Continua, anche nel mese di aprile, la collaborazione del cardinale Angelo Scola, con il «Messaggero di sant’Antonio». Ogni mese si rivolgerà ai lettori della rivista parlando di vita buona, riallacciandosi all’omonimo libro-intervista con il giornalista Aldo Cazzullo.
Che fine hanno fatto pudore e castità? A sentir parlare molti giovani, sembrerebbero scomparsi. Però, , sotto sotto, tutti i ragazzi ambiscono al bell’amore, capace di coniugare corporeità, sentimento e ragione.
Angelo Scola
A Venezia non è difficile, in questo periodo, trovarsi sommersi da torme di ragazzini in libertà e sentirli parlare: ce n’è da riempire il vocabolario del turpiloquio. Le espressioni e i termini più gettonati sono quelli a sfondo sessuale, ma in questo non c’è molto di nuovo sotto il sole: anche ai nostri tempi era così. La novità è che non di rado, quanto a crudezza e volgarità di linguaggio, le ragazze superano i ragazzi. Anche in questo campo la famosa differenza si è assottigliata, fino a sparire, addirittura a essere ribaltata! II pudore e la castità sono definitivamente superati, tramontati per sempre? Eppure ho ancora negli occhi lo spettacolo sorprendente di centinaia e centinaia di giovani che un anno fa, a Mestre, hanno sfilato ininterrottamente per due giorni davanti all’urna di Maria Goretti, tanto che si è dovuto lasciare aperta la chiesa fino a tarda notte. Una folla attirata da quella bambina di dodici anni che si è lasciata uccidere per custodire il tesoro della sua castità. E non erano i novizi di un convento, ma studenti qualsiasi… Gli stessi che la sera hanno gremito la chiesa e si sono fermati più di due ore a dialogare con me sul tema: «Amore, affettività, sessualità e… Maria Goretti».
«Certo che perdono ad Alessandro! E lo voglio accanto a me in Paradiso». «Ragazzi, pensate che intensità affettiva, che maturità nell’amare in queste parole di Marietta morente. Altro che sessuofobìa!» ho detto loro. E loro, colpitissimi, che volevano capire. La castità non è la virtù del divieto. Quando la Chiesa invita a evitare rapporti prematrimoniali, a non «svendere» il proprio corpo, a non svincolare la sessualità dall’amore e dalla responsabilità propone un di più, un positivo. Mi chiede di fare sul serio con la mia persona e con quella dell’altro. Di essere «signore» (dominus, dicevano i latini), veramente padrone del mio io, della mia vita e delle relazioni. Non esiste un istinto sessuale indifferenziato per gli uomini e per gli animali. Anzi, per l’uomo non si deve nemmeno parlare di istinto: vi pare che gli animali mangino come mangiamo noi? Perché, allora, «no» ai rapporti pre-matrimoniali? Qual è la convenienza di tale rinuncia? È un mettere il carro davanti ai buoi! Possedersi carnalmente quando non ci si appartiene in modo stabile infragilisce l’amore e la persona stessa. Il sesso fuori dal matrimonio è una specie di «furto». Solo il patto matrimoniale è così forte da giustificare (cioè rendere giusta di fronte a Dio e agli uomini) anche l’unione corporea. Essa infatti produce un legame potente, perché il corpo parla un linguaggio che va al di là delle intenzioni coscienti dei partners. Il significato oggettivo del sesso è più importante di quello soggettivo. Il nesso tra «per sempre» e «unione sessuale/corporea» è oggettivo. Non l’hanno inventato i preti.
Un’ultima cosa molto importante. Le ragazze in questo campo hanno una carta in più: maturano prima e si rendono conto molto prima dei ragazzi che non si può separare il corpo dal resto (sentimento e ragione) dell’io. Perciò sono le custodi del bell’amore. Giovanni Paolo II lo chiamava il «genio femminile». Questo affida loro un affascinante compito e una grande responsabilità. Il «pudore», rifiutando di svelare ciò che deve rimanere nascosto, preserva l’intimità della persona. Aiuta sguardi e gesti a essere conformi alla dignità delle persone e della loro unione.
Certo, non dobbiamo nasconderlo: il bell’amore non è a buon mercato. Implica sempre la «strana necessità del sacrificio». Ma il sacrificio non annulla il possesso, anzi, è la condizione che lo potenzia. Il puro piacere, infatti, non è autentico godimento, tant’è vero che finisce subito. E se resta chiuso in se stesso, lentamente annulla il possesso, lo intristisce, lo deprime. Mi colpisce il fatto che ogni volta che dico queste cose ai giovani incontro più sorpresa che obiezione.
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