Pubblichiamo l’intervista che il cardinale Angelo Scola ha rilasciato al quotidiano “La Repubblica” e che è stata pubblicata venerdì 3 giugno: «Una politica di chiusura è inaccettabile, il nostro Paese assuma la leadership nel Mediterraneo»

di ZITA DAZZI

MILANO. “L’Onu ha fallito e l’Europa è smarrita: serve un nuovo ordine mondiale e l’Italia ha il compito di fare un progetto guida per il continente in tema di immigrazione, assumendosi la responsabilità della leadership dell’area mediterranea”. Sono giorni di grandi sbarchi sulle coste meridionali e la prima preoccupazione del cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, è preparare un piano straordinario di “accoglienza diffusa nelle parrocchie per l’estate, mettendo a disposizione anche oratori, palestre e strutture scolastiche per ospitare chi arriva”. Senza però perdere d’occhio la necessità imprescindibile di individuare – nel dibattito culturale così come nelle grandi relazioni internazionali – le chiavi per una soluzione non di emergenza, ma strutturale.

La preoccupa quel che sta accadendo sulle nostre coste?
“La situazione attuale è anche conseguenza dell’insuccesso delle politiche europee, penso alla Germania, all’Austria e paesi limitrofi. Con la chiusura della via balcanica, rendono per noi il problema pesante, ma non lo mutano nella sostanza. La concentrazione degli sbarchi e le tante morti tragiche, soprattutto di bambini, dicono che è inaccettabile ogni politica di resistenza o di chiusura. Però eviterei di parlare di invasione o di emergenza”.

Quali termini userebbe?
“È un problema strutturale. Al di là del nostro modo italiano di agire, sempre un po’ confusionario, non stiamo facendo male. Sento dalle parrocchie che molte persone sono coinvolte nell’accoglienza. Ma adesso occorre andare oltre il primo intervento. Sul territorio della Chiesa ambrosiana stiamo accogliendo 1.450 migranti in 133 strutture diocesane, senza considerare quel che fanno autonomamente gli ordini religiosi e le parrocchie. Almeno il 30% degli immigrati viene aiutato da realtà cattoliche. Ma se l’emergenza diventerà ancora più acuta, faremo ancora di più”.

Anche voi come Chiesa incontrate la resistenza di alcuni sindaci.
“Non voglio fare qui discorsi su chi specula sulla paura. La paura è comunque un fenomeno che va ascoltato, spesso legato alla scarsa conoscenza. Pochi sanno che l’Italia accoglie un numero di profughi infinitamente inferiore rispetto a Iran, Giordania, Libano, Turchia. C’è un grande lavoro educativo da fare. Ma nella società civile si è già molto più avanti di quel che si crede. La strada è segnata, ed è quella di accompagnare e governare il processo di “meticciamento” fra le culture. Un’accoglienza equilibrata, che punti, all’integrazione come cittadini di chi vuole stabilirsi sul nostro continente, è l’unica via per battere la paura”.

Che fare nel breve periodo, davanti ai 13mila sbarchi in sette giorni?
“Ci vuole un progetto. Da tempo ho fatto riferimento a un sorta di piano Marshall: è quel che ci serve. Qualcuno ha parlato di “disastro Europa”. Io, di fronte al fallimento delle politiche europee, dico che c’è bisogno di un nuovo ordine mondiale, di un’Unione Europea che sia veramente tale, che parta dai problemi concreti. E l’Italia per la sua posizione geografica e anche per una sua certa elasticità sociale e culturale potrebbe, anzi dovrebbe avere un ruolo guida”.

La classe dirigente italiana è attrezzata per far questo?
“I fatti ci mettono fretta. Ma la nostra storia bimillenaria ci pone in una posizione unica. Geopoliticamente la forza l’abbiamo. Se la politica ritrovasse una capacità di unire il concreto a una proposta ideale, forse si potrebbe tentare. Mettendo al lavoro, ad esempio, la classe dirigente universitaria spesso eccellente, soprattutto qui a Milano. Una miniera che si può sfruttare su questi temi dell’immigrazione”.

Il lavoro può essere strumento per integrare i profughi?
“Tenere queste persone nei centri d’accoglienza senza far niente è inaccettabile e incrementa la paura. Anche noi stiamo cercando di farli lavorare nei nostri centri, di impiegarli in piccoli servizi a favore della collettività, ma la burocrazia ci ostacola”.

È d’accordo sulla proposta di pagarli meno degli italiani?
“Le libertà sono tali solo se sono realizzate secondo equità. È inaccettabile partire da condizioni diverse per i migranti. Ci possono essere casi particolari, eccezioni. Ma la regola deve essere uguale per tutti”.

A Milano fra pochi giorni si vota. Quali sono le priorità che indicherebbe al nuovo sindaco, chiunque sia?
“Bisogna partire dalle periferie e da quelle sacche di emarginazione e di degrado che sono sparse a macchia di leopardo, anche nella prima fascia periferica compresa fra i Bastioni e la circonvallazione. Sono zone messe male, con situazioni di forte degrado, mancanza di alloggi, occupazioni, micro e macrocriminalità”.

Secondo?
“Occorre un rovesciamento della logica del welfare in un’ottica comunitaria capace di coinvolgere tutti i soggetti in campo. Serve però anche una politica di libertà realizzate. Meno enfasi sulla carta dei diritti e più sui fatti. Pensi alla libertà di educazione. Le scuole materne paritarie sono in gravissima difficoltà e dovrebbero essere sostenute seguendo il sacrosanto principio di sussidiarietà. Le parrocchie non ce la fanno più a mantenerle. Questo è assurdo, una miopia inaccettabile. Non si può andare avanti con una logica risorgimentale ormai superata e sostenuta solo da minoranze ideologiche”.

Eminenza lei quest’anno compie 75 anni, l’età in cui secondo il diritto canonico scatta la pensione. Che cosa vede nel suo futuro?
“Presenterò la mia rinuncia come previsto per tutti i vescovi, poi quando sarà il momento mi ritirerò in una casa canonica degli anni ’50 che ho già individuato nel Lecchese, vicino al mio lago e ai miei monti. Avrò tempo per pregare, confessare e ascoltare la gente. Riprenderò a leggere e scrivere qualcosa. Insomma, età permettendo, farò come tutti i preti”.