In un articolo pubblicato oggi su Il Giorno il cardinale Scola riflette sulla figura di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II proclamati santi: «Mi piace rilevare un elemento comune ai due grandi pontefici, che chiamerei “stile pastorale”. La parola “pastorale” è un po’ ostica perché sa di ecclesialese, ma il suo significato è semplice ed immediato: pastorale è tutto ciò che testimonia come Cristo morto e risorto per noi uomini e per la nostra salvezza va all’incontro di ogni persona che non si chiude deliberatamente al Suo invito».
«Gli stili di vita dei santi sono proposti non solo per la loro elevatezza di rango, ma per la loro efficacia storica» (Balthasar). Questa affermazione del celebre teologo basilese spiega il grande gesto che oggi si compie in Piazza San Pietro.
I santi sono uomini e donne riusciti, che vengono proposti in maniera autorevole dalla Chiesa come regola vivente per donne e uomini che affrontano la grande questione del senso (significato e direzione) del loro vivere.
Molto si è detto e scritto in questi giorni sulle due grandi figure di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, del loro diverso stile (e lo stile è l’uomo), del loro modo di interpretare il ministero petrino, del loro apporto alla vita della Chiesa, del loro influsso sulla storia del mondo. Non sono mancate letture “politiche” sia di ognuna delle due figure, sia della scelta di canonizzarle insieme.
Cosa aggiungere ancora a tanta mole di parole? Personalmente mi piace rilevare un elemento comune ai due grandi pontefici, che chiamerei “stile pastorale”. La parola “pastorale” è un po’ ostica perché sa di ecclesialese, ma il suo significato è semplice ed immediato: pastorale è tutto ciò che testimonia come Cristo morto e risorto per noi uomini e per la nostra salvezza va all’incontro di ogni persona che non si chiude deliberatamente al Suo invito.
Così per papa Roncalli stile pastorale significa che la sua azione parte sempre da una paternità capace di esaltare il positivo in ogni situazione, senza mai transigere sui principi. La sua fu una pratica ecclesiale armonica, sempre rinnovata secondo le circostanze, della leale adesione alla Tradizione ecclesiale appassionata del bene del popolo. Un papa libero, capace di gesti originali. La stessa indizione del Concilio mi sembra una straordinaria conseguenza di questo suo “normale” modo di sentire cum Ecclesia.
Papa Wojtyla, dal canto suo, praticò lo stile pastorale come indomabile tensione a interpretare il desiderio costitutivo del “cuore” dell’uomo. L’ho più volte definito “il papa della libertà”. Il numero imponente dei suoi viaggi in tutto il mondo, l’insegnamento a tutto campo dalla Redemptor hominis fino all’Evangelium vitae, l’invenzione delle Giornate Mondiali della Gioventù, la devozione alla Vergine, la decisione di elevare alla santità un gran numero di varie figure di cristiani riusciti, la modalità di portare la sofferenza nell’attentato e negli ultimi anni della sua vita, altro non erano se non la modalità umile, delicata e lieta di proporre alla libertà dell’uomo la bellezza del volto di Cristo come condizione di felicità. A soli 19 anni Wojtyla scrisse un inno intitolato “Magnificat” che mi pare una profezia di tutta la sua esistenza. Vi si possono leggere i seguenti versi: «Tu sei il più stupendo intagliatore di santi…/io sono un giovane crinale roccioso del Tatra…/la mia felicità Ti esalta perché hai permesso al mio volto di tuffarsi nell’azzurro,/perché hai fatto piovere nelle mie corde la melodia».
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II papi della libertà.