Ecco l’omelia pronunciata dal Patriarca Card. Angelo Scola in occasione dell’ordinazione del Presbitero Don Piotr Michal Mikulski e del Diacono, Paulo Silvestre Batista Sales nella Basilica Patriarcale di San Marco Evangelista.

 

In visita pastorale

Carissimi,

oggi voi tutti – familiari, parenti, amici, conoscenti, membri della Chiesa di Venezia e di quella di Radom, parrocchiani di Eraclea e della Comunità Pastorale del Lido, partecipanti al Cammino Neocatecumenale – vi unite, in questa Basilica Cattedrale, al Patriarca, a tutto il presbiterio veneziano e alla Comunità seminaristica – in particolare al Rettore, al Padre spirituale e ai Superiori – per partecipare all’ordinazione presbiterale di don Piotr che si è impegnato ad esercitare fedelmente il suo ministero nella nostra Chiesa veneziana e a quella diaconale di Paulo, che si è preparato nella nostra Chiesa per essere, in futuro, presbitero della Chiesa di Castanhal in Brasile. Ecco un bel segno della grande tradizione cattolica ed universale della nostra Venezia.

Due mondi, due culture, la terra gloriosa di Polonia e il subcontinente brasiliano sono qui convenuti per dilatare i confini della nostra Venezia e contribuire così al rinnovamento della grande storia universale di Venezia.

Nella Prima Lettura il Signore dice a Mosè: «Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò» (Dt 18,18). Dio ha definitivamente adempiuto questa promessa fatta a Mosè mandando Suo Figlio nella carne per la salvezza degli uomini. È una promessa che non viene mai meno. Ne è segno palese l’azione eucaristica che stiamo compiendo, nella quale è incastonata la perla preziosa di un’ordinazione presbiterale e di una diaconale. Don Piotr e Paulo sono scelti per il ministero ordinato proprio per rendere presente l’antica promessa nell’oggi della storia. Chi è il profeta? Colui di cui Dio si serve per comunicare al popolo la sua verità e la sua volontà. La storia della salvezza è segnata dalla missione dei profeti, cioè di coloro che “parlano in nome di Dio”.

Al tempo di Gesù l’opinione prevalente era che la profezia si fosse ormai estinta, ma i giudei aspettavano il Messia come un nuovo Mosè ed un perfetto profeta. Su questo sfondo comprendiamo la sorpresa degli ascoltatori di Gesù di cui ci parla il Vangelo: «Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1, 22).

La profezia non si era dunque estinta: nel mondo era giunta la Parola stessa di Dio fatta carne. Gesù che parla a nome di Dio è più che un profeta: «Io so chi tu sei: il santo di Dio!» (Mc 1,24). Lo spirito impuro infatti non lo chiama profeta, ma usa un’espressione che allude esplicitamente al Messia. Lo chiama “santo di Dio”. Gesù è colui che appartiene totalmente al Padre.

 

2. Carissimi, il sacramento dell’Ordine ci conforma a Cristo in questo Suo lasciarsi possedere totalmente dal Padre. Agostino, commentando l’affermazione di Gesù contenuta in Gv 7,16: «La mia dottrina non è mia, ma di Colui che mi ha mandato» scrive: “Il mio è il non-mio” (In Io. Evang. Tractatus, 29,3 ). Qui sta il segreto della vita.

Tu che diventi presbitero, tu che diventi diacono, impara la grande strada che compie la tua umanità attraverso l’amore oggettivo: “Il tuo è il non-tuo”. Paradossalmente, come rivela in pienezza il mistero irripetibile della Croce, qui si realizza il più radicale possesso. Nel totale abbandono al Padre, nel lasciarsi possedere da Lui, ogni cosa viene autenticamente posseduta. Colui che è la fonte di ogni paternità perché è la fonte della divinità, Colui che fa essere ogni cosa, trattiene ogni cosa nel tenace vigore del Suo abbraccio di misericordia. Se dono a Lui la mia vita in ogni suo aspetto, la ritrovo. Veramente se imparo a dare del Tu a Dio posso dire in pienezza e libertà: “Il mio è il non-mio”.

Vi auguro, carissimi Paulo e don Piotr, come lo auguro a tutti noi qui riuniti, che con la grazia di Dio, ogni giorno della vita sia occasione di crescita secondo questa logica dell’amore effettivo. In ogni caso questa è la sorgente perenne del ministero ordinato. Esso sarà fra poco efficacemente descritto dal Prefazio: «Tu vuoi che nel suo nome rinnovino il sacrificio redentore, preparino ai tuoi figli la mensa pasquale e, servi premurosi del tuo popolo, lo nutrano con la tua parola e lo santifichino con i sacramenti».

 

3. Diaconi e presbiteri sono chiamati ad offrire la loro vita per il bene degli uomini loro affidati. Ciò domanda una condizione. Esige un cuore indiviso che sappia amare Dio sopra ogni cosa e il prossimo come se stessi. Per questo chiederò a Paulo tra poco: «Tu che sei pronto a vivere nel celibato: vuoi in segno della tua totale dedizione a Cristo Signore custodire per sempre questo impegno per il regno dei cieli a servizio di Dio e degli uomini?»

è lo stesso cuore indiviso che San Paolo raccomanda ai cristiani di Corinto: «Fratelli, io vorrei che foste senza preoccupazioni» (1Cor 7,32). Senza pre-occupazioni: non vuol dire impossibile fuga dalle responsabilità e dalle fatiche del vivere, ma significa appunto un cuore libero, perché mette prima l’amore del Signore ed affronta tutte le occupazioni richieste dalla vocazione e dalla missione, vivendole però nell’orizzonte luminoso di questo amore.

Carissimi, il cuore indiviso non deriva certo da una capacità nostra, ma dal mistero dell’elezione, dal dono dello Spirito che con l’ordinazione scenderà su di voi. Il silenzio assoluto con cui tutti accompagneremo il gesto dell’imposizione delle mani farà spazio all’incontro mirabile tra la libertà di Dio che vi sceglie nello Spirito del Risorto, prendendovi al Suo servizio, e la vostra libertà che risponde con adesione lieta, senza riserve.

 

4. Interrogando don Piotr dirò: «Vuoi essere sempre più unito strettamente a Cristo Sommo Sacerdote che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme a lui per la salvezza degli uomini?» È il mistero esaltante e drammatico della totale conformazione a Cristo, Colui che nello stesso tempo è sacerdote, vittima ed altare. Tale mistero ha il suo culmine nell’Eucaristia che ogni giorno ogni sacerdote è chiamato a celebrare in persona Christi capitis. «L’Eucaristia diventa così una scuola di vita… Occorre imparare giorno per giorno che io non possiedo la mia vita per me stesso. … Donare la vita, non prenderla. È proprio così che facciamo l’esperienza della libertà. La libertà da noi stessi, la vastità dell’essere» (Benedetto XVI, Ordinazioni presbiterali della Diocesi di Roma, 7 maggio 2006). L’esperienza dell’amore, infatti, quando è autentica, introduce nella vastità dell’essere in cui la nostra persona respira a pieni polmoni (il nostro cuore è fatto per l’infinito) crescendo nel cammino della santità, cioè della piena riuscita di sé.

Il primo ambito in cui questa esperienza del bell’amore viene ad un tempo custodita e verificata è la comunione coi fratelli sacerdoti nell’unico presbiterio. Un luogo di fraternità reciproca e perciò di vera amicizia, in cui ciascuno sa di poter essere retto, sorretto e corretto lungo tutta la sua vita. Il vincolo di questa comunione è l’obbedienza che fra poco prometterete al Vescovo. Sarà in particolare obbedienza al suo magistero fatta di ascolto fecondo, di studio e di attenzione ad attuarlo pastoralmente. Lo Spirito che scenderà su di voi vi illumini sempre perché possiate imparare che obbedienza è virtù sommamente conveniente perché esalta la libertà ordinandola efficacemente alla santità della vostra vita.

 

5. Carissimi don Piotr e Paulo, l’ordinazione vi renderà partecipi, in forma eminente e singolare, della carità di Cristo. Perché «l’essere in comunione con Gesù Cristo – come afferma il Papa nella Spe salvi – ci coinvolge nel suo “essere per tutti”, ne fa il modo del nostro essere» (Benedetto XVI, Spe salvi, 28). Da questo grembo, eucaristicamente nutrito, si accenderà in voi il fuoco di quella carità pastorale per i nostri fratelli uomini spesso disorientati nel vivere affetti, lavoro e riposo a cui pure, per l’impegno quotidiano con l’esistenza, non possono sottrarsi. Penso in modo particolare al rispetto per la vita dal concepimento fino al suo termine naturale che, come ci ricordano i Vescovi italiani in occasione della XXXI Giornata per la vita che celebreremo domani, non perde la sua forza anche dentro la sofferenza.

Nell’attuale travagliata, ma affascinante temperie di “disagio della civiltà”, anche grazie al sì che ora pronunciate alla chiamata di Dio, i nostri fratelli uomini potranno trovare nelle nostre parrocchie e nelle nostre aggregazioni luoghi in cui vivere legami di comunione solidi, gratuiti, fecondi e fedeli; potranno incontrare testimoni di una paziente, indomabile capacità di edificazione perché continuamente rigenerati dal dono della Sua misericordia.

Maria, la Madre tenerissima, custodisca ogni giorno le vostre libertà nella fedeltà al sì che oggi pronunciate, per la vostra felicità e per la salvezza del mondo. Amen.