Mercoledì 17 febbraio in mattinata il Patriarca guida un momento di ritiro spirituale per i seminaristi sul tema “Misericordia e Sacramento della Confessione”.

Qui si riportano alcuni appunti della meditazione del Patriarca.

1. Trinità e misericordia: guardando alla “Trinità” di Masaccio (Firenze, Santa Maria Novella, 1425-1427)

a) L’affresco ci mostra la duplice dimensione della misericordia: quella del Padre che ci attende con le braccia aperte (cfr. Padre misericordioso del Vangelo di Luca), ma anche quella del Figlio, l’Innocente Crocifisso, offerto pro nobis. Il gesto della consegna (braccia aperte a sostenere la croce) è del Padre e del Figlio (braccia stese sulla croce). «È il gesto dell’amore di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé «la maledizione» che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la «benedizione» che spetta a Dio» (Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2010).

[La figura del Padre, pur sembrando gigantesca per un effetto ottico, non ha tuttavia una statura superiore a quella del Figlio, ma uguale. Rispetto alle raffigurazioni precedenti dello stesso soggetto significativamente denominate “Trono di grazia”, la Croce poggia su un altare e la posizione del Padre evoca in un certo senso quella del sacerdote quando durante la messa solleva l’Eucaristia].

b) Adrienne von Speyr: la Croce diventa l’“archetipo della confessione”, come confessione al Padre di tutto il male dell’uomo e come rivelazione della vita intratrinitaria al mondo: al Padre Cristo confessa il peccato del mondo rivelando contemporaneamente al mondo l’amore del Padre.

L’uomo, lo sappia o meno, vive nell’orizzonte di questo supremo scambio di amore.

c) Il primo atteggiamento di confessione – afferma sempre Adrienne von Speyr – vive nella Trinità. In essa ogni Persona sta di fronte all’altra nella trasparenza assoluta, nel dono totale di Sé, il Padre non tiene niente per Sé, dà tutto al Figlio, la sua stessa sostanza divina, e il Figlio gliela ridona immediatamente: lo scambio attuale è così perfetto che ne scaturisce la persona dello Spirito, dono e nesso.

Allora si comprende come la mistica svizzera possa affermare:

«… che Gesù in terra vive davanti al Padre nella condizione in cui deve vivere il perfetto penitente davanti al confessore, davanti alla Chiesa e davanti a se stesso: in totale apertura, senza nascondere nulla, sempre pronto ad ogni istante a doversi aspettare l’intervento dello Spirito Santo, attingendo la sicurezza non da se stesso, ma dal Padre e dal suo Spirito. Il Figlio vive in continuo contatto con il Padre, contatto esprimibile con la sua parola: sia fatta la tua volontà» (A. von Speyr, La confessione, 21).

2. Confessione, Penitenza, Riconciliazione

Sono i tre nomi dello stesso sacramento.

«È chiamato sacramento della Penitenza poiché consacra un cammino personale ed ecclesiale di conversione, di pentimento e di soddisfazione del cristiano peccatore» (CCC 1423).

«È chiamato sacramento della Confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una ‘confessione’, riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore» (CCC 1424).

«È chiamato sacramento della Riconciliazione perché dona al peccatore l’amore di Dio che riconcilia: “Lasciatevi riconciliare con Dio” (2Cor 5,20). Colui che vive dell’amore misericordioso di Dio è pronto a rispondere all’invito del Signore: “Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello” (Mt 5,24)» (CCC 1424).

a) Del Sacramento della Confessione Adrienne von Speyr dà questa acuta spiegazione:

«Istituendo a Pasqua la Confessione il Figlio vorrebbe far comprendere agli uomini l’atteggiamento divino. Partecipare ad essi qualche cosa della vita trinitaria. Perché questo atteggiamento sia autentico Gesù sceglie il peccato come oggetto da manifestare. Infatti il peccato è la cosa in cui l’uomo si inganna di meno. È anche ciò che ha allontanato l’uomo da Dio, ciò a cui si risale se si vuole indicare in che posizione si trova l’uomo in rapporto a Dio, quanto cioè ne sia distante».

b) Il Concilio di Trento, citando i Padri della Chiesa, parla del Sacramento della Penitenza come un “faticoso battesimo” (cfr. DS 1672). In campo c’è, fino in fondo, la libertà.

Gli atti del Penitente – la contrizione e la confessione (accusa) del peccato – entrano nella costituzione del sacramento stesso, ne sono parte essenziale.

• Confessione: si veda supra 2°.

• Contrizione da cum-terere: tutte le fibre del proprio io sono chiamate a spezzarsi, il biblico cuore spezzato: «…O uomo, distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto» (Sant’Agostino, In Evangelium Johannis tractatus, 12). Oscar Wilde: «Da dove potrà mai entrare Gesù se non da un cuore spezzato?»

c) Sacramento della Riconciliazione.

La parabola del Padre misericordioso (ritrovamento del figlio perduto) (Lc 15,11-32):

Non c’è troppo misticismo in questo giovane nel ritornare al padre, non c’è molto dolore, la coscienza del peccato non sembra esente da un certo calcolo: «Adesso che ho speso tutto con le prostitute, faccio una vita da cane, non ho ottenuto quello che volevo andandomene via da casa, crepo di fame, l’ultimo dei servi di mio padre mangia meglio di me». Questa sembra essere la prima molla che fa ritornare il giovane a casa: l’uomo parte sempre dal suo bisogno. Ma l’iniziativa del padre lo spiazza: allargare l’orizzonte del bisogno al compimento. Gli corre incontro, lo anticipa, quasi non gli lascia neanche fare il discorsetto che si era preparato, lo abbraccia e lo tratta come non si era mai sentito trattare. Lì, in quell’abbraccio inaspettato, gratuito, fuori da ogni merito e misura, il figlio realizza tutto il peso del proprio peccato («mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» dice Paolo, Rm 5,8). E forse ne prova dolore. C’è qualche cosa che viene prima: è un amore inaspettato, è una precedenza del Mistero sulle nostre parole, sulle nostre autogiustificazioni. La gratuità del Mistero modifica continuamente le nostre immagini di Dio e della sua paternità.

3. La giustizia più grande

«Si capisce allora come la fede sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia. Grazie all’azione di Cristo, noi possiamo entrare nella giustizia “più grande”, che è quella dell’amore (cfr Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare» (Benedetto XVI, Messaggio per la Quaresima 2010.

La misericordia come sorpresa insegna l’umiltà (povertà di spirito). Come forma bella dell’azione.

4. Elargire la vita

«… vediamo come l’incontro autentico con Dio porti l’uomo a riconoscere la propria povertà e inadeguatezza, il proprio limite e il proprio peccato. Ma, nonostante questa fragilità, il Signore, ricco di misericordia e di perdono, trasforma la vita dell’uomo e lo chiama a seguirlo. L’umiltà testimoniata da Isaia, da Pietro e da Paolo invita quanti hanno ricevuto il dono della vocazione divina a non concentrarsi sui propri limiti, ma a tenere lo sguardo fisso sul Signore e sulla sua sorprendente misericordia, per convertire il cuore, e continuare, con gioia, a “lasciare tutto” per Lui. Egli, infatti, non guarda ciò che è importante per l’uomo: “L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore”, e rende degli uomini poveri e deboli, ma che hanno fede in Lui, intrepidi apostoli e annunciatori della salvezza» (Benedetto XVI, Angelus 7 febbraio 2010).

Maria: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Qui sta la radice dell’offerta quotidiana di sé: il segreto per una vita riuscita è il dono totale di sé. La vita ci è data non per essere trattenuta ma elargita.