PAPA BENEDETTO XVI A VENEZIA – Viene proposta qui di seguito un’intervista al Patriarca pubblicata da Gente Veneta:

Il dono di Benedetto XVI, che il 7 e 8 maggio 2011 sarà ad Aquileia e a Venezia, consisterà nel confermarci nella fede. Cioè nel rendere più forte e saldo il nostro credere in Cristo.
Lo sottolinea il Patriarca, mettendo in evidenza come il viaggio papale sarà davvero un grande dono, e non solo per la Chiesa veneziana, ma per tutte le Chiese del Nordest, che sabato 7 ad Aquileia e poi domenica 8 con la messa nel parco di San Giuliano a Mestre, si incontreranno attorno al pastore della Chiesa universale: «Sarà un grande evento per tutto il popolo».

Eminenza, perché il Papa viaggia e visita le sue Chiese?
I viaggi hanno una motivazione intrinseca al ministero di Pietro, che si può riassumere nell’espressione evangelica “conferma i tuoi fratelli”. Lo si è visto molto bene fin dal primissimo viaggio a Loreto di Giovanni XXIII quando, ad ogni stazione in cui il treno neppure si fermava ma solo rallentava, c’erano folle sterminate a salutarlo; e poi su su fino ai viaggi di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e agli ultimi di Benedetto XVI in Inghilterra e a Palermo.

I tempi e il mondo sono cambiati; con essi anche la modalità dell’incontro del Papa con i fedeli?
Sì, siamo entrati in una civiltà della mobilità, e il fatto che il Papa si rechi a visitare le Chiese rende il suo ministero petrino più efficacemente credibile. Perché, pur essendo per sua natura un ministero legato alla Chiesa romana, purtuttavia è universale. E la presenza fisica del Papa fa percepire a tutti questa universalità.

Accanto a ciò, la visita del Papa accompagnerà il cammino delle diocesi nordestine verso il secondo convegno ecclesiale di Aquileia, che si terrà nel 2012, e coinciderà con la fine della Visita pastorale alla nostra diocesi. Come si legano questi eventi?

Queste due circostanze si legano perché, secondo la logica dell’Incarnazione, sono guidate dalla mano della Provvidenza. Ma esse non sono il motivo primo della visita, entrano in seconda battuta e sono la forma attraverso cui il successore di Pietro si prende cura della fede delle donne e degli uomini del Nordest. Non possiamo limitarci a dire che il Papa viene per la Visita pastorale o per il convegno di Aquileia. Il Papa viene per la sua missione. E noi lo abbiamo invitato per questo e gli siamo quanto mai grati di aver accettato l’invito. Alla luce di questo, certamente per noi veneziani, la visita di Benedetto XVI svelerà il significato pieno della visita pastorale.

Rispetto appunto ad essa, cosa auspica potrà sottolineare il Papa?
La Visita pastorale ha mostrato, contrariamente ad alcuni pregiudizi un po’ queruli, due dati fondamentali: il primo che la comunità dei cristiani è vitale e capillarmente presente in tutto il territorio del Patriarcato, il secondo che si appartiene ad essa sempre più per convinzione e sempre meno per convenzione. Certo la presenza cristiana è segnata dalla post-secolarità, quella che il filosofo canadese Taylor chiama “secolarizzazione 3”. Essa significa che per molti ormai la fede è legata ad una scelta individuale come un’opzione tra le altre. Ciononostante le nostre comunità cristiane, pur delimitate, sono vive e dinamiche. E la conferma di questo si vede soprattutto nell’eucaristia domenicale, che sarà il cuore della visita del Papa tra di noi.

E per quanto riguarda il secondo aspetto, il passaggio dalla convenzione alla convinzione?
Occorre rilevare che non c’è una riduzione nella pratica domenicale rispetto al 1985, dato che abbiamo verificato in termini abbastanza rigorosi. Ma in complesso si vede che la partecipazione alla vita della comunità cristiana oggi è sempre meno legata ad automatismi tradizionalistici. La novità è che chi si coinvolge nella vita della comunità parrocchiale o delle aggregazioni ecclesiali lo fa per decisione consapevole: vuole appartenere a Cristo, vuole fare l’esperienza di umanità rinnovata avendo Cristo come via alla verità e alla vita, e così lo comunica spontaneamente in tutti gli ambienti che frequenta.

Ma la presenza del Papa potrebbe essere punto di partenza per un’accelerazione?
Sì, la sua presenza genererà una spinta decisiva su un punto che oggi appare fondamentale: senza un’esperienza vitale di appartenenza a Cristo attraverso una comunità sensibilmente espressa e aperta a 360°, è sempre più difficile vivere un’esperienza cristiana. Qui la Sosta pastorale ha solo dissodato il terreno, ha insinuato che questo è il passo da compiere. Si apre ora un tempo di lavoro avvincente.

Verso quale consapevolezza è bene andare?
La persona che individualmente va in chiesa la domenica e che poi non partecipa ad una vita comunitaria – che deve essere molto semplice e non un gruppo chiuso in se stesso – rischia di non reggere. Analogamente la parrocchia intesa come insieme di gruppi che si prodigano in iniziative o servizi, ma poi si ignorano fra di loro e non vivono la ragione profonda dei loro pur generosi impegni, non ha futuro. Perciò bisogna approfondire l’appartenenza a Cristo – il “per chi” noi viviamo – dentro alla comunità cristiana. E questo implica la disponibilità a mettere il tutto prima della parte. Anche da questo punto di vista la presenza del Papa, pastore della Chiesa universale, sarà l’espressione concreta del fatto che noi tutti apparteniamo anzitutto alla Chiesa universale, la quale vive nella Chiesa particolare che si articola nelle parrocchie e nelle aggregazioni. Dobbiamo fare un salto di qualità senza perdere la capillarità e tuttavia riuscendo a far brillare il tutto nel frammento. Risponde a questa esigenza l’indicazione di attuare le comunità pastorali, di rivalorizzare il patronato, di trasformare l’iniziazione cristiana attraverso le comunità educanti, di riscoprire la dimensione della cultura, del gratuito, della presenza cristiana nei vari ambienti di vita…

La visita del Papa potrebbe risultare per molti un’emozione passeggera, del tipo “l’ho visto, c’ero anch’io quel giorno”. E’ da mettere nel conto, è fisiologico? Cosa mettere in atto perché accada il meno possibile?
Non si tratta di mettere in atto delle strategie, ma di andare a fondo del fattore decisivo dell’esperienza cristiana: la testimonianza. In un certo senso il cammino della Visita pastorale è stato una grande preparazione a questo gesto. Ora avvieremo una preparazione immediata della visita del Santo Padre in due tappe, da qui alla Quaresima e dalla Quaresima al 7 maggio, proprio per aiutarci tutti a vivere l’evento non solo come un’emozione straordinaria, ma nel suo pieno significato. Che è questo, lo ripeto: Pietro viene a confermare i fratelli nella fede e invita ciascuno ad un coinvolgimento stabile con la vita di Cristo dentro la Chiesa. Da qui la testimonianza permanente. La modalità è questa e solo questa: seguire Cristo e comunicarlo – come il Papa ci ha detto nella Caritas in Veritate – è il modo più conveniente per affrontare la propria umanità e per stare dentro il quotidiano. La venuta del Papa non va intesa come un gesto magico, ma come una perla preziosa, come il dono che Benedetto XVI ci fa e dal quale tutti i fratelli battezzati potranno trarre grande frutto.

(a cura di Giorgio Malavasi)