Pubblichiamo una riflessione dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, preparata in occasione della prima domenica d’Avvento.

Amandoci fino alla fine, fino alla totale dedizione di sé sulla Croce, Gesù ha vinto definitivamente il peccato e la morte. Per questo misericordia è la parola definitiva sulla nostra esistenza. L’Anno Santo – che oggi si chiude in ogni diocesi del mondo, mentre a Roma il Santo Padre lo chiuderà domenica prossima – ci ha aiutato a riconoscerlo risvegliando il nostro bisogno di essere perdonati.

Nelle sei settimane del nostro Avvento ambrosiano, che ci preparano al Santo Natale di Gesù, la Chiesa ci educa a vivere l’attesa della Sua venuta e, in questo modo, rinnova una dimensione essenziale della nostra umanità. L’attesa, in effetti, dice la modalità propriamente umana di vivere il tempo. Gli angeli, in un certo senso, non attendono perché essi vivono l’eterno presente. Gli animali vivono nel tempo, ma non hanno coscienza dell’attesa. Solo l’uomo è cosciente di attendere – un bimbo, l’amico, l’innamorata… – e in questa attesa si esprime acutamente il suo essere un io-in-relazione. L’attesa è la venuta dell’altro al nostro incontro.

E l’Altro con la maiuscola è il Signore che è venuto, viene e verrà. Colui che attendiamo, proprio perché è venuto una volta per tutte, definitivamente, non cessa di offrirsi alla nostra libertà, diventa ogni giorno avvenimento nella concreta situazione storica in cui viviamo.

Annunciando la sua ultima venuta, cioè la fine del tempo, Gesù vuole focalizzare l’attenzione dei suoi discepoli sul senso della storia in rapporto al suo fine. Per questo, la comunità cristiana riceve un compito missionario di grandi proporzioni, tale da poter richiedere tempi molto lunghi per essere portato a termine. Un compito che è vissuto da ogni generazione in prima persona, come all’inizio, e che deve attraversare tutta la fatica e la bellezza del vivere.

Attesa della fine e compito missionario stanno in tal modo in rapporto diretto. Un rapporto drammatico che trova nella virtù della speranza la sua garanzia quotidiana. Infatti, da duemila anni i cristiani condividono l’esistenza dei loro fratelli uomini segnati dal dono della venuta del Signore. Gesù che è venuto e viene quotidianamente, verrà un giorno per sempre nella gloria, riempie le nostre giornate di speranza.

La virtù dell’Avvento è la speranza. Di questi tempi un bene tanto raro, quanto necessario e urgente. La speranza – e di questo da secoli è testimone il nostro cattolicesimo popolare lombardo – è imprescindibile fattore di operosità sociale. La speranza genera uomini e donne guidati non dall’utopia, ma da un ideale realizzabile, perseguito insieme a tutti, capace di accettare l’inevitabile perfettibilità di ogni tentativo, ma tenace nel ricominciare ogni mattina.

Il nostro è un tempo di ripresa quotidiana alla ricerca non semplicemente del bene già vissuto, ma di quel bene inedito che la Provvidenza vuole donare a tutti gli uomini e donne di buona volontà.