Continua la proposta estiva attraverso la quale verranno forniti spunti di riflessione quotidiani secondo cinque diversi filoni tematici: Visita pastorale, Oasis 2011, Libri per l’estate, Film e Il Papa a Nordest.

Il giovedì  sarà il giorno dedicato a “Oasis 2011”. Attraverso interventi ed interviste, verranno riproposti i temi che la rete internazionale di Oasis ha affrontato nei giorni di incontro del Comitato Scientifico che si è svolto dal 20 al 22 giugno scorso a Venezia (isola di San Servolo).

Che cosa sta succedendo in Medio Oriente e Nord Africa? Sta nascendo una soggettività sociale e politica nuova? Dove arriverà l’onda lunga della protesta? In questa rivoluzione in atto quale sarà il futuro delle minoranze cristiane? E quale la ricaduta in Occidente?

Queste sono solo alcune domande dalle quali ha preso avvio l’intenso programma dei lavori, caratterizzato non solo dalla presenza di relatori di livello internazionale, tra i maggiori esperti di queste tematiche, ma anche dalla voce di testimoni diretti di quel che sta realmente accadendo nei Paesi investiti da questi fermenti rivoluzionari.

Viene qui riproposto l’intervento di apertura del Card. Angelo Scola:

 

Comitato scientifico Oasis 2011

Beatitudine Eminentissima,

Eccellenze Reverendissime,

Chiarissimi Professori,

Cari amici di Oasis, 

un anno fa, di questi tempi, il nostro sguardo spaziava dalla Casa di Notre Dame du Mont verso la montagna libanese da un lato e la costa dall’altro. Se ora fossimo trasportati dalla nostra laguna veneta a quelle terre, quanto mutato ci apparirebbe il paesaggio umano, pur nell’apparente continuità della natura! E se questo vale per il Libano o per la Giordania che ospitò la nostra riunione del 2008, quanto più lo si potrebbe affermare per la vicina Siria, per la Tunisia o per l’Egitto, dove Sua Beatitudine il Cardinal Naguib, che ringrazio per la Sua presenza quest’oggi tra noi, ci accolse nel 2006, fresco d’elezione alla cattedra marciana d’Alessandria. Medio Oriente[1] verso dove? La domanda s’impone da sé e rimbalza senza sosta nei media. Se non vogliamo che sia solo il flusso delle immagini, la cronaca spesso confusa, o il temperamento di ciascuno, nelle molteplici gradazioni d’ottimismo e pessimismo, a determinare la risposta, è ben chiaro che ci attende un grande lavoro. Lo abbiamo iniziato attraverso i contributi che alcuni di voi hanno inviato in questi mesi per la newsletter e per la rivista. Vi dedichiamo ora il nostro incontro plenario annuale, arricchito dalla presenza di qualificati ospiti.

 

1. Laicità e nuova laicità

Se il titolo del convegno evoca le grandi manifestazioni che hanno ritmato, lungo la riva meridionale del Mediterraneo, il volgere del 2010 e la primavera del 2011, l’aggiunta della “laicità” sembra rimandare piuttosto a un tema accademico e dichiaratamente occidentale, certo rintracciabile come posizione di alcuni gruppi minoritari che si sono uniti alla contestazione, ma non identificabile, se non a prezzo di un’evidente forzatura, come il motore di tali movimenti. Anzi, si può osservare come un’eccessiva focalizzazione sulla dicotomia laici/fondamentalisti, in parte interiorizzata anche dagli stessi analisti locali, abbia in passato ostacolato la comprensione dei fermenti di rinnovamento che sono poi clamorosamente esplosi agli inizi di quest’anno. L’auto-presentazione di parecchi Stati mediorientali come “in cammino verso la laicità”, unita a una retorica delle riforme, è spesso servita per mascherare derive autoritarie.

In questo quadro sostanzialmente statico sono tuttavia intervenute le rivolte popolari: l’ “imprevisto nordafricano”. Già solo se partissimo da Venezia con una più chiara comprensione della sua esatta dinamica, avremmo ottenuto un risultato notevole. Da osservatore non specialista, ma che dall’amicizia con molti di voi riceve spunti di riflessione, sono rimasto colpito dalla grande rilevanza assunta fin da subito dal tema economico e dei diritti sociali. Le rivolte sono scoppiate in contesti di deprivazione, in ambito giovanile, e una delle richieste ricorrenti è stata quella del lavoro. Il riflesso sulle società europee, travagliate anch’esse dalla crisi, è stato quasi immediato, con un riacutizzarsi dei flussi migratori, accompagnati da tensioni. Molti analisti sono però dell’opinione che l’onda d’urto debba ancora venire. Dietro il Maghreb infatti premono le popolazioni dell’Africa sub-sahariana, che non di rado versano in condizioni di vita insopportabili[2]. Un giro d’orizzonte minimamente onesto e realistico esclude così l’idea che si possa continuare senza intervenire radicalmente sull’attuale sistema economico. Non è soltanto una questione etica, come spesso si sente ripetere in alcuni ambienti; è proprio un’impossibilità pratica. E non sarà un caso se il Santo Padre ha creduto necessario dedicare un’enciclica all’elaborazione di una nuova ragione economica. Non va neppure sottovalutato come lo spostamento fisico dei migranti renderà sempre più inevitabile parlare in Europa di un vero e proprio meticciato. La categoria che – oggi dobbiamo riconoscerlo – aveva una certa carica provocatoria e profetica anche perché lasciava intuire l’esistenza di certe crepe nel mondo islamico, è nata, come si sa, nella forma di una metafora precisata dal riferimento primario a “cultura e civiltà”, ma la demografia suggerisce che il fenomeno potrebbe assumere anche tratti molto concreti e, come la storia ci ricorda, non poco dolorosi.

Insieme alla nuova rilevanza del tema economico si è manifestata una forte richiesta di maggiori libertà individuali e di un controllo più efficace sugli apparati dello Stato. Questo nucleo di rivendicazioni ha fatto spesso riferimento al concetto di “dignità umana”. È stata avanzata da alcuni settori della società una richiesta di riorganizzazione dello spazio pubblico in senso maggiormente pluralista e liberale, capace di accogliere un più alto grado di differenziazione interna. Alcune rivendicazioni sembrano ricordare il percorso storico europeo, ma vi sono anche notevoli differenze: la questione dei rapporti tra Stato e Chiesa, che è propria della laicità “classica”, si pone ad esempio in modi del tutto nuovi (da qui tra l’altro l’idea che “chiericalizzare” l’Islam, come diversi Stati europei stanno cercando di fare, potrebbe rivelarsi anacronistica). L’accento sembra cadere prima di tutto sullo spazio pubblico come luogo di un confronto maggiormente libero tra diverse posizioni, anche all’interno del campo religioso musulmano, mentre la critica delle concezioni religiose in sé (prima di tutto l’Islam, ma anche il Cristianesimo per la minoranza copta) non sembra trovare grande eco. Se con “nuova laicità” intendiamo, come abbiamo specificato in passato[3], la ricerca di un criterio per regolare lo spazio della convivenza possibile, allora la tematica è presente e rilevante anche nelle rivoluzioni nordafricane, al di là poi del nome che si vorrà utilizzare (e forse, data la sottolineatura sull’apertura dello spazio pubblico, davvero il termine di ‘civismo’, madaniyya, sembra più adeguato). Insistere invece su “la laicità”, trasformandola da esperienza storica europea, variamente e non senza contraddizioni interpretata, a categoria assoluta dello spirito di cui si attende il manifestarsi (finalmente) anche nelle civiltà non europee non sembra essere una strada particolarmente promettente. Paradossalmente i fatti nordafricani mostrano, oltre a mille altre cose, che l’accento posto sulla necessità di una nuova laicità o sulla laicità positiva (cui anche Benedetto XVI ha dedicato più di un intervento) non è uno stratagemma verbale escogitato da alcuni per evitare di parlare di laicità tout court, ma una necessità imposta dai fatti.

 

2. Un cantiere aperto

Comitato scientifico Oasis 2011

Augusto del Noce, grande filosofo italiano del secondo dopoguerra, nel suo Il problema dell’ateismo fa ad un certo punto un’osservazione illuminante, ancorché posta in un contesto diverso dal nostro, e precisamente in quello del confronto tra la rivoluzione marxista e la rivolta surrealista: «Il momento della rivolta pura si dissocia dall’idea di rivoluzione, in quanto a questa è essenziale l’idea di verità»[4]. I movimenti nordafricani sono nati come rivolte di tipo economico. Se sono diventate rivoluzioni, ciò è avvenuto perché hanno messo in campo anche una certa idea dell’uomo e della società. Se ora vogliono continuare ad essere rivoluzioni, è questa stessa idea che devono approfondire.

In Medio Oriente è risuonata forte la domanda su che tipo di uomo vuol essere l’uomo del terzo millennio, quella stessa domanda che in forme diverse scuote sempre più potentemente anche le società occidentali. In realtà però, se la domanda è chiara, non ancora ben definita è la risposta. Pensiamo ad esempio a che cosa succederebbe se la situazione economica di Tunisia ed Egitto persistesse a essere molto negativa: la necessità di ordine e stabilità passerebbe in assoluto primo piano, a scapito del discorso sulle libertà, e i movimenti islamisti radicali, che in questa prima fase hanno più che altro subito gli avvenimenti, potrebbero candidarsi a guidarli. Ancora: se già in Egitto si vede il ri-emergere delle contrapposizioni comunitarie, Paesi con una varietà interna molto più marcata, come la Siria, sembrano essere pericolosamente sull’orlo di una guerra civile. I movimenti di protesta non vanno esenti dal rischio di strumentalizzazioni e probabilmente non tutto nasce così innocentemente come alcuni media vorrebbero farci credere. Non possiamo infine dimenticare che in altre parti del mondo a maggioranza musulmana (penso ad esempio al Pakistan, ma anche al martoriato Iraq), le cose sembrano muovere in tutt’altra direzione. Gli spazi di libertà, come si aprono, si possono anche chiudere.

Ciò avviene – è appena il caso di ricordarlo – perché i processi storici, affidati alla libertà degli uomini, non sono mai determinabili a priori, ma richiedono l’impegno di ciascuno di noi per essere orientati. Oasis, che è nata, secondo l’efficace definizione riferitami del prof. Gallego, come «una reunión de gente muy diversa sin otro nexo que la buena voluntad» ha maturato negli anni l’umile pretesa di operare in questa direzione. Siamo tutti troppo coinvolti con questi problemi per accontentarci di fornire una dotta fenomenologia degli eventi. Quale forma prenderà il cambiamento, come si articolerà il nuovo spazio pubblico in Medio Oriente o in Occidente, dipenderà dalle risposte che la libertà degli attori in gioco saprà fornire. E tra questi vi siamo anche noi.

 

3. Un nuovo umanesimo cristiano

Se la concezione dell’uomo determinerà la forma che la nuova laicità assumerà in Medio Oriente, fino alla possibilità di un suo tragico capovolgimento, che proposta è in grado di avanzare la fede cristiana? Ha qualcosa di specifico da dire? Benedetto XVI, durante la recente visita ad Aquileia e Venezia di cui ci ha onorato, ha avuto ad affermare, riecheggiando le parole dell’antica Lettera a Diogneto: «Non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una “città” più umana, più giusta e solidale[5]. Dopo il dramma dell’umanesimo ateo (De Lubac), il Santo Padre ci esorta così a riscoprire un umanesimo cristiano, nel quale trovi spazio, come sua dimensione intrinseca e non stagionale (parole ancora di Benedetto XVI), l’apertura alle altre religioni e agli uomini di buona volontà. È una grande sfida che attende ancora di essere adeguatamente assunta e che abbraccia diverse dimensioni, da quelle teologica, antropologica e culturale a quella più strettamente politica. Per quanto concerne quest’ultima gli uomini delle religioni dovranno immettere nella loro narrazione tesa al reciproco riconoscimento tra i soggetti che abitano la società plurale una considerazione della dignità della persona umana, creata a «immagine e somiglianza di Dio» (cfr, Gen 1,27) o «luogotenente di Dio sulla terra» (Corano 2,30)? Questa sembra essere l’opinione di Sant’Agostino che, parafrasando genialmente, il principio evangelico («Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio» Mt 22,21; cfr. Mc 12,17 e Lc 20,25), ingiunge: «Date a Cesare la sua immagine monetaria e a Dio la persona umana, creata a sua immagine»[6].  

Nel consegnare a tutti voi il compito di esplorare le buone ragioni di una vita in comune, senza le quali il travaglio delle società euro-atlantiche resterà fatalmente esposto a ogni tipo di derive e le rivoluzioni nordafricane potranno regredire a semplici rivolte, vorrei concludere ricordando, come tante altre volte, l’orizzonte imprescindibile di questa indagine. Esso non potrà che consistere nella testimonianza.

In questi anni, tramite Oasis, abbiamo avuto la fortuna d’incontrare alcune figure straordinarie. Ne vorrei citare solo due, particolarmente care alla chiesa veneziana: S.E. Mons. Luigi Padovese, di cui è da poco ricorso il primo anniversario dall’assassinio in Turchia, e il ministro pakistano Shahbaz Bhatti, martire di Cristo e grande paladino, insieme al governatore musulmano del Punjab Salmaan Taseer, della lotta contro l’iniqua legge della blasfemia in Pakistan. Possa il loro esempio stimolare i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà a non tirarsi indietro nella costruzione di una vita buona, personale e comunitaria. È il nostro compito storico. Lo dobbiamo a noi stessi e un po’ anche a loro.

 

Note:
[1] In questo intervento utilizzo il termine nel senso del Medio Oriente allargato, includendovi quindi, ove non diversamente specificato, il Nord Africa.
[2] Cfr. Blangiardo
[3] A. Scola, Una nuova laicità. Temi per una società plurale, Marsilio, Venezia 2007, 15-45.
[4] A. Del Noce, Il problema dell’ateismo, Il Mulino, Bologna, 2010 (prima edizione 1964), 100.
[5] Benedetto XVI, Discorso all’assemblea del secondo convegno di Aquileia, Basilica di Aquileia, 7 maggio 2011.
[6] Agostino, Discorso 113/a, 8, in Discorsi sul Nuovo Testamento, a cura di L. Carrozzi, Città Nuova, Roma 1983, 439.441.