Treviglio, domenica 2 febbraio 2020
Messa di riapertura del Santuario della Madonna delle lacrime

Festa della Presentazione del Signore
Ml 3,1-4; dal Sal 23 (24); Eb 2,14-18; Lc2, 22-40

Omelia di S.Em. Cardinale Angelo Scola,
Arcivescovo emerito di Milano

 

  1. Il miracolo della Madonna delle lacrime

Carissime sorelle e carissimi fratelli in Cristo Gesù,

è impossibile non lasciarsi sorprendere dalla commozione ritornando per la terza volta in questa occasione nel vostro Santuario che riapre dopo due anni di restauri e si mostra in tutta la sua bellezza. La bellezza più imponente e commovente però è quella del concorso di popolo che anche questa sera si stende davanti ai miei occhi. Perché la Chiesa dev’essere sì il più possibile bella come tempio di mattoni ma, nella sua sostanza, il tempio è la comunità dei cristiani che lasciano le loro case per con-venire, cioè venire insieme, in questo luogo a celebrare l’Eucaristia e i sacri riti.

Inoltre, come non essere riempiti di commozione rievocando l’origine di questo santuario? Riandando cioè al miracolo del 28 febbraio 1522 quando la Madonna con il suo pianto risparmiò la vostra città, che da allora vive giustamente un riconoscimento di devozione nei suoi confronti. Oggi Treviglio è un centro importante al confine tra due province, una città che rappresenta un polo significativo non solo per la bergamasca e per il milanese, non solo per la Lombardia, ma per l’Italia intera.

Le lacrime che sgorgarono inarrestabili dall’effigie della Vergine toccano il nostro cuore perché gli rivelano la sua durezza e la sua insensibilità. È impressionante la facilità con cui noi possiamo abituarci a tutto, persino ai nostri peccati …E ancora, in un certo senso di più, alla banalità con cui siamo portati ad affrontare la vita in un frangente di grande travaglio e a volte di confusione di cui risente anche la Chiesa, non in se stessa, ma in noi uomini di Chiesa, autorità e fedeli.

Pertanto ricordare in un modo così vitale e partecipato, come voi fate oggi, le lacrime della Vergine, il suo dolore preventivo teso a risparmiare questo luogo di vita buona, al di là dei peccati di ciascuno di noi, è realmente un segno di rinascita.

La riapertura, dopo due anni di lavori, del Santuario che voi avrete modo di conoscere, visitare e capire in tutti i dettagli artistici che lo caratterizzano deve, carissime e carissimi, rappresentare un ri-inizio, ancora più potente, della bellezza della fede e dell’amore che Gesù ci ha insegnato e che la Vergine ha voluto preservare piangendo sul rischio che questa città venisse distrutta dai francesi.

  1. Cristo, Lumen gentium

Abbiamo iniziato la celebrazione della Festa della Presentazione al tempio accendendo le candele e compiendo una processione all’interno del Santuario, due gesti di cui il Vangelo, con due passaggi, spiega bene il significato. Il primo è un momento bello, positivo, di gloria. «I miei occhi – dice il vecchio Simeone – hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce [ecco il senso delle candele] per rivelarti alle genti, [per manifestarti come Colui che è venuto a condividere la vita di ciascuno di noi] E gloria del tuo popolo» (Lc 2,34-35). Ecco la bellezza potente di questa momento così lungamente atteso da Simeone! Chissà quale densità di emozioni e quanta commozione per lui, come per Anna! Bellissima la scena in cui il vecchio prende tra le sue braccia il Bambino … non era certo un dato abituale in quella cultura. E noi in un certo vero senso partecipiamo al suo gesto, perché la forza del cristianesimo è che Cristo è vivo oggi. Ora, attraverso la potenza del suo Spirito, è tra di noi e in noi. È bello riconoscere che oggi siamo da Lui accompagnati e che siamo sostenuti dalla tenerezza Vergine, sempre pronta anche a piangere per il nostro cambiamento, se è del caso.

  1. Per salvare e liberare dal timore della morte

E la necessità – ecco il secondo polo – di questo cambiamento la capiamo tutti, anche i più piccolini che sono qui davanti. «Egli è qui – dice Simeone alla Madonna- per la caduta e la risurrezione di molti in Israele» (Lc 2,34). La Sua presenza è, di fatto, un giudizio nel senso nobile della parola, come tensione alla verità, per la mia e per la tua vita, per la vita di noi cristiani e degli uomini di questa società plurale così distratta e così confusa, e nello stesso tempo così assetata di senso del vivere, cioè del significato (perché o meglio per chi ogni mattina riprendo la mia vita) e della direzione del cammino. «Ma – aggiunge Simeone – anche a te una spada trafiggerà l’anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,35). Simeone dice a Maria – e in lei a ciascuno di noi – che la verità del nostro io, il compimento della nostra persona, la riuscita della nostra umanità che si chiama santità, non può non passare attraverso la sofferenza. Non c’è amore autentico che non implichi il sacrificio. Tutti noi lo sappiamo bene: i genitori, gli amici e tutti coloro che vivono autentiche relazioni affettive lo sperimentano.

E il motivo ultimo, la forma ultima di questo sacrificio è quella che ci ha spiegato la Lettera agli Ebrei quando ci ha detto che Cristo è morto sul palo ignominioso della croce per salvarci e per liberarci dal timore della morte. Perché gli uomini dal timore della morte «erano soggetti a schiavitù per tutta la vita» (Eb 2,15). Non possiamo nasconderci questo dato di fatto che, inesorabile, incalza la nostra vita, come scrive un celebre e sconclusionato scrittore francese oggi di moda “La morte è come un rumore di fondo che non viene mai meno”.

Gesù è venuto per liberarci da questo timore che ci rende schiavi. Ecco il grande dono della fede. Noi lo sperimentiamo quando i nostri cari trapassano all’altra riva, sia che abbiano subito sofferenze strazianti e affrontato lunghi tempi di agonia, sia che siano stati sorpresi all’improvviso e magari molto giovani dalla morte. Gesù ha preso su di sé questa esperienza drammatica riducendo «all’impotenza mediante la [sua] morte Colui che della morte ha il potere cioè il diavolo» (Eb 2,14) con il riferimento al peccato d’origine che l’ha prodotta. Cristo ha inchiodato sul palo della croce tutti i nostri peccati ed è morto per noi, perché noi si sia destinati a vivere sempre con lui e con i nostri cari passati all’altra riva.

E c’è un segno molto bello di questo, descritto nella scena finale del vangelo di Giovanni. Gesù è ormai distrutto da una passione violentissima (quando gli riferiscono che Gesù era morto, Pilato si sorprende che fosse morto così presto: i crocifissi di solito duravano molto di più. E questo significa che la Sua passione fu davvero terribile). In quel momento Egli si rivolge a Giovanni e guardando Maria gli dice “Ecco tua madre”. Poi guardando Giovanni dice a Maria “Ecco tuo figlio”. Nel supremo momento del suo sacrificio Gesù istituisce il nuovo rapporto che circola fra di noi, genera una nuova parentela che non abolisce quella della carne e del sangue ma la potenzia, la dilata, la allarga.

Maria, nel suo dolore potente e Giovanni in un misto di dolore e di paura, si trovano legati per sempre con tutti i cristiani venuti dopo di loro. Come noi questa sera e lungo tutta la nostra esistenza siamo legati per sempre da una parentela di comunione che ci rende fratelli e sorelle in Cristo. Le nostre debolezze, le nostre fragilità, i nostri talora banali e futili litigi, perfino i nostri peccati non possono rompere questo dato. Certo, magari fanno ancora un po’ piangere la Madonna… facessero piangere qualche volta anche qualcuno di noi!

È bello e particolarmente significativo che noi oggi celebriamo questa grande festa ricordando i religiosi, le religiose e indirettamente anche i sacerdoti che nel celibato hanno dedicato e dedicano la loro vita a Cristo nei fratelli condividendo vari bisogni. Penso per esempio al grande bisogno educativo in una città come la vostra che riceve più di 10.000 studenti di scuole superiori ogni giorno.

  1. Il restauro dei nostri cuori

Assumiamo sul serio il significato di questa rinascita del Santuario. Il restauro sia il restauro dei nostri cuori e comportiamoci come ci ha detto all’inizio Malachia. «Subito entrerà nel tempio il Signore che voi cercate» (Mal 3,1). Nell’Eucaristia che ora celebriamo in questo tempio rientra il Signore che voi cercate. Lo cerchiamo veramente? Io dico di sì: sarebbe impossibile una folla così grande se non Lo cercassimo. «e l’Angelo dell’alleanza che voi sospirate eccolo viene» (Mal 3,2)..

Carissime e carissimi, riconosciamo di avere bisogno di Gesù. Che ne facciamo di Dio nella nostra giornata? Quale è il peso che diamo a questa Presenza che ci ha posto nell’essere, ci sostiene nell’essere e, nell’immedesimazione con Gesù, ci accompagna fino al passaggio all’eternità? Evitiamo di ritenerci autosufficienti, non lasciamoci troppo illudere dalle formidabili scoperte scientifiche, tanto affascinanti quanto inquietanti, come nel campo dell’intelligenza artificiale. Non illudiamoci di poterci salvare con le nostre mani…

Cosa fecero i vostri padri il giorno dell’assedio? Come voi riempirono le chiese e vegliarono tutta la notte in preghiera.

  1. Ripresa della vita del popolo

Oggi è anche la Giornata in cui la Chiesa italiana commemora e ridice a noi tutti il valore della vita. E questo ci porta a concludere sul valore della famiglia che vive un momento di grande confusione ed è anche – mi spiace doverlo dire al termine di questa celebrazione, mentre ringrazio tutte le autorità civili – ancora troppo trascurata dalla nostra politica, ben di più di quanto accada in altre nazioni più secolarizzate e meno cristiane della nostra.

Affidiamoci perciò alla Madonna, perché il compito della Madonna è portarci a Gesù. Esattamente come il compito della sposa è portare i figli allo sposo. Amen.