VENEZIA – Si è svolto nella mattinata di giovedì 9 giugno nella Basilica Cattedrale di San Marco a Venezia l’annuale incontro vocazionale che culmina nella festa degli anniversari (“giubilei”) di ordinazione sacerdotale.

L’appuntamento,  curato dalla Commissione diocesana per la formazione permanente del presbiterio, ha preso avvio con la recita dell’ora media, alla quale è seguita la relazione di Vittorino Andreoli, noto psichiatra e più recentemente autore di numerosi articoli e pubblicazioni di approfondimento sulla vita e sulla realtà dei preti. A seguire, l’intervento sulla situazione del Seminario diocesano a cura del rettore di mons. Lucio Cilia ed una breve relazione sul Fondo solidarietà del clero tenuta dal vescovo mons. Beniamino Pizziol.

In conclusione è stata celebrata la Santa Messa presieduta dal Patriarca, durante la quale sono sono stati ricordati i 60 anni di ordinazione sacerdotale dei preti diocesani mons. Silvio Zardon e padre Aldo Temperini, i 50 anni di messa di don Bruno Busetto, don Angelo Favero, don Gianni Fazzini e don Renzo Scarpa, ed il 25° di ordinazione di don Luciano Barbaro, don Roberto Berton, don Natalino Bonazza, don Pierluigi Cipriani, don Giuseppe Ormenese e don Giovanni Trabucco.

Qui di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal Patriarca:

Angelo Scola

Patriarca di Venezia

1. Admirabile commercium

«La vocazione sacerdotale è un mistero. È il mistero di un “meraviglioso scambio” (admirabile commercium) tra Dio e l’uomo. Questi dona a Cristo la sua umanità, perché Egli se ne possa servire come strumento di salvezza, quasi facendo di quest’uomo un altro se stesso». Questa affermazione di Giovanni Paolo II, contenuta in Dono e mistero, esprime bene il significato della festa dei giubilei. Siamo grati a Dio, alla nostra Chiesa e ai nostri confratelli, secolari e religiosi, che festeggiano una tappa importante del loro cammino sacerdotale.

 

2. Preghiera e carità sacerdotale

Nella conclusione della preghiera sacerdotale di Gesù che il Vangelo ci ha proposto troviamo le due “ante” della nostra identità sacerdotale: la preghiera incessante al Padre e lo struggimento per coloro che Egli ci ha affidato.

Gesù conclude la sua preghiera al Padre per entrare nella “gloria”. Ciò non implica per Gesù abbandonare i Suoi, bensì prenderli con sé in questa stessa gloria: «Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io» (Gv 17,24). Così già sulla terra noi siamo introdotti nell’amore trinitario. È questa la volontà di Gesù che corrisponde a quella del Padre. Il Padre ha mandato il Figlio nel mondo proprio per questo scopo. Cosa significhi poi essere con Gesù dove Lui è ce lo ha detto con chiarezza il Santo Padre nell’Omelia di San Giuliano: «Siate Santi! Ponete al centro della vostra vita Cristo! Costruite su di Lui l’edificio della vostra esistenza. In Gesù troverete la forza per aprirvi agli altri e per fare di voi stessi, sul suo esempio, un dono per l’intera umanità».

 

3. «Una sola cosa, come noi siamo una sola cosa»

Più volte (Gv 23,25,26) il Santo Evangelo di oggi ripete il verbo conoscere per esprimere come la fede facendoci conoscere l’unità tra il Padre ed il Figlio ci insegna la bellezza dell’unità tra di noi. «Siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me perché siano perfetti nell’unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17,22-23). L’eterno amore del Padre per il Figlio include già l’amore per gli uomini. L’unità nell’amore rivelata nella Trinità è paradigma per la vita delle comunità e test, prova di credibilità, di Gesù per il mondo. È primizia della resurrezione.

 

4. Testimoni della resurrezione

«Sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti» (At 23,6). Ci ha detto il Papa nell’Assemblea conclusiva della Visita pastorale qui in San Marco: «Nel corso della Visita pastorale avete dedicato speciale cura alla testimonianza che le vostre comunità cristiane sono chiamate a rendere, a partire dai fedeli più motivati e consapevoli». La testimonianza accolta nel suo valore integrale – metodo di conoscenza della realtà e di comunicazione della verità – è il compito che ci attende. Sempre il Santo Padre ha delineato con realismo il frangente storico in cui siamo chiamati a svolgerlo: «… Oggi questo essere di Cristo rischia di svuotarsi della sua verità e dei suoi contenuti più profondi; rischia di diventare un orizzonte che solo superficialmente – e negli aspetti piuttosto sociali e culturali -, abbraccia la vita; rischia di ridursi ad un cristianesimo nel quale l’esperienza di fede in Gesù crocifisso e risorto non illumina il cammino dell’esistenza… Tale atteggiamento tende, purtroppo, a diffondersi anche nel vostro territorio: questo avviene quando i discepoli di oggi si allontanano dalla Gerusalemme del Crocifisso e del Risorto, non credendo più nella potenza e nella presenza viva del Signore…». Invece «Gesù risorto opera nei discepoli la conversione dalla disperazione alla speranza, dalla tristezza alla gioia e anche alla vita comunitaria» (Benedetto XVI, Omelia Messa a San Giuliano).

Al termine della Visita pastorale il Santo Padre ci ha confermato nella fede e ha rinnovato lo slancio del nostro ministero. Esso consiste, alla fine, nel proporre una comunità integrale, che vive delle quattro dimensioni che da anni stiamo approfondendo e giunge fino alle implicazioni antropologiche, sociali e cosmologiche dei misteri cristiani.

Il Pellegrinaggio in Terra Santa, sulle orme di Gesù, ci aiuterà a purificare l’incontro con Lui da ogni sentimentalismo e da ogni astrazione ideologica per renderlo esperienza viva di Gesù Risorto.

È questa esperienza che esalta l’umano e ci fa, non senza sacrificio, compagni di strada di ogni donna e di ogni uomo. E questo nella verità e nella carità, che sono sempre inscindibili e mai da opporre. Non c’è carità se va contro o se riduce la verità. E non è verità se non afferma simultaneamente il bene oggettivo di Dio, dell’altro e dell’io.

Mi piace sintetizzare il significato del tradizionale gesto dei giubilei che stiamo vivendo nel passaggio finale della Prima Lettura. Vuol essere il mio augurio ai festeggiati, a tutti noi, ai nostri confratelli ammalati o provati: «La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: “Coraggio!”. Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma» (Atti 23, 11).

Sia, ancora una volta, la Vergine Nicopeia a propiziarci la forma di vittoria essenziale alla fede che, lo ripeto, si chiama testimonianza, cioè il pagar di persona perché l’amore di Cristo ci strugge. Amen