VENEZIA – Domenica 2 maggio, in occasione della celebrazione della Giornata del Seminario, il Patriarca ha accolto Giacomo Celeghin e Germán Alfonso Montoya Lombata tra i candidati all’ordine sacro nella basilica di San Marco.
Viene qui di seguito pubblicato il testo dell’omelia:
Angelo Scola
1. Il comandamento della carità
«Fa’ che accogliamo come statuto della nostra vita il comandamento della carità» (Orazione di Colletta). Lo statuto è la legge fondamentale di un organismo vivente, quella che ne descrive la struttura costitutiva. Non c’è miglior sintesi della vocazione cristiana di questa invocazione che la Chiesa, nostra madre, ci mette sulle labbra con la preghiera di Colletta di questa V Domenica di Pasqua.
Carissimi Giacomo e Germán, la Chiesa che è in Venezia accoglie con gioia la vostra libera scelta di intraprendere pubblicamente il cammino di preparazione al sacro ministero sacerdotale ammettendovi agli ordini perché è certa che volete accogliere come statuto della vostra vita il comandamento della carità. Quanti – familiari, parenti, membri della Comunità seminaristica, delle parrocchie e del Cammino neocatecumenale – qui vi fanno corona, compresi i visitatori, sono chiamati in questa Santa Eucaristia a fare propria, in modo personale, l’invocazione della preghiera. Tutti e sempre dobbiamo imparare l’amore. Come?
Nell’imminenza della Sua passione, dopo che Giuda è uscito dal cenacolo per consegnarlo ai suoi nemici, Gesù lascia una sorta di testamento ai suoi. Anzi più esattamente un comandamento (termine che da solo dichiara la sua identità divina): «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amato, così amatevi anche voi» (Vangelo, Gv 13,34). E lo chiama «comandamento nuovo»:era già presente nella legge mosaica (Lv 19, 18) ma mancava ancora un modello vivente per l’amore che giungesse fino al dono della vita (cfr. Gv 15, 12-13,17, ampliato in 1Gv 2,7-8; 3,11-23; 4,7.11-12; 2Gv 5).
«Come io vi ho amato, così amatevi anche voi»: nel testo greco l’avverbio utilizzato “come” (kathós) significa, allo stesso tempo, come e poiché. Esprime l’autentico dinamismo di questo nuovo comandamento, che realizza un’umanità nuova: per imparare ad amarvi come io vi ho amato dovete amarvi perché io vi ho amati. Non si tratta anzitutto di un’imitazione, impossibile all’uomo peccatore, dell’infinito amore di Cristo, che «donandosi per la nostra redenzione, divenne altare, vittima e sacerdote» (dal Prefazio). L’amore di Gesù ha la precedenza assoluta nella vita dei suoi amici, e l’amore tra i discepoli sorge come dilatazione di questa carità ricevuta e riconosciuta. Così deve essere per voi, carissimi Giacomo e Germán.
«La vera novità [il comandamento nuovo] non è quanto facciamo noi, la vera novità è quanto ha fatto lui… San Tommaso d’Aquino lo dice in modo molto preciso quando scrive: «La nuova legge è la grazia dello Spirito Santo» [Summa theologiae, I-IIae, q. 106, a. 1] La nuova legge non è un altro comando più difficile degli altri: la nuova legge è un dono» (Benedetto XVI, Ai seminaristi del Pontificio Seminario Romano Maggiore, 12 febbraio 2010).
2. La resistenza al dono
Il brano degli Atti (Prima Lettura) racconta il ritorno di Paolo e Barnaba dal loro primo viaggio missionario in Asia Minore. Dietro di loro gli apostoli lasciavano alcune piccole comunità appena fondate, che avrebbero dovuto camminare con le proprie gambe in un mondo ostile alla loro fede.
Paradossalmente è proprio il nuovo comandamento di Gesù a provocare «molte tribolazioni» (At 14,22) alla Chiesa che fedelmente ne porta l’annuncio agli uomini.
Molti resistono al dono di Gesù Cristo amore. Le incomprensioni che possono talora giungere fino all’ostilità rappresentano una prova ma non debbono metterci in crisi. Devono spingerci a una più grande autenticità. In tal modo finiranno per rassicurarci che siamo sulla buona strada.
«Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani e, dopo avere pregato e digiunato, li affidarono al Signore, nel quale avevano creduto» (At 14,23). Gli apostoli istituiscono anche dei responsabili delle comunità, ma soprattutto affidano i fedeli al Signore. Nessuna struttura umana infatti sarebbe bastata a proteggerli dall’ostilità del mondo. La Chiesa nel mondo è affidata alla fedeltà di Dio. Gli apostoli istituirono dei presbiteri, ma soprattutto pregarono e digiunarono, per chiedere a Dio di mantenere in vita e far crescere le comunità appena nate. Tutto il popolo di Dio è chiamato pertanto alla corresponsabilità. Questo strappa i presbiteri dalla solitudine cattiva. In Seminario Giacomo e Germán stanno imparando questa posizione di operativa comunione.
3. «Ecco la tenda di Dio con gli uomini» (Ap 21,3)
La città santa che discende dal cielo sulla terra, la Chiesa, è il rendersi visibile di questo eterno essere insieme di Dio e dell’uomo.
«Vidi una terra nuova» (Seconda Lettura, Ap 21, 1): la terra nuova, inaugurata dalla vittoria pasquale di Cristo – «Fa’ che passiamo dalla decadenza del peccato alla pienezza della vita nuova» (Postcommunio) -, è già in opera nei battezzati. La sposa adorna per il suo sposo è la nuova umanità liberata dal peccato, santificata da Cristo e splendente della sua gloria e della sua bellezza. Così, dopo la risurrezione di Cristo, tutto è già trasformato, ma – come dice San Paolo – quello che saremo non è stato ancora pienamente rivelato. La comunione fra Dio e l’umanità redenta, fra Cristo e la sua Chiesa, deve continuamente crescere fino alla intimità più completa e profonda, nella Gerusalemme celeste. Tutto il tempo dell’esistenza ci è dato per questo. La vita ci è data per essere donata a Cristo. Pensate, carissimi Giacomo e Germán, al Santo curato d’Ars e all’offerta quotidiana della sua vita fino a lasciarsi consumare in confessionale per il bene dei fedeli.
4. Libertà di aderire
«Con l’aiuto di Dio e la nostra unanime preghiera essi confidano di essere fedeli alla loro vocazione» (dalla Liturgia dell’ammissione). Con i Superiori del Seminario, che ringrazio in modo particolare, affidiamo tutti insieme Giacomo e Germán a Maria, mentre chiediamo con fervente preghiera che i tanti giovani e le tante giovani chiamati alla consacrazione – perché sono tanti, assai di più di quanto normalmente si pensi – trovino la libertà di aderirvi con gioia, invece di sfuggirvi per pusillanimità. Amen