“Verso il G8. Strategie per uscire dalla crisi” è il tema del convegno promosso per oggi dall’Associazione Amici della Luiss presso la LUISS Guido Carli a Roma. Il titolo è affrontato sotto la prospettiva giuridica, economica e sociale. Intervengono Francesco Gaetano Caltagirone, Lorenzo Bini Smaghi, Guido Rossi, Paola Severino  e il card. Scola.  Si ripropone qui uno stralcio dell’intervento del Patriarca di Venezia, anticipato oggi da Il Sole 24 ore.

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Si è giunti all’emergenza finanziaria di oggi dopo un lungo periodo di “sonno della ragione” nel quale, pressati dall’obiettivo immediato di perseguire risultati finanziari a breve, si sono trascurate le dimensioni proprie della finanza; si è dimenticata la sua vera natura, che consiste nell’indirizzare l’impiego delle risorse risparmiate là dove esse favoriscono l’economia reale, il bene-essere, lo sviluppo di tutto l’uomo e di tutti gli uomini.

Entrambe le facce dell’attuale crisi finanziaria, l’emergenza che si è originata nei mercati sviluppati da un lato e la cronica inadeguatezza delle risorse destinate a sostenere lo sviluppo reale dall’altro, sollevano una ineludibile questione morale. Per non fare del moralismo, che tipicamente prende di mira i comportamenti altrui ma tende ad autoassolvere chi lo predica, basta ricordarci con onestà che la crisi attuale si è manifestata dopo un decennio caratterizzato dal fiorire di discorsi sull’etica degli affari e della finanza e della pratica adozione di codici etici. Questo ci dice che la dimensione etica dell’economia e della finanza non è qualcosa di accessorio e di formale, ma di essenziale. Essa nasce dall’interno di questi stessi ambiti. L’etica infatti esprime sempre un’antropologia ed una cultura. In altri termini per regolare un ambito specifico della società bisogna mettere in campo la domanda sull’uomo e sul suo essere in relazione. In un intervento “a braccio” di alcune settimane fa, il Santo Padre individuava nell’avarizia idolatra l’errore di fondo che ha portato alla crisi. Faceva riferimento all’esperienza della fragilità umana per cui la ragione è “oscurata” e la volontà “curvata” dal proprio interesse egoistico, così che non si vedono i pericoli del percorso che si sta seguendo e, nel momento della crisi, non si sa trovare la strada per uscirne.
La crisi ha dunque precise radici antropologico-culturali.

Cosa aspettarsi dal G8 dunque? Il recente rapporto elaborato dall’Ufficio Internazionale del Lavoro (ILO) “The financial and economic crisis: a decent work response” fornisce alcuni dati impressionanti sulla disoccupazione. Tra i disoccupati, molti appartengono ai gruppi sociali più deboli (lavoratori migranti, donne, lavoratori non specializzati, giovani in cerca di prima occupazione), che spesso non hanno accesso ad alcuna forma di protezione sociale. Senza sicurezza sociale, perdere il lavoro significa per queste persone scivolare sotto la soglia della povertà: si stima che tra il 40 e il 50% della popolazione mondiale non riuscirà, nel 2009, a superare la linea dei due dollari al giorno pro-capite.
Ripartire dalla “priorità del lavoro” e del soggetto del lavoro, per usare una espressione tipica della Dottrina sociale della Chiesa, offre una prospettiva praticabile per il rilancio dello sviluppo. A questo proposito, lo slogan “People First” non deve rimanere un messaggio formale. Deve invece sintetizzare la disponibilità dei paesi del G8 ad elaborare politiche che riconoscano la priorità della società rispetto allo “Stato” e al “mercato” astrattamente intesi, valorizzando la soggettività personale e comunitaria.
Persone e comunità sono infatti portatori di bisogni, ma anche di risorse concrete, individuali e comunitarie (là dove, come in Francia, si è sviluppata una più adeguata politica familiare la caduta del PIL è stata più contenuta). Essi sono, più precisamente, portatori delle risorse che tutti dicono strategiche. Si potrebbe parlare di capitale umano e sociale, ma preferisco chiarire che si tratta della capacità unica dell’essere umano di “dare un nome” alle cose e di continuare il lavoro della creazione. La Dottrina sociale della Chiesa usa l’espressione “lavoro” (e non capitale!) per esprimere questa capacità e questa vocazione uniche.
Dunque, il lavoro e soprattutto il soggetto del lavoro continuano realmente ad essere la “chiave della questione sociale”. Tutti constatano che lo sono in negativo, perché la crisi finanziaria ha cancellato molti posti di lavoro e non cessa di metterli in pericolo; ma lo sono anzitutto in positivo, perché il lavoro ed il soggetto del lavoro esprimono l’essere dell’uomo “per” e “con” gli altri, che solo può realizzare una uscita sostenibile dall’insicurezza e dalla povertà.

Forse pochi sono disposti a credere che, anche nelle circostanza faticose del presente, la questione cruciale sia il significato del lavoro per la singola persona. In particolare il fatto che il lavoro sia “per” e “con” gli altri.
Ce lo dimostra, sia pure in negativo, la crisi finanziaria. Si è “prestato” e “preso a prestito” dentro un quadro di transazioni anonime, percepite come temporanee, confidando nel mercato come via di fuga; si facevano i propri affari “in libertà”, cioè in assenza di legami stabili. Bene, ora abbiamo la prova provata che la “libertà” di comprare e vendere rischi finanziari su mercati anonimi, senza legami, è stata davvero fatale: non avendo scelto di chi fidarsi, ci si è trovati in balìa di un meccanismo collettivo intrinsecamente instabile.
Per uscire dalla crisi, dunque, abbiamo bisogno di ricostruire legami, “reali” e finanziari; di mobilitare l’energia e il dinamismo del lavoro umano. Abbiamo bisogno di lavoro e finanza “creativi”, ma nel senso buono del termine: che guardino al futuro, che si esprimano in patti tendenzialmente durevoli, capaci di resistere all’incertezza del domani, che sappiano intravedere occasioni, che realmente generino ricchezza e benessere.
In questo quotidiano lavoro dei soggetti personali e comunitari, il G8, i governi e le istituzioni internazionali possono fornire un importante appoggio: con interventi di sostegno temporaneo che restituiscano alle persone la possibilità di ripartire; e con riforme sociali che non siano nemiche della libertà, ma concorrano a favorire la costruzione dal basso di legami “buoni” e “giusti”.

Nella costruzione di rinnovati e forti legami e nella loro progressiva istituzionalizzazione (imprese, Stato, mercato) ogni realizzazione sarà necessariamente provvisoria.
Per questa ragione, occorre dare una decisiva importanza al lavoro educativo: per progredire, per innovare è necessario educare; non ci sarà innovazione se l’educazione non sarà rimessa al centro delle preoccupazioni delle persone, delle famiglie, dei corpi intermedi, di tutta la società civile, quindi dello Stato stesso e di tutte le istituzioni sovranazionali.
Nessuna strategia, infatti, potrà mai bastare da sola a generare una soluzione radicale e definitiva ai problemi della crisi. Ma nessuno – in particolare i governi dei grandi paesi – si dovrà tirare indietro rispetto al lavoro di individuare soluzioni almeno provvisorie.
Perché da subito è indispensabile investire risorse adeguate per favorire un circolo virtuoso tra innovazione, cultura ed educazione.

+Angelo Card. Scola
Patriarca di Venezia