Il cardinale Angelo Scola firma la prefazione del volume edito dal Centro Ambrosiano e riconosce come la solidarietà possa essere uno stile virtuoso per “includere socialmente i poveri”. Pubblichiamo la presentazione dell’Arcivescovo.

Un filosofo, un economista e un teologo incrociano le loro riflessioni intorno al valore universale della solidarietà. Da tale incontro/confronto nasce questo agevole volume, pensato non per gli addetti ai lavori ma per ogni uomo o donna di buona volontà che desideri interrogarsi sul significato della solidarietà oggi.

Qualcuno potrebbe obiettare, ancor prima di leggere le pagine seguenti, che più che parlare di solidarietà è necessario farne esperienza. È vero, ma l’insistenza di Papa Francesco su questa dimensione segnala la non ovvietà della riflessione sul tema, neppure per la comunità cristiana.

Il testo parte da un assunto di Silvano Petrosino: le parole sono importanti quanto i fatti. Dopo duemila anni di cristianesimo si rischia di dimenticarlo. C’è un’arroganza del pratico o, quanto meno, il rischio di darne per scontate le ragioni. In altre parole: la solidarietà, spesso assai presente in ambiente cattolico, ma non solo, rischia di non trasformarsi in cultura e di restare afasica.

Occorre invece partire dall’esperienza per poterla narrare e attraverso il racconto far crescere un pensiero. Inoltre, proprio la riflessione può aiutarci a comprendere perché l’esercizio della solidarietà non deve mai essere disgiunto dalla denuncia delle ingiustizie e dalla continua ricerca del bene comune: l’urgenza di aiutare i nostri fratelli più sfortunati, infatti, non può far dimenticare l’impegno a rimuovere le cause di tali “sfortune”. Vi è un nesso intrinseco tra l’esercizio della solidarietà e la ricerca della giustizia.

In secondo luogo, va superata una visione superficiale che confonde la solidarietà con «qualche atto sporadico di generosità», come sottolinea Walter Magnoni riprendendo un passaggio di Evangelii gaudium. Papa Francesco sostiene infatti che la solidarietà «diventa uno stile di costruzione della storia» (EG 228) e questo chiede di cogliere tutta la profondità del termine anzitutto guardando a come Cristo stesso ha saputo relazionarsi all’uomo sofferente. L’uomo non è chiuso su di sé, non è inchiodato nella contingenza, non è preoccupato unicamente della sua sopravvivenza, non è condannato all’egoismo. L’uomo è capace di aprirsi all’altro, di riconoscerlo, di condividere i suoi beni e quel bene del tutto singolare che è il tempo, con l’altro e con gli altri. Questa capacità, che spesso si rivela profeticamente in singoli gesti o in determinate circostanze, può diventare uno stile di vita: quando si fa del bene a qualcuno non lo si fa solo a lui ma si introduce nel mondo, il più delle volte inconsapevolmente, una modalità d’essere che riguarda tutti e tutto. Il bene è sempre fecondo anche se il male fa più clamore.

Inoltre, è importante sottolineare la preziosità della riflessione di Luigi Campiglio sul rapporto intergenerazionale e sull’eredità. Sullo sfondo si coglie il tema del dono e l’importanza del coltivare lo spirito di gratitudine. Il nostro tempo, purtroppo, si caratterizza per una perdita della memoria che rende spesso le persone incapaci di riconoscere il bene ricevuto. Individualismo e narcisismo non aiutano la società a trovare percorsi reali di solidarietà: è come se fossimo tutti persone che non sono mai state amate, che non sono state mai accolte e aiutate, persone senza genitori, senza amici, senza maestri. L’idolo dell’uomo «che si è fatto da solo», oltre che essere, come tutti gli idoli, ultimamente distruttivo, si fonda su una menzogna radicale.

Cultura dello scarto e globalizzazione dell’indifferenza stanno diventando le cifre sintetiche dell’Occidente opulento, incapace di riconoscere l’urgenza di una conversione a stili di vita più sobri e in grado di cogliere l’altro come essere con cui siamo in una relazione costitutiva. Per uscire da quelle che San Giovanni Paolo II chiamava “strutture di peccato”, ci è chiesto di riconoscere il valore di una solidarietà fondata sul principio di responsabilità nei confronti dell’altro colto come fratello. È una capacità questa alla portata anche dell’uomo postmoderno.