Pubblichiamo una riflessione dell’Arcivescovo di Milano, cardinale Angelo Scola, preparata in occasione della quarta domenica d’Avvento.
«Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio» (Mc 11,11). Il Santo Vangelo di oggi sembrerebbe, a prima vista, più consono alle feste pasquali che non al Natale. Il rito ambrosiano, sulla scorta degli antichi Padri della Chiesa, lo propone in questa domenica, anche se non coincide con lo sviluppo storico degli avvenimenti della nascita, vita, morte e risurrezione del Signore. Perché? Perché è una sorta di profezia del ritorno di Cristo alla fine della storia, che domanda a ciascuno di noi e a tutto il popolo di accogliere fin da ora l’ingresso del Signore nella nostra vita personale e comunitaria.
Entrando nella città santa Gesù mostra una sovrana consapevolezza dell’evento che si sta svolgendo, ne dispone minuziosamente ogni gesto, addirittura lo “vede” in anticipo – «troverete un puledro legato… E se qualcuno vi dirà… rispondete…» (Mc 11,2b.3a) –, dimostrando di possederne fino in fondo il significato. Egli è veramente il Signore della storia che viene a redimerla. La scelta da parte di Gesù di cavalcare un puledro, il gesto dei discepoli e della folla di stendere i mantelli davanti a lui, le parole con cui la gente lo acclama, il riferimento a Davide… sono tutti richiami alla figura del Messia, ma suggeriscono chiaramente che Gesù è un Messia del tutto particolare, non asseconda la logica del mondo.
Infatti dopo essere stato accompagnato sulla strada da una folla festosa, Gesù, anche se in secondo piano sono presenti i dodici, si trova di fatto solo, quasi in incognito, all’ingresso del tempio. E continua l’evangelista: «Dopo aver guardato ogni cosa attorno» (Mc 11,11). Questo sguardo di Gesù è uno scrutare attento che anticipa la tensione che segnerà il resto del racconto. Gesù entra nel tempio non come un semplice pellegrino, ma per inaugurare un confronto che avrà conseguenze decisive sia per la sua vita che per il tempio.
Se è il Signore a venire, ognuno di noi è chiamato a situarsi rispetto a Lui. Con la Sua presenza riceviamo un sovrabbondante dono di amore. Non possiamo, per come siamo capaci, non restituirlo. Per questo Paolo scrive: «Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti» (1Ts 3,12). Non c’è infatti autentico amore “fra noi” se non è tendenzialmente “verso tutti”.
L’attesa dell’Avvento, amorosa e vigile, diventa così umile domanda di conversione. Essa stessa è frutto dell’amore di Gesù e nel “lasciarsi riprendere” da Lui ogni volta che sbagliamo sta il segreto del nostro progresso morale. Per questo il Santo Padre ci ricorda che «la predicazione morale cristiana non è un’etica stoica, è più che un’ascesi, non è una mera filosofia pratica né un catalogo di peccati ed errori. Il Vangelo invita prima di tutto a rispondere al Dio che ci ama e che ci salva, riconoscendolo negli altri e uscendo da sé stessi per cercare il bene di tutti. … Tutte le virtù sono al servizio di questa risposta di amore» (Evangelii gaudium, 39).