Continuano le reazione del mondo intellettuale e scientifico attorno al Discorso del redentore pronunciato dal card. Scola. Proponiamo un articolo scritto da Gian Luigi Gigli, professore di Neurologia nell’Università di Udine, e pubblicato da Il Gazzettino il 25/07/2009.
“Il Discorso del Redentore, pronunciato dal Patriarca di Venezia domenica scorsa, nell’annuale ricorrenza della liberazione della città lagunare dalla peste del 1576, muove da alcuni eventi che nel 2009 hanno lacerato la “spessa coltre di distrazione e di evasione con cui sovente attutiamo l’urto della realtà”. Non si è trattato solo della crisi economica, delle guerre lontane o dei fenomeni migratori, ma di eventi entrati prepotentemente nelle case degli italiani. Tragedie come il terremoto in Abruzzo e la strage di Viareggio o vicende laceranti, come quella di Eluana Englaro, “ci hanno costretto a guardare in faccia la realtà del dolore e della sofferenza”. Ancora una volta, l’uomo comune ha dovuto rendersi conto che “nella storia dell’umana famiglia l’aggressione del dolore e della sofferenza sembra non spegnersi mai”. L’incontro con la sofferenza, tuttavia, suscita interrogativi non meno pesanti per la teologia, per la medicina e per la stessa politica.
La Chiesa, fin dagli inizi, ha avuto un’attenzione speciale per i luoghi di cura, consapevole che al loro interno l’uomo si confronta con le domande ultime dell’esistenza: il significato del nascere, del soffrire e del morire. Oggi, tuttavia, la sofferenza ha cambiato il volto stesso della teologia. “Il partner della teologia, infatti, sembra non essere più l’incredulo, ma l’uomo che soffre” e che a questa sofferenza non riesce più a dare un significato. Impotente a rispondere con brillanti teorie a chi, come Cristo sulla croce, lamenta l’abbandono da parte del Padre, la Chiesa, più che nel passato, è costretta a prendere consapevolezza che la risposta cristiana al mistero della sofferenza non è una spiegazione più intelligente delle altre, ma una Presenza. “La sofferenza dell’uomo, investita dall’amore del Crocifisso, può diventare a sua volta feconda”.
Di fronte alla sofferenza, soprattutto davanti a quella di chi è incapace di riconoscerle un significato, anche la medicina è oggi costretta a ripensare il suo statuto. Il Patriarca ci ricorda che l’azione della medicina è autentica solo se è proposta all’interno di una visione integrale dell’uomo, perché benessere e dolore non sono separabili da una domanda di significato. Di fronte alla sofferenza e al dolore, soprattutto se estremi, l’uomo è sempre stato tentato dalla resa (pensando di liberarsi dell’eccesso di sofferenza col suicidio) o dalla ribellione velleitaria. Oggi però egli è sedotto da una visione della medicina, che gli propone di usare la scienza e la tecnologia per sconfiggere il dolore e la sofferenza, rimuovendo alle radici l’interrogativo che è al cuore della domanda sull’uomo. A quest’uomo si prospetta di poter divenire padrone della salute (cui secondo l’OMS avrebbe diritto) e della stessa vita. Se non fosse per le tragedie che di tanto in tanto ci richiamano alla realtà, forse qualcuno incomincerebbe a illudersi anche di poter vincere la morte. Esiste tuttavia anche un’altra medicina, convinta – come il teologo – che la risposta sia in una presenza, capace di accompagnare chi è nel dolore, consapevole che la sofferenza ultima del malato è nell’abbandono, cioè nel sentire di non essere amato. È una medicina che non ha deliri di onnipotenza, che non sogna alcun accanimento terapeutico, ma che non rinuncia, quando è sconfitta nella sua capacità di guarire, alla sua ineliminabile e potente possibilità di prendersi cura, offrendo a chi soffre, insieme alla migliore sedazione del dolore, anche ciò di cui ha più bisogno: la compagnia e il sentirsi amato. È la medicina della palliazione che, di fronte ai suoi limiti terapeutici, non mira ad affrettare una morte con dignità, ma ritrova i fondamenti della sua missione nel “preservare la migliore qualità della vita possibile fino alla fine”. È auspicabile che il dibattito in corso nella Federazione degli Ordini dei Medici dopo il convegno di Terni porti la presidenza della FNOMCeO ad abbandonare la rivendicazione di un “diritto mite” con cui si rischia solo di minare il ruolo di garanzia che da sempre la tradizione ippocratica attribuisce al medico.
Infine, anche la politica è stata richiamata da Scola a tener fede alla sua vocazione di servizio al bene comune, producendo un diritto forte, capace di garantire principi irrinunciabili. La responsabilità del legislatore, tuttavia, sarebbe farisaica se fosse disgiunta da una reale attenzione per chi soffre. È per questo che il Patriarca sollecita l’approvazione del disegno di legge sulle cure palliative e “tutti i mezzi finanziari affinché siano capillarmente applicabili nel nostro Paese”. Ne va della civiltà di un popolo e dell’umanità della convivenza civile.”