livia turcoIl dolore dell’uomo e l’opera del Redentore: riportiamo qui il commento al Discorso del card. Scola di Livia Turco, ex ministro della Salute e ora componente alla commissione affari sociali alla Camera.

(testo non rivisto dall’autore)

“Ho letto con grande interesse questo testo molto impegnativo del card. Scola, e mi ha colpito molto la riflessione sulla dimensione umana del dolore e sulla sofferenza, e sulla capacità di saper cogliere la sapienza che c’è nella sofferenza; vi ho colto lo sforzo di lettura della dimensione umana della sofferenza in un duplice aspetto: da un alto c’è la necessità di volerla capire, come pezzo della propria storia personale a cui dare senso. L’altro aspetto che colgo è come vivere con dignità la sofferenza, la sofferenza è parte della vita e dunque in quanto tale va vissuta con dignità.
Dall’esperienza che ho fatto ho capito che si può promuovere la dignità della vita, del fine vita nella sofferenza solo promuovendo una relazione con l’altro, con forte relazione di cura amorevole: l’idea di cura va intesa non solo come assistenza, ma come donazione di sé, reciprocità con l’altra persona, ed è soprattutto sconfiggendo la solitudine che si riesce a rendere meno tremenda e più sensata la sofferenza umana.

Il Patriarca racconta di come durante la Visita Pastorale visiti le diverse parrocchie di Venezia e i parroci lo portino spesso a casa dei malati, anche terminali, anche molto gravi, e nel discorso afferma che spesso siamo noi sani a chiedere morte degna, mentre i malati chiedono vita degna: questo è un aspetto fondamentale. Tutti chiedono fino all’ultimo una vita degna, e troppe invece assistiamo a situazioni di rinuncia e di abbandono terapeutico, la vita degna è quella in cui non si è soli, si riescono a superare le situazioni più tremende se si può contare su una carezza, un sorriso, una persona accanto: sono profondamente convinta che questa sia la dimensione completa di cura e di prendersi cura di un malato, in qualunque atto medico e non solo per l’idratazione e la nutrizione. La distinzione tra curarsi e il prendersi cura deve essere superata perché anche un familiare deve sapersi prendere cura della persona. Da questo punto di vista c’è nuova consapevolezza nella classe medica italiana, nei nuovi atti dei congressi a cui ho preso parte avverto un nuovo rispetto del paziente e anche la necessità di superare il rapporto paternalistico o l’ approccio di cura come prestazione che spesso si instaura tra medico e paziente; se si ha rispetto della persona di fronte, se si mette in gioco una cura amorevole allora questi atteggiamenti possono essere superati.
Penso ci sia nel nostro paese una domanda di vita e non è vera ala rappresentazione che la proposta di legge in discussione alla Camera sul fine vita fa della società italiana, anzi mi colpisce la dimensione antropologica che emerge da quel testo: come se in Italia ci fosse un pessimismo diffuso, una domanda di eutanasia: no, nel nostro paese c’è domanda di vita, di dignità, le persone vogliono vivere con dignità. Parte di quella dignità è possibilità di scelta, non di autodeterminazione, non mi piace questa parola, perché se si parla di sofferenza meglio parlare di scelta.
La sofferenza esalta una dimensione fondamentale della umana: l’apertura e il riconoscimento all’altro, e il riconoscimento propria dipendenza. Così una persona può scegliere se ha accanto qualcuno che lo aiuta e gli sta vicino.
La dignità, la buona vita, la possibilità di domandare sempre di vivere esistono e si svolgono all’interno della possibilità di avere una carezza e di non essere abbandonati.
La volontà di una persona è tanto più rispettata quanto più forte lì c’è qualcuno che si prende cura di te, che ti è accanto che ti accompagna.”