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Invitato a intervenire sul tema “Chiesa e politica oggi: spunti per un giudizio” nell’ambito del meeting promosso da Europa Italia a Riva del Garda (Tn) il 13 marzo 2009, il card. Angelo Scola ha tenuto un’articolata riflessione a partire da una citazione chiave di Papa Benedetto XVI: «Il mondo necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati». Qui vengono proposti alcuni stralci.


«Il mondo necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati» : l’affermazione di Benedetto XVI che avete scelto come titolo di questo convengo da una parte riprende, almeno per quanto riguarda l’Italia, un insegnamento magisteriale ed una pratica laicale che hanno radici profonde, dall’altra, riproposta nel quadro del tutto inedito di una società da almeno quarant’anni in rapida e profonda transizione, potrebbe essere ritenuto da molti scettici addirittura velleitaria. Necessita pertanto di essere appropriatamente compresa e soprattutto documentata nella sua possibilità di tradursi in criterio pratico di azione nei vari ambiti secolari dell’umana esistenza, compreso quello della politica, all’interno di una società plurale e di uno Stato di diritto come l’Italia di oggi. (…)
La storia è fatta di processi, in cui noi siamo immersi come tutti. La grande risorsa nella fede in un Dio provvidente che guida la famiglia umana e la storia, in Gesù Cristo Salvatore che vince il peccato e la morte e nella Chiesa Madre e Maestra, che ci accompagna nel miracolo quotidiano della comunione solidale, non esime la nostra libertà dal vivere il dramma dell’esistenza in solido con i nostri fratelli uomini. La loro angoscia è la nostra. La verità cristiana si gioca nella storia e la storia non è deducibile. Con questo dato della determinatezza della storia i cristiani fanno i conti come tutti. Se mai in forza della virtù bambina della speranza, pagando di persona – impegno, testimonianza – scrutano “i segni dei tempi” a favore di tutti.

2. I nuovi scenari
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a) Il meticciato di civiltà e culture
(…)il processo di “meticciato di civiltà e culture”. Con questa espressione non mi riferisco ad una meta positiva da perseguire mediante equivoci sincretismi, ma ad una categoria descrittiva dell’inedito processo di mescolamento di popoli e culture che caratterizza la nostra epoca. Il meticciato vuole rendere conto ad un tempo della ricchezza e del potenziale di scontro insito nel fatto che persone portatrici di culture, tradizioni e religioni differenti si incontrino e si trovino a vivere fianco a fianco.
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b) La bioetica e le neuroscienze
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La posta in gioco è molto più alta, perché la questione riguarda la pretesa della scienza di stabilire la verità sull’essere umano. Riaffiora qui obiettivamente il rischio, che ogni autentica impresa scientifica deve invece scongiurare, di una nuova forma di riduzionismo (non di corretta “riduzione”) che finisce per produrre delle inedite e potenti forme di scientismo. Questo, in ogni sua forma, da quelle più rozze a quelle più raffinate, è fondato su una triplice ingiustificata identificazione: “ciò che è” è “ciò che è conoscibile”; “ciò che è conoscibile” è “ciò che è conoscibile scientificamente”; “ciò che è conoscibile scientificamente” è “ciò che è conoscibile mediante la scienza empirica”. Così che, in definitiva, solo le scienze, e in specie quelle empirico-sperimentali, ci darebbero la conoscenza di ciò che è.
Da qui l’urgenza più volte richiamata da Benedetto XVI di allargare la ragione. (…)
Il logos umano, infatti, pur essendo uno, si esercita ed è produttivo (come già affermava Aristotele) secondo plurime modalità teoriche, pratiche ed espressive che oggi possiamo identificare in almeno cinque forme differenziate ed irriducibili di razionalità : teorica-scientifica (scienza), teorica-speculativa (filosofia/teologia), pratica tecnica (tecnologia), pratica-morale (etica) e teorico-pratica espressiva (poetica).

c) Il nuovo ordine mondiale
(…)L’ideale della pace invece è qualcosa che mi sta sempre davanti come un incessante compito da attuare a partire dalla realtà.

3. Nuova laicità e ruolo dei cattolici in politica

(…) A proposito di una nuova laicità mi sembra si possa anzitutto concordare con chi afferma la necessità che in una società plurale tutti promuovano la configurazione di una sfera pubblica plurale e religiosamente qualificata, in cui le religioni svolgano un ruolo di soggetto pubblico, ben separato dall’istituzione statuale e distinto dalla stessa società civile benché all’interno di essa . Quanto ai contenuti, lungi dal limitarsi ad affrontare le pur importanti questioni giuridiche relative al rapporto Stato-Chiesa, la “nuova laicità” individua nella società civile plurale lo spazio in cui tutti i soggetti incessantemente raccontino la concreta esperienza, integrale ed elementare, di vita personale e comunitaria, in vista di un riconoscimento reciproco. È una laicità che parte dai beni spirituali e materiali che siamo chiamati a condividere con tutti prima di affidarsi alle procedure pattuite necessarie in uno stato di diritto per dirimere i conflitti, non certo eliminabili, anzi in una società plurale destinati a crescere. Prima il contenuto e poi la forma. Il riferimento alla Carta dei diritti umani è spesso formale ed astratto. Bisogna analizzarli nei loro precisi contenuti. Quali diritti sono fondamentali, quali sono solo diritti (e su questi quando è necessario si può chiedere un sacrificio) e quali sono solo diritti presunti.
Certo, il quadro storico precedentemente delineato sembra aver reso inattuali alcune delle forme con le quali i cattolici hanno storicamente svolto il loro ruolo di soggetto pubblico. Mi riferisco in particolare al partito unico dei cattolici.
Accettando di buon grado che la società plurale nella quale i cattolici sono oggi chiamati a vivere implica la necessità di un confronto a 360° con tutti i soggetti in campo, teso ad individuare i beni comuni sia spirituali che materiali e le politiche adeguate a promuoverli, i cattolici non devono rassegnarsi all’irrilevanza come cattolici. Al contrario, proprio perché la rappresentanza cattolica non è più garantita da un unico partito, ai fedeli laici è richiesto di saper concorrere al bene comune rendendo così pubblicamente ragione della fecondità sociale della propria fede. E questo ha delle conseguenze decisive per i contenuti ed il metodo dell’impegno politico. In pratica, operando in partiti diversi, i laici cattolici dovranno praticare il decisivo principio di distinguere nell’unito. Non dovranno perdere, nell’elaborazione e nell’attuazione dei programmi, il senso della comune appartenenza ecclesiale e mostrare che in necessariis (ci vuole) unitas. Questo esalterà la libertà nella sfera dell’opinabile: in dubiis (quando non sono in gioco questioni di principio) libertas. In ogni caso non farà venir meno in omnibus caritas.
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A questo scopo i laici dispongono dell’eccezionale patrimonio rappresentato dalla dottrina sociale della Chiesa.
In proposito occorre però evitare la deriva ideologica del dottrinalismo. (…)
In ogni caso la situazione dei cattolici di oggi in merito non è diversa da quella dai cattolici di ogni epoca.
(…)Oggi potremmo dire, in altre parole, che l’impegno politico dei cattolici deve necessariamente passare per la capacità della loro esperienza di fede di generare cultura (secondo la prospettiva indicata da Giovanni Paolo II ). Per questo l’azione dei politici deve partire dai bisogni/desideri propri dell’esperienza costitutiva dell’uomo. Cosa che domanda anche una corretta interpretazione culturale della fede.
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Invece una fede integralmente vissuta ha una irrinunciabile rilevanza antropologica, sociale e cosmologica, carica di conseguenze politiche assai concrete. Ovviamente, in una società plurale che come abbiamo già detto è per sua natura spesso conflittuale, non è pacifico che questa visione della politica si accordi armonicamente con altre concezioni. Questo implica necessariamente un confronto serrato e sempre aperto tra ermeneutiche diverse.
(…)
Tuttavia è necessario richiamare, per concludere, che per il cristiano questo impegno civile, soprattutto quello politico, altro non è che il prolungamento, fatte le debite distinzioni, della logica della testimonianza intesa come atteggiamento ad un tempo speculativo e pratico (non come pura generosità, ma come concezione e metodo d’azione). Se io testimonio in ogni ambito dell’umana esistenza, compreso quello politico e partitico, le mie convinzioni, non ledo il diritto di nessuno. Al contrario lo promuovo e metto in moto la virtuosa ricerca del “compromesso nobile”, con il realismo di chi sa che non si dà convivenza civile senza sacrifici. D’altra parte lo scopo dell’azione politica, soprattutto per il cristiano, non può essere la realizzazione della società perfetta. (…)