorrebbe relegare la fede e ogni pratica religiosa nella sfera del privato. Non pochi intellettuali e uomini politici, soprattutto in Europa, concepiscono la laicità come uno spazio neutro entro il quale le religioni non dovrebbero avere alcuna rilevanza. Noi crediamo che questa convinzione indebolisca la società plurale di oggi. Proprio perché abitata da soggetti con diverse fedi e convinzioni è auspicabile che una società veramente laica favorisca la proposta – sottolineo: la proposta! – di come i vari soggetti che la abitano vivono i bene fondamentali, spirituali e materiali. Solo da una narrazione continua dei diversi stili di vita la società può trarre nutrimento e operare per l’edificazione di una vita buona guidata da un buon governo.
Per questa ragione ai cristiani è chiesto l’umile coraggio di proporre il pensiero di Cristo circa tutti i beni (valori) che hanno in comune con tutti gli uomini. In particolare non dovranno far mancare la testimonianza circa l’amore per Dio e per i fratelli da cui si impara l’amore per il proprio vero bene. Mostreranno con la loro vita la bellezza dell’amore nuziale tra l’uomo e la donna che a partire dal matrimonio fedele, pubblico ed aperto alla vita genera la famiglia, cellula costitutiva della Chiesa e della società. Promuoveranno la vita dal concepimento fino al suo termine naturale. Si impegneranno per la giustizia sociale, per il primato del lavoro sul capitale. Nell’ardente carità si impegneranno con il bisogno dei fratelli a partire dagli ultimi.

5. Nel 1976, l’11 settembre, il mio amato predecessore il Patriarca Albino Luciani, ora Servo di Dio Giovanni Paolo Primo, venne tra voi per celebrare il millennio del primo santuario mariano croato di Split-Solin. In quell’occasione parlò della naturale vocazione di cerniera tra i popoli propria delle nostre terre che si affacciano sulle due sponde dell’Adriatico e con notevole chiaroveggenza accennò al compito ecumenico e al rapporto con l’Islam come espressioni della missione delle nostre Chiese. Oggi questi aspetti della testimonianza cristiana sono divenuti inderogabili. E sono una dimensione decisiva della vocazione e della missione dei Dalmati e dei Veneziani.
Il Patriarca di Venezia con la sua presenza tra di voi rinnova ora in comunione con l’Arcivescovo di Split-Makarska la supplica alla Beata Vergine con le parole dell’allora Patriarca Luciani: «L’arcobaleno risplenda nel cielo della Croazia come auspicio delle benedizioni divine per la pace e la prosperità di tutto il popolo» (Rivista diocesana del Patriarcato di Venezia, Settembre 1976, 398). Amen