VENEZIA – Giovedì 1 aprile in Basilica di San Marco il Patriarca ha presieduto la messa In Coena Domini. Qui il testo della sua omelia.

1. «Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza, il suo sangue per noi versato è la bevanda che ci redime da ogni colpa» (dal Prefazio). Questo è il sublime rovesciamento operato dalla nuova alleanza (1Cor 11,25): l’uomo è salvato non dal sacrificio che egli offre a Dio, in rendimento di grazie per il bene che da Lui ha ricevuto [«Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?» (Salmo responsoriale)], ma dal sacrificio di Dio stesso, nel Figlio, incarnatosi per noi.

2. Infatti la cena pasquale, che i nostri fratelli ebrei celebrano «come un memoriale… di generazione in generazione come un rito perenne» (Es 12, 14), è per noi la Coena Domini, la cena del Signore, in cui realmente si comunica lungo tutta la storia l’unico ed irripetibile sacrificio di Cristo: l’evento della Sua Passione, morte e resurrezione in nostro favore. «Nel dono eucaristico – infatti – è come raccolto, anticipato e concentrato l’intero Triduum paschale… Con esso Gesù Cristo istituiva una misteriosa contemporaneità tra quel Triduum e lo scorrere di tutti i tempi» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 5).

3. «Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava si alzò da tavola, depose le vesti…» (Gv 13, 3). Gesù, nel momento culminante e più drammatico della sua esperienza umana, è tutto proteso al rapporto col Padre. Tutti noi siamo figli nel Figlio: la centralità della relazione con il Padre celeste ci definisce ed ogni umana paternità – sia pure implicitamente – la rappresenta.

Oggi questo caposaldo dell’umano è sempre più oscurato.

L’effetto è la condanna alla solitudine, soprattutto per le generazioni più giovani. E ormai sappiamo bene che sono molti i loro modi per reagire alla solitudine. Non solo la depressione e la malinconia, ma anche il bullismo che sostituisce alla compagnia amicale la logica del branco, oppure la ricerca di una felicità momentanea attraverso la fuga nell’alcool o nella droga o in giochi spericolati. In un parola sono tentati di sprecare la vita. Riscoprire con Gesù che si cinge i fianchi con l’asciugamano il fascino quotidiano del potere di servire. A questo dobbiamo mirare tutti, soprattutto noi adulti: in famiglia, nella scuola, in ogni ambito sociale. I nostri ragazzi, i nostri giovani, anche attraverso i loro comportamenti trasgressivi ci documentano, talora non senza angoscia, proprio questo: sono davanti a noi quasi inermi mendicanti di un senso del vivere.

4. «Gesù … si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli» (Gv 13, 4-5). Gesti decisi e determinati, che esprimono lo stesso consapevole dono di sé che i vangeli sinottici attribuiscono all’istituzione dell’Eucaristia.

5. Il racconto della lavanda dei piedi, presente solo in Giovanni, è l’esempio supremo di quella virtuosa pratica di vita che è la carità. Un amore intero per l’uomo che si china a condividerne il bisogno.

«Vi ho dato un esempio perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13, 15). Questa imitazione – ha ricordato con grande realismo il Papa – non è “un moralismo eroico. È vero che dobbiamo arrivare fino a questa radicalità dell’amore, che Cristo ci ha mostrato e donato, ma anche qui la vera novità non è quanto facciamo noi, la vera novità è quanto ha fatto Lui” (Benedetto XVI, Visita al Pontificio Seminario Romano Maggiore, 12/2/2010).

Accogliamo il suadente invito che questa sera Gesù ci fa lasciandoci prendere a servizio, nella Chiesa, in favore del nostro fratello uomo. Amen