Santa Messa per i Defunti

Lecco, Basilica di San Nicolò

23 giugno 2022 ore 21

Giovedì II Settimana dopo Pentecoste

Es 35,1-3; Sal 117 Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre; Lc 5,36-68 

Omelia del Cardinale Angelo Scola

 

  1. «Ascolta, o Dio d’amore, le nostre suppliche con le quali invochiamo la tua misericordia sui nostri fratelli… perché ottengano la libertà eterna con i santi nella Chiesa del cielo» (Orazione all’inizio dell’Assemblea liturgica). Questo frutto è la vita eterna nella sua pienezza, comunione con la Trinità. Facciamo perciò nostra l’invocazione del salmista: «Il tuo volto Signore, il tuo volto io cerco, non nascondermi il tuo volto» (Sal 27,1-8). È questo un grido di preghiera tanto più necessaria oggi di fronte alle due calamità che non cessano di minacciarci. La guerra, i cui esiti non sono neanche lontanamente concepibili per il momento, e la pandemia, che sembra tutt’altro che debellata.

Cerchiamo il volto del Signore e Lo preghiamo perché ce lo manifesti. Vogliamo essere già in qualche modo nella condizione in cui i nostri cari si trovano. Per questo dobbiamo lentamente, col passare del tempo e con la supposta maturazione che il trascorrere degli anni dovrebbe portare, comprendere bene che noi non abbiamo due vite come siamo tentati di pensare: una vita quaggiù su questa terra e una vita eterna. No. La nostra unica, singolare persona incomincia quaggiù la vita che però è destinata a fiorire nell’eternità.

  1. Dirà il Prefazio: «Il Signore Gesù, tuo Figlio e nostro salvatore, ha vinto le forze del peccato e della morte perché coloro che muoiono confidando in lui, con lui risorgano nel giorno che non ha tramonto, nella gioia che ignora il pianto, nella vita che non ha termine…». Perciò, continua la preghiera, cantiamo la nostra gioia perché pur attraverso il dolore della perdita dei nostri cari, di cui questa sera facciamo memoria, siamo nella speranza certa che essi già sperimentano questa sicura pienezza a cui siamo destinati anche noi.
  2. C’è però una condizione da adempiere perché questa speranza certa alimenti la nostra fede, il nostro senso e il nostro gusto della vita e ci faccia accettare i lati chiari e i lati oscuri della medesima. E questa condizione ce l’ha indicata il santo Vangelo. Non mettete pezze del vestito nuovo sul vecchio, perché di fatto li perdereste tutt’e due… Non versate del vino nuovo in otri vecchi: si spaccherebbero, andrebbe perduto il vino e anche gli otri.

Il contesto in cui Gesù fa questi due stimolanti paragoni è probabilmente quello dopo l’incontro con Matteo (Levi) durante un banchetto a casa di lui stesso. Tende a colpire la tentazione di ritornare ad antiche e superate tradizioni giudaiche.

Gesù vuol dire che ciò che incomincia con Lui, inviato dal Padre per redimerci, è un nuovo che non può essere adattato a ciò che c’era già stato prima.

Ma possiamo anche interrogarci – sempre a partire da questo duplice paragone –- sulla situazione attuale, quella che noi viviamo. Noi non siamo tentati di tornare ad antiche e superate tradizioni giudaiche, però questa nostra società di cui anche noi siamo parte e alla quale anche noi spesso contribuiamo non solo nelle sue tendenze positive ma anche in quelle negative, mostra più che una tentazione, mostra una caduta in una sorta di neopaganesimo. Una cultura generale, soprattutto in occidente e nei popoli di grande tradizione cristiana, in cui i fattori costitutivi della persona e della vita – gli affetti, il lavoro e il riposo – sono vissuti secondo i criteri mondani dell’utile e del piacere.

Affetti, lavoro, riposo sono invece i luoghi della nostra verità umana e cristiana e così chiedono di essere vissuti. Una verità che deve essere testimoniata. Per usare una acuta espressione del cardinal De Lubac – «bisogna evitare la mondanizzazione della fede e, quindi, della Chiesa».

Anche l’avvenimento dell’Eucaristia può essere ridotto a una forma di pietasreligiosa, individuale, e perdere così la sua potenza di attuazione della presenza dell’evento di Cristo. Ma un evento si comunica solo attraverso un altro evento, altrimenti si perde. La fatica che la Chiesa sta facendo, e speriamo possa trovare qualche rimedio nel Sinodo, la sta facendo proprio su questo dato. Mondanizziamo la fede. Sarebbe lungo ricostruire il processo che ci ha condotto qui ma è sufficiente averlo accennato.

La mondanizzazione della fede è una riduzione dell’evento salvifico di grazia che è Gesù Cristo e la Chiesa come luogo dove noi Lo possiamo incontrare come Dio vivo ad un dio astratto. Tutti gli uomini che, presto o tardi, si interrogano sul senso della vita – quelli almeno che sono più realisti – giungono a dire che dio o qualcosa di simile c’è, ma non è questo il dio che salva. È un dio dei miei pensieri, delle ideologie dominanti… Il Dio che salva è il Dio vivo, il Dio vivo è Gesù.

  1. Celebriamo quindi questa Eucarestia per i nostri cari recuperando questa coscienza. Questo tempo neopagano deve essere vinto dalla testimonianza cristiana negli affetti, nel lavoro e nel riposo, cioè nella carne vitale della nostra esistenza.

Perciò la vera memoria che possiamo fare dei trapassati è la preghiera, soprattutto attraverso la Madonna, in particolare attraverso il santo rosario come ci hanno insegnato le generazioni credenti che ci hanno preceduto. E un permanente contatto con coloro che ci hanno preceduto all’altra riva. Questo ci insegnerà una verità fondamentale: come non esistono due vite, una vita qui e una vita là, ma una sola, così non esistono due comunità.

Con i nostri trapassati noi siamo un’unica e sola vivente comunità.